Carcere: Interrogazione dei sen. Maria Luisa Boccia e Fosco Giannini su Palmi
Legislatura 15 Atto di Sindacato Ispettivo n° 3-00226 |
Pubblicato il 7 novembre 2006
Seduta n. 65
BOCCIA Maria Luisa , GIANNINI - Al Ministro della giustizia. -
Premesso che:
la Casa circondariale di Palmi è divisa in cinque sezioni di cui due di Alta sicurezza, una EIV (Elevato indice di vigilanza), una Media sicurezza per i detenuti comuni e una per i lavoranti;
il suddetto istituto ospita circa 220 detenuti, a fronte di una capienza massima di 138;
risulta all’interrogante che numerosi detenuti lamentano problemi di ordine fisico, igienico e morale, legati al sovraffollamento della struttura, in particolare nella sezione dei detenuti comuni, dove le celle, con unico servizio igienico, ospitano fino ad otto detenuti;
si lamenta inoltre la presenza di grate alla finestra a nido d’ape che impediscono la vista dell’esterno, determinando altresì gravi ed irreversibili danni alla vista;
il servizio sanitario interno è fortemente carente, al punto da determinare lunghe attese in caso di malattie;
l’assoluta assenza di corsi di formazione, di attività socio-culturali (palestre ed attività connesse) e l’impossibilità di poter prendere tutti parte alle poche attività lavorative offerte dal carcere (manutenzione ordinaria del fabbricato, cucina e pulizie) determinano, di fatto, uno “stato di abbandono” dei detenuti suscettibile di violare il principio costituzionale della funzione rieducativa della pena, ledendo altresì i diritti fondamentali alla salute, alla dignità ed all’incolumità dei detenuti ivi reclusi;
non è prevista la possibilità - sancita invece dalle norme sull’ordinamento penitenziario - di utilizzare, a fini culturali, di istruzione e di formazione scolastica ed universitaria, computer e biblioteche adeguate, così violando il diritto all’informazione, all’educazione ed alla formazione culturale dei detenuti;
la mancanza di uno spazio adeguato all’accoglienza dei bambini limita di fatto naturalmente la frequenza delle visite, determinando un rapporto difficile e traumatico tra i genitori detenuti ed i figli, così costretti ad effettuare i colloqui esclusivamente nella sala colloqui, murata;
l’impossibilità di applicare la legge Simeoni è fortemente legata alla mancanza di progetti di formazione inframuraria che diano possibilità concrete di reinserimento sul territorio e di ricorso a modalità di esecuzione della pena comprensive di percorsi trattamentali realmente volti alla rieducazione del condannato;
si verifica altresì la radicale impossibilità di applicazione del principio della “territorialità della pena”, suscettibile di causare notevoli disagi non solo ai detenuti, ma anche ai familiari costretti a lunghi e costosi viaggi, quando non all’assoluta rottura di ogni legame in ragione della impossibilità di effettuare colloqui per mancanza dei mezzi economici necessari a tali lunghi spostamenti;
considerato che:
l’art. 27, terzo comma, della Costituzione, prevede che le pene debbano tendere alla rieducazione del condannato, processo di cui una delle componenti essenziali è rappresentata proprio dalla formazione culturale e dallo studio;
il trattamento penitenziario deve essere realizzato secondo modalità tali da garantire a ciascun detenuto il diritto inviolabile al rispetto della propria dignità, sancito dagli artt. 2 e 3 della Costituzione, dagli artt. 1 e 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2000, dagli artt. 7 e 10 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1977, dall’art. 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali del 1950, dagli artt. 1 e 5 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, nonché dagli artt. 1, 2 e 3 della Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa del 12 febbraio 1987, recante “Regole minime per il trattamento dei detenuti” e dall’art. 1 della Raccomandazione (2006) 2 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa dell’11 gennaio 2006, sulle norme penitenziarie in ambito europeo; tale garanzia è ribadita dall’art. 1, commi primo e sesto, della legge 26 luglio 1975, n. 354, che prescrive che “il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona”, dovendo altresì essere attuato “secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti”;
l’art. 15, primo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, prescrive che “il trattamento del condannato e dell’internato è svolto avvalendosi principalmente dell’istruzione, del lavoro, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno ed i rapporti con la famiglia”;
l’art. 18, sesto comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, sancisce espressamente che “i detenuti e gli internati sono autorizzati ad avvalersi” anche “dei mezzi di informazione” diversi dalla stampa periodica;
l’art. 40 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, “Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà” prevede espressamente che il direttore dell’istituto di pena “può autorizzare l’uso, anche nella camera di pernottamento, di personal computer e di lettori di nastri e di compact disc portatili;
come già rilevato, altresì, dagli interroganti in altri atti di sindacato ispettivo di cui si attende risposta, nonostante il regime EIV preveda che i detenuti possano essere impegnati in attività culturali, ricreative o sportive, nel concreto non esiste la possibilità di partecipare ad alcuna di queste attività, perché nella maggior parte delle sezioni destinate a questi detenuti non sono mai state istituite palestre, biblioteche o comunque strutture destinate alla socialità;
di fatto, i detenuti in EIV (ma anche quelli in custodia cautelare, quindi presunti innocenti ai sensi dell’art. 27, comma 2, Cost., sino ad emanazione della sentenza irrevocabile di condanna) non possono svolgere alcuna attività artigianale nè formativa, impedendo così loro di iniziare percorsi volti alla riabilitazione e risocializzazione;
va rilevata, quindi, una discriminazione che si basa sul “titolo del reato” e sul “tipo d’autore”, sulla colpevolezza d’autore e non per il fatto commesso, sul regime carcerario applicato e sulla richiesta di atteggiamenti collaborativi e non sull’osservazione del singolo detenuto e dei percorsi riabilitativi intrapresi, in netto contrasto quindi con gli artt. 3 e 27 della Costituzione;
tale disparità di trattamento è fortemente accentuata dalle carenze strutturali intrinseche del carcere di Palmi, in misura ancora maggiore di quanto avvenga negli altri istituti di pena d’Italia che dispongono delle sezioni speciali;
il DAP (Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria) esclude formalmente che il regime detentivo in questione precluda al detenuto i benefici previsti dalle leggi dello Stato;
analoga affermazione è resa da costante giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’assegnazione al regime EIV, in quanto asseritamente non incidente sui diritti soggettivi dei detenuti, non è suscettibile di impugnativa – diversamente da quanto accade in merito al regime di 41 bis- dinanzi al Tribunale di Sorveglianza, così tuttavia di fatto violando il principio di riserva di giurisdizione in materia di misure restrittive della libertà personale;
si determina così di fatto un’irragionevole disparità di trattamento in danno dei detenuti sottoposti al regime di EIV, i quali pur privati, alla stregua dei soggetti assegnati al 41-bis, della possibilità di accesso ai benefici penitenziari, anche qualora ne sussistano i requisiti di buona condotta penitenziaria e negatività della prognosi di recidiva, non sono tuttavia ammessi a chiedere un vaglio giudiziale in ordine alla legittimità dell’assegnazione al regime speciale di detenzione in questione, diversamente da quanto consentito ai detenuti in regime di 41-bis,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza delle gravi condizioni di disagio che caratterizzano la vita penitenziaria nel carcere di Palmi;
se intenda acquisire ulteriori informazioni in merito alle ragioni della carenza strutturale e della tendenziale disapplicazione dei principi di territorialità della pena, della sua funzione rieducativa e della necessaria salvaguardia dei diritti umani fondamentali, nonché della applicazione limitante e restrittiva della normativa sui benefici penitenziari, che nel suddetto istituto di pena si determina di fatto;
se non ritenga opportuno monitorare l’applicazione, svolta dal DAP, della normativa sull’assegnazione dei detenuti al regime di EIV.