contro il carcere e la repressione

Comunicati Stampa

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  • SULLA DICREZIONALITA' DELLA MAGISTRATURA DI SORVEGLIANZA
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Notizie

03-03-2016
Le istituzioni verifichino il rischio epidemia nel carcere di Catanzaro
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29-02-2016
Catanzaro: a 75 anni muore in carcere per un'infezione, aperta inchiesta
Rotella infatti il 27 gennaio era stato trasferito dal carcere di Gazzi alla Casa circondariale di Catanzaro. Nel carcere calabrese, secondo le poche informazioni acquisite dai familiari, da circa una settimana aveva accusato sintomi da enterite, ma il quadro clinico, evidentemente sottovalutato si era rapidamente aggravato fino al ricovero in terapia intensiva. Il certificato di ricovero ottenuto dai familiari reca la data del 23 febbraio ed una diagnosi di ingresso di paziente in stato di shock multiorgano, con enterite da clostridium difficilis ed una prognosi di imminente pericolo di vita. Leggi »

16-04-2010
Milano, chiesti 27 anni di carcere per il comandante ROS Ganzer
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14-10-2009
Rubati i computer degli avvocati degli indipendentisti sassaresi
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22-09-2009
Operazione Rewind
Arresti Rewind Torino, allegerite misure cautelari Leggi »

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Iniziative: MORTI DI CARCERE: SPORTELLO AUTOGESTITO DI SUPPORTO PSICOLOGICO PER FAMIGLIARI

MORTI DI CARCERE: SPORTELLO AUTOGESTITO DI SUPPORTO PSICOLOGICO PER FAMIGLIARI – Radio Blackout 105.25FM

podcast

Estratto dalla puntata del 18 settembre 2023 di Bello Come Una Prigione Che Brucia

In Italia non esiste formalmente la pena di morte, ma il carcere uccide ogni anno un centinaio abbondante di persone; non per impiccagione o iniezione letale: le cause principali sono l’abbandono sanitario e l’induzione al suicidio.

La violenza della componente muscolare dell’apparato punitivo è certamente rilevante, come ci ricordano decine di casi di tortura o la mattanza del S. Anna di Modena, ma la violenza strutturale – quella implicita nell’organizzazione e nella progettazione deumanizzante della pena – miete molte più vittime.

Il carcere è anche una pena collettiva: macina le vite che inghiotte e indirettamente quelle dei loro famigliari, per questo è nato un Sportello di Supporto Psicologico per chi sopravvive alla morte di un proprio affetto in carcere.

Ne parliamo con Jessica e Luna:

Audio Player

 

Per contattare lo Sportello di Supporto Psicologico:

Ogni venerdì dalle 17:45 alle 20:00 sulla piattaforma Google meeting, tutti possono unirsi per trovare proposte fattibili a prevenire il fattore suicidario in carcere

https://chat.whatsapp.com/IpVSGLV7YFC1QupdeTYYWc

https://t.me/MortiInCarcere

Associazione Yairaiha Onlus

yairaiha@gmail.com 

 

(Pubblicato il 20-09-2023)

Iniziative: TESTIMONIANZE DI FAMILIARI PER IL CONVEGNO DI PADOVA Contro la pena di morte viva. Per il diritto a un fine pena che non uccida la vita

Di seguito le testimonianze di familiari di alcuni ergastolani raccolte per la giornata di dialogo Contro la pena di morte viva. Per il diritto a un fine pena che non uccida la vita

Testimonianza famiglia del detenuto Sciara Filippo

Mi chiamo Sciara Pasquale, ho quasi 30 anni e abito a Siculiana, un piccolo paese nella provincia di Agrigento, all’estremo Sud della Sicilia. La mia storia inizia 19 anni fa, quando alle 3 di notte mi sono svegliato mentre gli agenti della finanza perquisivano il mio letto in cerca di non so cosa. Ricordo ancora bene le facce preoccupate di mamma e papà, e il fare metodico e veloce nel mettere a soqquadro tutto. Era la notte tra il 19 e il 20 marzo 1998, e da quella notte papà, che aveva 34 anni, è stato arrestato e tutt’ora si trova in carcere con la condanna dell’ergastolo. Da quel momento la mia famiglia ha vissuto un incubo che anno dopo anno è diventato sempre più nero. Quando hanno portato via papà  avevo appena 11 anni, mio fratello minore appena 1 anno e mia madre era nel pieno della sua vita avendo 32 anni appena compiuti. Il primo effetto negativo sulla salute di mamma è stata l’anoressia. Non riusciva più a mangiare, non aveva più voglia di vivere quasi, poiché per lei papà era tutto, un sostegno saldo, il suo porto sicuro. La mia adolescenza è stata travagliata per questa mancanza, mi sono fatto le ossa da solo, perché mamma subito ha iniziato a lavorare per mantenerci, guadagnando una miseria e arrivando a mangiare olive ammuffite per comprare a noi il latte che mangiavamo mattina e sera… i miei nonni non essendo in condizioni economiche buone non potevano fare molto, cosi anche i miei parenti potevano fare ben poco… una volta siamo arrivati ad usare la carta del pane al posto della carta igienica perché non potevamo permetterci che solo il latte e l’acqua da bere. Tutti questi stenti hanno portato un dissesto nell’intestino di mamma, e dopo un pò fu colpita da blocco intestinale che l’ha quasi uccisa. Ma per fortuna si è ripresa, ma quell’evento era solo un assaggio di quello che sarebbe successo dopo qualche anno… Nel frattempo io e mio fratello siamo cresciuti. Mamma ha fatto anche da papà, dato che lo vedevamo inizialmente una sola ora al mese a Palermo, e poi una volta l’anno quando è stato portato prima in Calabria e dopo nella vecchia città dell’Aquila. Poi non siamo più potuti andare a trovarlo perché mamma lavorava in una casa di riposo facendo di tutto e io non avevo le competenze necessarie per organizzare un viaggio del genere. La situazione è precipitata quando mia mamma, dopo anni di stenti, sofferenze e tristezza infinita, si ammala di cancro nel 2013. La diagnosi è stata terribile: carcinosi peritoneale metastatica, 6 mesi di vita. Solo la Provvidenza ha saputo risolvere questa situazione facendoci trovare un professore a Roma che ha deciso di operare mamma nonostante la situazione era estrema. Mamma in totale dal 2013 a oggi ha subito 4 grossi interventi, nell’ultimo ha avuto un’ischemia celebrale, che ha causato l’intorpidimento della parte sinistra del suo corpo, e in questi tre anni ha fatto tanta chemioterapia che la fa soffrire moltissimo. Ultima notizia fresca di oggi, nella tac si sono visti di nuovo dei noduli, segno di un possibile ritorno di malattia. La lotta è infinita e le sofferenze sono tante. Il percorso riabilitativo è stato doloroso, difficile, solo nel 2016 abbiamo passato in ospedale 6 mesi. Tutto questo mi porta a centrare in pieno l’argomento ERGASTOLO. Se papà avesse avuto modo di stare più vicino a noi, e a mamma, tutto questo non sarebbe successo. È inumano far morire la moglie di un detenuto perché soffre della mancanza del marito; la solitudine è la peggior malattia che porta a tutte le altre. Non basta un ora do colloquio o una lettera a settimana a sistemare le cose. L’ergastolo è una gabbia di morte, ti stritola, ti soffoca, e non porta certo nessun risultato positivo. Mio padre in tutti questi anni, vedendo passivamente tutto questo, di certo non ha avuto modo di riabilitarsi agli occhi della società, ma ha solo sofferto anche lui un dolore straziante, nel sapere i figli crescere senza la figura di un padre, e la moglie quasi morire per le difficoltà che si hanno. Allora io dico di NO alla pena dell’ergastolo, è inaccettabile, questa non è la strada giusta. Una riabilitazione socialmente utile si può avere solo se il detenuto è circondato dalla sua famiglia, che lo può sostenere e orientare verso un cammino sano e civico. In questi anni di malattia di mamma papà ha avuto modo solo di beneficiare di pochi permessi, per stare vicino solo 4 ore all’anno a noi e a mamma. Questo è inaccettabile, noi abbiamo bisogno di lui ora più che mai, non sappiamo se mamma ci lascerà, ma sappiamo che se questo dovesse succedere lei dovrebbe essere tra le braccia di suo marito che ama alla follia. Quante donne lasciano i mariti in carcere e si cercano un altro compagno, spinte da un naturale bisogno di avere qualcuno accanto (lungi da me giudicarle, ognuno è libero di pensarla come vuole!).. mia madre è rimasta accanto a mio padre sempre, ha dato la vita per noi, fino al punto di ammalarsi. In conclusione, l’ergastolo di mio padre ha distrutto la mia famiglia, segnato profondamente i nostri spiriti, segnato molto dolorosamente il corpo di mamma, e non abbiamo ottenuto nessun risultato positivo per sperare in una reintegrazione sociale di mio padre. Spero che queste mie parole possano essere efficaci e che non volino come fumo al vento.

Siculiana, 16/01/2017                                                                                                                          Sciara Pasquale

Mi chiamo Massimo Ridente, quella che segue è la mia storia, ma è emblematica delle difficoltà che un detenuto incontra anche quando lo stesso intraprende un percorso “rieducativo” e abbia tutti i requisiti per poter ottenere quel pizzico di fiducia che serve per iniziare una nuova vita.

Sto scontando una condanna a 30 anni, sono in carcere da circa 15 anni di cui 1 trascorso nel regime comune di Lanciano, 6 al 41bis nella cc di L'Aquila e 8 in questo circuito di AS1 sempre qui a Voghera. Ho usufruito di 3 anni e mezzo di liberazione anticipata quindi, si può dire, che abbia scontato 18 anni e mezzo di carcere. Per molto tempo ho combattuto per superare il 4bis, 5 anni fa ho superato questo ostacolo poiché mi veniva riconosciuta l'inesigibilità, la c.d. “collaborazione impossibile”.

Inoltre, tre anni fa la direzione di Voghera, a seguito della totale espiazione del reato “ostativo” mi riconosceva il passaggio al regime ordinario con contestuale riconoscimento dei colloqui e telefonate previste dagli artt. 37 e 39 del dpr 230/2000 per i condannati per reati comuni. Oltretutto ho fatto un lungo percorso rieducativo dimostrando con fatti concreti il mio cambiamento e che ormai ho voltato pagina con il mio passato.

Quando sono entrato in carcere ero poco più che un ragazzino, non avevo neanche la 5 elementare, ero praticamente analfabeta. Oggi, con orgoglio, posso dire di essermi diplomato con buoni voti, mi sono iscritto all'università di Pavia al corso di Scienze letterarie e beni culturali, partecipo attivamente a tutte le attività che vengono proposte con grossa soddisfazione mia e, credo, della direzione. Faccio parte della compagnia teatrale ed ho lavorato come restauratore per il museo civico di Voghera dove sono stato premiato con una borsa lavoro dopo aver prodotto ottimi risultati ma, purtroppo, non posso esercitare questo lavoro fuori di qua poiché, nonostante tutto, sono ancora in queste maledette sezioni AS1! Oltretutto faccio parte di un gruppo di 7 detenuti che, con non poca “fatica”, stiamo partecipando al corso di Giustizia riparativa che oggi continuo in modo individuale.

Purtroppo, nonostante mi vengono riconosciuti tutti i progressi fatti, sono sempre qui, immobile, senza poter fare un passo avanti. Due anni fa la direzione metteva parere favorevole ritenendo opportuna la mia declassificazione, il DAP invece senza una valida motivazione espresse parere contrario lasciandomi qua a vegetare.

Riguardo i permessi e il parere favorevole per il lavoro extramurario, la direzione non mi ritiene meritevole perché dice che la mia pena da scontare è ancora lunga e non ho completato la revisione critica. Ho ripresentato la declassificazione come ha invitato a fare il dott. Roberto Piscitello e vorrei ripresentare un permesso premio ma non posso perché qui è tutto bloccato, non riescono neanche a farmi partire l’istanza di declassificazione perché le educatrici sono solo due, ora addirittura solo una per 450 detenuti e, umanamente, non riescono neanche a fare la sintesi.La mia ultima sintesi risale a due anni fa e non riescono a farmi l’aggiornamento quindi sono impantanato, fermo allo stesso punto.

Ciò che più mi inquieta è sentire i vari interventi dei nostri ministri che invocano e declamano il “reinserimento” del detenuto, il rispetto di quel principio costituzionale richiamato dall’art. 27. Ho l’impressione che non si vuole il nostro cambiamento e rimanga tutto nello status quo come oltretutto ha dichiarato il dott. Piscitello.Nonostante tutti gli sforzi e la buona volontà di voler andare avanti, dritto, per la mia nuova strada, mi sembra che venga ostacolato da chi mi dovrebbe sostenere e incoraggiare. A questo punto mi sorgono dei dubbi: sono io che sto facendo qualcosa di sbagliato oppure le istituzioni non credono nel mio cambiamento? Questi dubbi spesso mi confondono le idee e mi demotivano non poco. Credo che quando chi come me, con fatti concreti, avendo avuto il coraggio di metterci la faccia dimostrando pubblicamente il proprio cambiamento, dovrebbe essere premiato e aiutato, non lasciato in queste condizioni.

Quando un detenuto, ormai da anni, da atto  con fatti concreti che ha deciso di voltare pagina  con il proprio passato deviante dovrebbe essere aiutato a 360°.Dovrebbe esserci un prima, un durante e un dopo. La mia pena ha senso (credo) se effettuo un percorso e poi arrivo a destinazione, altrimenti si è fermi al medesimo punto.

In buona sostanza voglio dire che se c’è il cambiamento ci deve essere il riconoscimento altrimenti, se non si è cambiati in un tot di anni non si cambia più. Non ci sono esempi da seguire, nel senso che non si vedono altre declassificazioni, uscire in permesso o art. 21…ed è mai possibile che su centinaia di detenuti AS1 nessuno abbia effettuato questa revisione critica? Allora, forse, qualcosa non va.

Io chiedo solo di poter interagire con la società in modo costruttivo. Cosa se ne fanno di questa mia pena se non porta da nessuna parte? Chi ha interesse che noi stiamo tutti a vegetare? Voglio concludere usando la metafora delle macerie: dalle macerie ricostruire poi tutto non è facile e non basta la propria forza di volontà, la propria energia positiva. Non basta il desiderio di alzarsi laddove si è caduti, non basta avere chiaro in mente il sogno da coronare, occorre anche qualcuno che ti sostenga, qualcuno esterno a tutto questo che ti dia una mano di aiuto. In questo caso, usando la semplice metafora delle macerie mi chiedo e chiedo “devo riscattarmi con la società? Ma come? Devo ricostruire la mia vita? Ma come?

Con tutte le mie forze ho cercato di rialzarmi li dove ero caduto, ho imparato a guardarmi dentro, ho fatto il più bel viaggio che noi possiamo fare, quello dentro noi stessi…ho fatto un gran lavoro con me stesso e sono fiero per quello che sono oggi, ma quando ti senti cambiato ti chiedi perché devo continuare una pena in questo modo?

Voghera, 16 gennaio 2017 

Testimonianza della famiglia del detenuto Massimo Ridente

Scrivo questa lettera per denunciare una situazione ricca di dubbi che reca sofferenza alla mia famiglia da quasi 15 anni.

Il 16 Novembre del 2002, in seguito ad un mandato di cattura per l'omicidio di un giovane ragazzo di nome Erasmino, mio fratello mi chiedeva di accompagnarlo in commissariato per costituirsi, sicuro che avrebbe fatto chiarezza sulla sua posizione e che presto sarebbe tornato a casa. Massimo, mio fratello, ha sempre ammesso e pagato per le sue colpe, ma in quel caso si è proclamato innocente e ha rifiutato il rito abbreviato sempre con la convinzione che ne sarebbe uscito illeso. Da quel giorno abbiamo lottato per dimostrare la sua innocenza senza alcun risultato.L'accusa che pendeva a suo carico è stata validata grazie alle testimonianze di due collaboratori di giustizia: sua moglie, Elisabetta Mallardi, e l'esecutore materiale dell'omicidio, Michele Mari.

Durante i processi le versioni sono state più volte cambiate e discordanti tra loro, il giudice stesso le ha ritenute poco attendibili per i motivi di cui sopra e per il palese risentimento che la moglie nutriva nei confronti di suo marito. Inoltre tutti gli avvocati da noi interpellati a termine del processo sostenevano che in casi gravi come quello di mio fratello non era possibile che la moglie rappresentasse l'accusa, oltre al fatto che nulla di ciò che ha dichiarato era stato da lei visto, in sostanza non era testimone oculare ma aveva solo sentito voci di terzi anch'essi non presenti ne al fatto ne al processo.Per farvi capire da dove nasce la nostra indignazione vi racconto un dettaglio chiave: durante l'interrogatorio al Mari fu chiesto come si erano svolti i fatti e lui rispose di aver ricevuto l'ordine di uccidere dal Ridente con uno pseudo occhiolino che lui ha interpretato, che a detta del giudice poteva essere frutto di tic facciale o di un movimento involontario.

Da questo racconto sembrerebbe che per mio fratello le cose andassero per il meglio e invece se sono qui a scrivervi e perché dopo tutto quello che vi ho raccontato la condanna è stata 30 anni. Tutto ciò che ho dichiarato è agli atti e può essere visionato.Può un accusa simile togliere la libertà ad un uomo e privarlo della gioia di vivere e di essere padre? A quel giudice interessava davvero sapere se mio fratello fosse colpevole o innocente? Queste domande mi attanagliano la mente da troppo tempo.

Oggi mio fratello è un persona nuova, ammiro la sua forza di volontà nel non arrendersi, ha dimostrato tanto grazie all'aiuto di volontari, educatori, assistenti sociali e psicologi, che lo hanno aiutato a crescere e a diventare la persona che è oggi. In questi anni passati nella casa circondariale di Voghera, ha conseguito la licenza media, il diploma di ragioneria ed attualmente è iscritto alla facoltà di scienze dei beni culturali, ha ricevuto un premio letterario grazie a un tema autobiografico, ha frequentato un corso di cucina che gli ha permesso un lavoro momentaneo all'interno della stessa casa circondariale e si è inoltre dedicato a un lavoro di restauro per il museo di Pavia, che visto i risultati voleva assumerlo. Dal 2010 esprime le sue emozioni anche attraverso la pittura, cercando di lasciare un segno del suo passaggio in questa vita, seppur passata da troppo tempo tra quattro mura, tante sono le tele da lui realizzate anch'esse facente parte di un cambiamento palpabile, di una gran voglia di fare e recuperare il tempo perso.

Nel 2016 ha terminato il corso di giustizia riparativa e ha dato la sua disponibilità a incontrare le sue "vittime", moglie e figli.Formalmente Massimo è stato de classificato circa un anno fa ma la sua posizione all'interno della casa circondariale non è cambiata e la pratica risulta bloccata. Come possiamo sbloccare la situazione e accelerare i tempi? Se fosse riconosciuta questa de classificazione potrebbe avere diritto ad alcuni benefici essenziali alla sua persona visti i 15 anni consecutivi di reclusione.In questo periodo mio padre di 75 anni, che fino a poco tempo fa lavorava per sostenere le spese legali e non solo, con la speranza di vederlo fuori di lì, sta affrontando una brutta malattia e Massimo potrebbe avere la possibilità di vederlo se ci fosse questa possibilità.

Spero che qualcuno con le dovute competenze sblocchi questa situazione al più presto e ci dia delle risposte positive.

Grazie per avermi ascoltata.Mariella Ridente

 

Testimonianza della famiglia del detenuto Antonio Carnovale

 

Buongiorno a tutti Voi,

siamo Isabella, Caterina e Eronima, rispettivamente moglie e due figlie del detenuti Carnovale Antonio, condannato per via definitiva all'ergastolo dopo le accuse di un pentito.Da 5 anni viviamo quello che una sentenza del tribunale di Milano ha sancito come solo l'inizio di sepoltura in vita di nostro padre, mio marito.

Queste nostre parole speriamo possano farvi almeno minimamente percepire l'atrocità del vivere una situazione del genere.L'incubo del "FINE PENA MAI", che oltre ad annullare dalla società per sempre un individuo, costringe quelli fuori a vivere per sempre un lutto a metà. Questo nonostante costituzionalmente il carcere nel nostro paese dovrebbe essere basato sul recupero e reintegrazione del detenuto. Ma come è possibile questo quando ci si trova davanti a condanne di questa portata? Noi non siamo certo dei legislatori ma ci domandiamo, si può fare? è costituzionale o no? Potremmo citare grandi personaggi che come noi hanno espresso da sempre le nostre stesse perplessità, vediamo sua Santità Papa Francesco, piuttosto che il compianto Marco Pannella, da sempre animi vicini a noi. E questa è una delle domande che noi oggi vorremmo farvi. Approfittiamo oggi della Vostra presenza per esporvi anche alcune delle profonde difficoltà che noi tre in quanto donne ci troviamo ad affrontare. Noi risediamo nel comune di Cerro Maggiore in provincia di Milano, in questi 5 anni e mezzo, all'inizio vedevamo nostro papà 1 volta a settimana nel carcere di opera, poi venne trasferito a Padova e lo visitavamo 2 volte al mese, adesso si trova nel carcere di Livorno da quasi 2 anni, e le nostre visite si sono drasticamente ridotte a 1 sola visita al mese. Questo perché da casa nostra per arrivare al carcere di Livorno ci sono ben 360 kilometri, e come potrete ben capire la visita mensile per noi comporta un impegno economico non da poco per viaggio e pernottamento, fortunatamente siamo tre donne che lavorano ma ciò non toglie che le spese debbano essere tenute sotto controllo. A tal proposito un'altra domanda che ci preme farvi "è o non è legge costituzionale l'obbligo di inserire il detenuto in un penitenziario che non disti più di 200 kilometri dalla residenza della propria famiglia?" Ci siamo sempre chieste: A chi può giovare mantenere un individuo in stato di assenza permanente dalla società e complicare e rendere disagiante la vita della famiglia che fino a prova contraria non ha reati o pene da pagare.

Noi 3 donne Vi chiediamo di aiutare tutti Noi famigliari dei detenuti, a vivere l'amore e la vicinanza verso i Nostri Cari, che un paese come il nostro dovrebbe garantire. Peggiorare o incattivire l'esistenza umana non porterà di certo miglioramenti alla nostra società.

Confidiamo in tutti Voi affinché le cose si possano migliorare. La nostra serenità è dovuta dall’essere certi dell’onestà di nostro padre, ci da tanta forza l’amore che ci unisce.

Ringraziandovi, porgiamo i migliori saluti a tutti Voi.

Isabella, Caterina e Eronima

 

Testimonianze raccolte a cura dell’associazione Yairaiha Onlus – Cosenza

 

 

(Pubblicato il 23-01-2017)

Iniziative: LIBERI DA TUTTE LE GALERE! PRESIDIO DI SOLIDARIETA'

Carcere, un’entità troppo spesso ignorato dalla stragrande maggioranza della società, assente dall’agenda politica nazionale se non per promuovere la costruzione di nuovi istituti e nuovi dispositivi repressivi. Punire e Recludere quanti vivono ai margini della società o si ribellano contro lo stato di cose esistente. Punire e Recludere gli uomini e le donne che restano tagliati fuori dai cicli di produzione e risultano eccedenze in un sistema meritocratico e classista dove o sei “figlio di” o sei uno sfigato destinato a fame, miseria ed emigrazione. Oppure diventi la bassa manovalanza di un sistema programmato dai poteri forti per fare profitto sulla pelle della “carne da macello” di questa società. Meridionali e migranti sono da sempre i destinatari, spesso inconsapevoli, dei disegni della governance del sistema politico-mafioso che impone ricatti, precarietà e sfruttamento da un lato, costringendo la gente a ricorrere all’extralegale per sopravvivere, mentre dall’altro predispone e affina leggi e dispositivi repressivi che fanno parte sempre dello stesso gioco perverso. 

A chi e cosa serve la galera? Non di sicuro al condannato che ne esce marchiato a vita, incattivito, privato della libertà e degli affetti. Pregiudicato o recluso a vita, in ogni caso colpevole per sempre di essere nato nel posto sbagliato nel momento sbagliato e di non avere avuto altre possibilità nella vita. Vittima, carnefice e capro espiatorio allo stesso tempo di un sistema che calpesta e distrugge tutto ciò che non gli serve in nome del potere e del denaro. Un sistema che vuol farci credere che affamare e sterminare interi popoli per garantirsi lo sfruttamento delle risorse (in Africa e in Medi Oriente, nei tanti sud del mondo) è legale e democratico; un sistema che crea, ad arte, guerre tra poveri per una giornata di lavoro a nero o per un tetto; un sistema che ci vuol far credere che mio fratello è il mio nemico. Noi non ci stiamo, siamo qua per ribadire, ancora una volta, il nostro rifiuto dell’istituzione carceraria come risoluzione dei conflitti sociali, come sistema retributivo per le vittime di “reati”. Sicuramente siamo degli idealisti, convinti che la cattiveria e l’avidità umana non sono congenite ma frutto della sperequazione e dell’ingiustizia sociale propri del sistema capitalista-imperialista che ci viene imposto. Continueremo a stare al fianco degli ultimi di questa società, degli sfruttati, degli oppressi e degli emarginati, consapevoli che il cammino da fare per liberarci da tutto ciò è lungo e tutto in salita. Ma siamo certi che domani, da liberi, i nostri fratelli oggi reclusi, cammineranno al nostro fianco per riprenderci ciò che ci stanno levando giorno dopo giorno. Dai diritti più elementari ai sogni più grandi. Casa, reddito, istruzione, salute garantiti per tutti. Perché una società di liberi ed eguali si realizza creando presidi di libertà e uguaglianza. Basta ai ricatti clientelari dei politicanti-affaristi-massoni ed alla devastazione e saccheggio delle nostre vite e delle nostre terre. Basta vedere marcire in galera i nostri cari perché non hanno avuto un’altra possibilità. Basta dover chinare la testa a caporali e padroni, poco importa poi, che siano nuovi latifondisti o vecchi trafficanti, il principio che sottostà a queste logiche è il medesimo. Riprendiamoci i nostri diritti, le nostre vite, le nostre terre e soprattutto la nostra LIBERTA’. Contro la criminalizzazione delle lotte sociali, contro l’ergastolo e il 41bis, contro ogni forma di galera.

LIBERI TUTTI, LIBERE TUTTE! PER UN 2016 DI LOTTE E GIUSTIZIA SOCIALE! 
31 dicembre 2015 COSENZA CONTRO IL CARCERE

 

(Pubblicato il 28-01-2016)

Iniziative: PETIZIONE ONLINE CONTRO ERGASTOLO OSTATIVO

https://www.change.org/p/ministro-della-giustizia-sciopero-collettivo-contro-l-ergastolo-ostativo

 

(Pubblicato il 13-05-2016)

Iniziative: PRESIDIO DI SOLIDARIETA'CON I PRIGIONIERI IN LOTTA

 

NON LASCIAMOLI SOLI...

di carcere non si può morire...

SABATO 1 DICEMBRE 2007 ORE 10.00

CARCERE DI SIANO (CZ)

PRESIDIO DI SOLIDARIETA'CON I PRIGIONIERI IN LOTTA.

PER DIRE NO ALL'ERGASTOLO!

NO AI CIRCUITI DIFFERENZIATI!

NO AL CARCERE-DISCARICA!

NO ALLA TORTURA!

NO ALLA CRIMINALIZZAZIONE DEI MIGRANTI!

NO ALLA CRIMINALIZZAZIONE DELLE LOTTE SOCIALI!

ASSOCIAZIONE YAIRAIHA ONLUS-CS, PRIME ADESIONI: ON. FRANCESCO CARUSO (INDIPENDENTE PRC-SE) ON. SALVATORE CANNAVO’ (ASS. SICISTRA CRITICA - PRC.SE), COMITATO DI LOTTA PER LA CASA “ACQUI RESTAMOS”-CS, CNCA-CALABRIA, COMUNITA' PROGETTO SUD-LAMEZIA TERME, CONFEDERAZIONE COBAS-CS, C.S.O.A. “A. CARTELLA”-RC, C.P.O.A. RIALZO - MOVIMENTO AMBIENTALISTA DEL TIRRENO, RETE ANTAGONISTA-CALABRIA, RETE ANTIRAZZISTA-CS, SEGRETERIA PROV. PRC-CS, ASSOCIAZIONE SINISTRA CRITICA - CALABRIA, OPERA NOMADI CS, PRC-SE CALABRIA, FEDERAZIONE PROV. PRC-CZ...

 

(Pubblicato il 17-06-2008)

Iniziative:

 

Mai più ergastolo”

campagna popolare per l'abolizione

 

Io sono contrario alla pena dell’ergastolo perché non si può cancellare la speranza”, è con queste parole che Monsignor Bregantini, vescovo di Locri Gerace, ha firmato dell'appello abolizionista “Mai più ergastolo”. Assieme alla sua possiamo contare le firme di Padre Alex Zanotelli, di Don Silvio Mesiti (cappellano del carcere di Palmi), di Padre Mimmo Campanella (cappellano delle carceri di Cosenza e Paola), del Cappellano del Carcere di Reggio Calabria, del sindaco di Cosenza Salvatore Perugini, della giornalista Ida Dominijanni, del prof. Franco Piperno, del filosofo Mario Tronti, Sabina Guzzanti, Bisca-Zulù e 99Posse, Bandabardò e molti altri ancora tra politici, amministratori e semplici cittadini.

A distanza di otto mesi abbiamo raccolto 5392 firme, oltre 2500 sono le adesioni pervenuteci dai detenuti di Palmi, Rossano Calabro, Catanzaro, Reggio Calabria, Vibo Valentia, Siracusa, Termini Imerese, Palermo, Catania, Secondigliano, Lecce, Carinola, Viterbo, Nuoro, Spoleto, Voghera, Milano, Alessandria, Biella, Parma.

Ringraziamo i familiari dei detenuti che hanno raccolto o stanno ancora raccogliendo firme e quanti ci hanno sostenuto in questi mesi.

Abbiamo ricevuto apprezzamenti per l'iniziativa dal Presidente della Repubblica, On. Giorgio Napolitano, dal Presidente della Camera, On. Fausto Bertinotti e dall'On. Giuliano Pisapia i quali hanno garantito massima attenzione al tema e a cui a breve spediremo le altre firme raccolte.

La nostra associazione continuerà a sostenere questa lotta con momenti di confronto e di solidarietà cercando di alzare l'attenzione mediatica e politica sullo sciopero della fame degli ergastolani che partirà il 1 dicembre.

 

(Pubblicato il 28-01-2016)

Iniziative:

L'Associazione Yairaiha O.N.L.U.S.

promuove

la campagna popolare "Mai più ergastolo"


La Costituzione della Repubblica italiana sancisce all'art. 27 che "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".

Ma quale rieducazione può derivare dalla certezza di un fine pena "mai"? Quali percorsi è disponibile ad intraprendere un condannato all'ergastolo che ha come unica certezza il non-ritorno nella società? È difficile anche solo immaginare il tempo che si cela dietro la certezza di una pena perpetua, rappresentando di per sé una forma di tortura (tortura bianca) e, di conseguenza, venendo meno ai principi sanciti dalla nostra Costituzione.

Già Cesare Beccaria considerava l'ergastolo come "una guerra della nazione contro un cittadino" mentre per Luigi Settembrini, patriota condannato all'ergastolo, scriveva: "O Dio Padre, fammi la grazia della morte, giacchè gli uomini per torturarmi mi hanno fatto la grazia della vita".

Ristabilire i valori costituzionali, abolendo l'ergastolo, è oggi, innanzitutto, una battaglia di civiltà e per il rispetto della nostra Costituzione. Perchè tra l'ergastolo e la condanna a morte non c'è molta differenza. Sicuramente si può parlare di "morte civile".

Nel dibattito che nel corso degli anni si è avuto sulla pena dell'ergastolo e della sua legittimità costituzionale, si è sempre fatto riferimento alla giurisprudenza costituzionale e in particolare, alla sentenza n. 264/74 con la quale si affermava la compatibilità di detta pena con il principio stabilito dall'art. 27 della Costituzione, sulla base della possibilità, presente nel nostro ordinamento dal 1962, di concedere all'ergastolano che abbia dato prova di "sano ravvedimento" la liberazione condizionale.

Una decisione, utilizzata spesso per silenziare i valori della Costituzione, di cui non si discute l'autorevolezza, ma della quale occorre una rilettura alla luce dell'evoluzione che ha caratterizzato la stessa giurisprudenza costituzionale il cui approdo finale non consente più di ritenere attuale e valida la succitata decisione in quanto, nell'ordinamento penitenziario italiano, nonostante l'art. 27 della Costituzione faccia menzione della sola funzione rieducativa della pena, la convinzione dominante espressa dalla Corte Costituzionale è quella di una pena "polifunzionale", a tal proposito si cita la sentenza n. 12/1966 nella quale si sostiene che il principio rieducativo << dovendo agire in concorso con altre funzioni della pena non può essere inteso in senso esclusivo >> e, inoltre, << non vi è dubbio che dissuasione, prevenzione
e difesa sociale stiano, non meno della sperata emenda, alla radice della pena >> (sent. n. 264/1974). Riteniamo che uno Stato democratico debba necessariamente tener fede ai principi Costituzionale e, nella revisione del codice penale, il legislatore è chiamato a una scelta di coerenza, abolendo quelle pene ontologicamente prive del contenuto rieducativo oppure modificare il principio costituzionale e armonizzarlo con quello di pena statalistica, utilitaristica e retributiva.

Per il rispetto della nostra Costituzione,

per cancellare definitivamente la vergogna dell'Ergastolo ti chiediamo di sottoscrivere l'appello.

Scarica qui l'appello e il modulo per la raccolta delle firme, stampalo e fallo firmare. Una volta completato si prega di spedirlo alla sede dell'associazione.

 

(Pubblicato il 14-10-2007)

Iniziative: Ergastolo: la speranza abolita?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Atti dell'incontro/dibattito tenutosi a Cosenza il 23 marzo 2007.

Scarica l'allegato "ergastolo-la_speranza_abolita.pdf" (407 KB)

 

(Pubblicato il 06-08-2007)