Comunicato stampa: Ancora malasanit nel carcere di Siano
Da Il quotidiano del 19/03/2016
“Se errare è umano, perseverare è diabolico” diceva un vecchio adagio. E così che a distanza di 22 giorni dalla morte del signor Michele Rotella siamo costretti a dover denunciare l’ennesimo caso di malasanità carceraria, disumanità e violazioni dei diritti umani nel carcere di Siano. In una lunga lettera la signora Marta racconta le storia di suo marito Antonio, 57 anni, detenuto ininterrottamente da 11 anni a Catanzaro. Da oltre 7 mesi accusava forti dolori all’addome e alla schiena, viene visitato dai medici del carcere e viene liquidito con pasticche e lavaggi antidolorifici ma senza una vera e propria diagnosi. Questa terapia, nonostante l’acuirsi dei dolori diventati ormai ininterrotti, è proseguita fino ad un mese fa fino a quando, quindi, non è intervenuta la famiglia che ha “suggerito” ai medici carcerari una gastroscopia. Purtroppo, visti i tempi biblici della sanità pubblica, la sua famiglia è stata costretta a prenotare in una struttura privata l’esame diagnostico. L’esito è negativo, ma nonostante questo le condizioni continuano a peggiorare. Dopo 15 giorni sviene in carcere, completamente giallo in faccia e, solo grazie alla rivolta degli altri detenuti viene portato in ospedale dove lo ricoverano per sospetto tumore al pancreas, da Catanzaro ne dispongono il trasferimento a Reggio Calabria per carenza di posti. Per i medici del carcere non era necessario. I familiari vengono avvisati del ricovero solo al colloquio mensile. “una volta arrivati a Reggio troviamo un uomo malato, rinchiuso in una cella e abbandonato a se stesso”, senza assistenza alcuna perché il personale è limitato”. La richiesta di poterlo assistere viene rigirata dal Magistrato di Sorveglianza alla direzione penitenziaria e quest’ultima concede altre tre ore extra oltre alle 4 ordinarie di colloquio. Ma le condizioni del sig. Antonio peggiorano e proprio oggi i medici confermano il tumore al pancreas, con la compromissione delle vie biliari del fegato e con diverse metastasi. Non c’è più nulla da fare. È terminale. La signora Marta sta aspettando che la magistratura di sorveglianza disponga la scarcerazioneper farlo morire a casa.
Oltre a tutte le violazioni dei diritti umani, dell’ordinamento penitenziario e della costituzione che si vedranno in seguito e in opportuna sede, l’aspetto più aberrante e disumano di questa storia e che, nonostante sia terminale non viene permesso ai familiari, alla moglie in particolare di assistere il marito in questa lenta e disumana agonia.
Adesso magari il direttore generale dell’asp di Catanzaro uscirà pubblicamente con la difesa d’ufficio dell’area sanitaria di Siano, la direttrice magari dichiarerà che il sig. Antonio sta andando a morire a casa sua e che quindi non si può parlare di morti in carcere, probabilmente nei piani alti troveranno le giustificazioni più astruse per autoassolvere un sistema di per sé violento e fuorilegge, che oltre alla libertà ti nega la possibilità di curarti prima e di morire umanamente poi.
Ricordiamo a lor signori che anche i condannati a morte hanno diritto ad esprimere l’ultimo desiderio, pertanto chiediamo pubblicamente, a tutti quanti di competenza, che la signora Marta possa assistere il marito in attesa che venga disposta la scarcerazione. E che il ministero della saluta disponga immediatamente un’ispezione nel Carcere di Siano. Un morto e un malato terminale in 10 giorni sono veramente troppi.
Associazione Yairaiha Onlus