Carcere: Interrogazione su EIV del sen. Fosco Giannini
Legislatura 15 Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-00337 |
Pubblicato il 19 luglio 2006
Seduta n. 21
GIANNINI - Al Ministro della giustizia. -
Risultando all’interrogante che:
la Corte costituzionale, con la sentenza n. 26 dell’ 11 febbraio 1999, ha dichiarato l’illegittimità degli artt. 35 e 69 della legge 354/75 (ordinamento penitenziario) nella parte in cui non prevedono una tutela giurisdizionale nei confronti degli atti dell’amministrazione penitenziaria lesivi dei diritti dei detenuti. La Corte non ha potuto addivenire a una sentenza additiva in quanto non ha rinvenuto nell’ordinamento una figura idonea cui rinviare invitando il legislatore a intervenire. Intervento che a distanza di sette anni non c’è ancora stato, nonostante giacciano da tempo, del tutto ignorate, presso le competenti Commissioni parlamentari di Camera e Senato diverse iniziative legislative per la tutela dei diritti dei carcerati, contribuendo in tal modo a prolungare una situazione pregiudizievole nei confronti dei soggetti che soffrono già la privazione dei più importanti dei loro diritti;
attualmente, la normativa in vigore prevede figure di reclamo generiche (come l’art. 35 dell’ordinamento penitenziario) che non attribuiscono al giudice chiamato alla tutela (il magistrato di sorveglianza) poteri (diretti) decisori e vincolanti per l’amministrazione penitenziaria con conseguente depotenziamento del ruolo di vigilanza che allo stesso è stato affidato dalla legge (art. 69 dell'ordinamento penitenziario);
considerato inoltre che:
precedentemente al 1992 vi era un unico circuito carcerario distinto con Casa circondariale per i giudicabili e Case di reclusione per i definitivi, all’interno del quale sopravvivevano le strutture delle sezioni ereditate dall’abrogato regime ex art. 90 istituito negli anni di emergenza di criminalità eversiva e non degli anni ’80. Dopo l’istituzione con legge del regime ex art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario nel ’92, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP) si orientò per la differenziazione del circuito carcerario in 2 livelli Media sicurezza (MS) e Alta sorveglianza (AS) con la circolare n. 3359/5809 del 21 aprile 1993. Il 9 luglio del 1998 il DAP, con la circolare n. 3479/5929, istituisce ex novo un ulteriore circuito inframurario denominato “Elevato Indice di Vigilanza” (EIV). L’esigenza per la creazione del circuito EIV era data dalla constatazione che nel circuito AS potevano e dovevano essere allocati solo imputati/condannati per reati di criminalità organizzata, mentre il circuito MS risultava idoneo a contenere soggetti di criminalità comune ma non di “spiccata pericolosità”, stesso problema per i condannati per reati di criminalità eversiva;
queste ultime due tipologie di detenuti erano infatti ristretti in sezioni comuni ma distinte da quelle di MS. Preso atto di tale situazione, la si è voluta disciplinare con la circolare n. 3479/5929 del 1998;
sia l’istituzione del circuito EIV che l’assegnazione individuale è avvenuta, ed avviene, in violazione della legge e delle garanzie costituzionali e comunitarie, in quanto la circolare del 9 luglio 1998 difetta sia per contraddittorietà intrinseca che per violazioni delle leggi nell’applicazione, ed ancora per inidoneità dell’atto istitutivo del circuito EIV;
dalla lettura della stessa circolare n. 3479/5929 si evince come motivo determinante per l’istituzione dell’ulteriore circuito EIV la necessità di evitare la commistione tra detenuti assegnabili al circuito AS per titolo di reato e detenuti comuni pericolosi o appartenenti a criminalità eversiva in quanto «potrebbe portare a inquietanti e nocivi legami o all’assorbimento nell’organizzazione di stampo mafioso». Successivamente si legge che si acconsente di «inserire eccezionalmente nel circuito EIV detenuti che per titolo di reato e altro presupposto dovrebbero essere assegnati al circuito AS». È di tutta evidenza la contraddittorietà. Si vuole evitare l’instaurazione di legami tra fenomeni diversi, tanto da istituire un nuovo circuito, salvo poi prevedere delle eccezioni (che sono la regola) che vanificano tale esigenza. La contraddittorietà del contenuto di un atto amministrativo è una tipica manifestazione di illegittimità per “eccesso di potere”;
nel titolo “Quadro normativo” della citata circolare si richiamano gli artt. 13 e 14 che prevedono un trattamento (rieducativo) individualizzato e permettono di determinare numericamente i detenuti e le sezioni detentive in virtù del trattamento individualizzato. Si richiamano gli artt. 31 e 32 del Regolamento di esecuzione (abrogati dal nuovo del 2000) che prevedono l’assegnazione nelle varie sezioni detentive a seconda che siano imputati/condannati, in considerazione della loro età, precedenti esperienze penitenziarie, natura colposa o dolosa del reato e così via. Ne discende una differenziazione su presupposti oggettivi. Buoni propositi che, purtroppo, non sono stati rispettati nei circuiti EIV, dato che sono assegnati nella stessa sezione o cella imputati/definitivi, condannati a pochi anni ed ergastolani, persone appena arrestate e persone in espiazione di pena da oltre 20 anni di carcere, condannati che usufruiscono di benefici premiali e imputati in attesa di giudizio. Ciò in violazione degli articoli di legge cui si era ispirata la circolare stessa. Sui condannati per i quali il legislatore ha previsto un percorso risocializzante, gli effetti nocivi derivanti dall’applicazione di un programma trattamentale contraddittorio – quale può essere quello attuabile all’interno di circuiti in cui esigenze diverse e contrapposte convivono – sono devastanti, come lo sono per coloro i quali sono in attesa di giudizio e che, nel 50% dei casi, saranno assolti;
la mancanza di un’oculata gestione del circuito EIV comporta, infine, lo sfondamento del numero limitato inizialmente deciso. A tale alterazione contribuisce da un lato l’indiscriminata assegnazione/classificazione EIV, dall’altro la mancanza di provvedimenti di declassificazione, pure prevista nella circolare. Potere che si è riservato l’ufficio del DAP, al contrario di quanto è previsto per il circuito AS che è affidato al Direttore dell’istituto che può avere anche più contezza dell’evoluzione del detenuto. L’inerzia in tal senso dell’Ufficio centrale ha determinato situazioni al limite della gestibilità che mortificano qualsiasi tentativo, non solo di recupero del condannato, ma anche di una dignitosa vivibilità;
mentre il regime speciale di cui all’art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario è stato istituito con legge (rinovellata con la legge 279/2002), il circuito EIV è stato istituito con una circolare del DAP e, mentre il 41-bis è reclamabile alla magistratura di sorveglianza l’EIV, dipende dal DAP stesso e non è reclamabile. Se è pur vero che il primo prevede limitazioni alle normali regole trattamentali previste dall’ordinamento penitenziario, a ben guardare è vero anche che la classificazione nel circuito EIV comporta delle limitazioni alle offerte trattamentali, come dimostra la stessa esistenza delle possibilità di essere declassificati verso un circuito in cui le offerte trattamentali sono maggiori. La classificazione nel circuito EIV comporta: detenzioni in istituti lontani dai familiari, impossibilità di richiedere trasferimenti per motivi di studio in istituti diversi e più attrezzati ed ancora impossibilità di partecipare a offerte trattamentali programmate nello stesso istituto ma per altro circuito AS e MS. Esempi atti solo a significare come la circolare, nei fatti, non ha solo risvolti organizzativi, ma produce effetti che incidono anche sui diritti che non trovano adeguata e opponibile tutela;
la Corte europea per i diritti dell’uomo (CEDU) ha condannato l’Italia, in quanto la classificazione EIV avviene al di fuori di ogni tutela e garanzia per il detenuto. La circolare n. 3479/5929 è un atto inidoneo a produrre effetti giuridici in capo a terzi. È solo uno strumento di conoscenza che opera tra uffici amministrativi;
la decisione di classificare o destinare un detenuto nel circuito EIV, quando non avviene sulla base del titolo del reato, è il risultato dell’esercizio di un potere discrezionale che non è riconosciuto dall’amministrazione penitenziaria, e quando è esercitato prende la forma di provvedimento e non può rimanere esente da controlli esterni. D’altronde l’art. 113 della Costituzione prevede che «Contro tutti gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti»;
un provvedimento legislativo per la tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti garantirebbe il detenuto sia in fase classificatoria che in quella declassificatoria. È dunque necessario che si proceda per provvedimenti con i quali sarebbe possibile tutelare e rilevare presupposti, atti e fatti su cui si fonda la ponderazione e la valutazione alla base del provvedimento stesso. Conoscibilità di atti e fatti di valutazione oggi preclusa;
nell’attuale situazione, specie per coloro che non sono assegnati a tale circuito sulla base del titolo del reato, e cioè tutti coloro cui è stato revocato il regime ex art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario, si ritrovano in balia di una norma in bianco, anzi di una “non norma” dalla quale non possono difendersi. Pur avendo avuto un giudicato dall’autorità giudiziaria che li aveva declassificati, gli stessi si rivedono assegnati in un altro circuito/regime che si rivela un “limbo” da cui non è possibile uscire. Punto dolentissimo è infatti quello relativo alla declassificazione. Non solo non si può ricorrere a un sindacato giurisdizionale, ma l’assenza di parametri di riferimento è dichiarata nella stessa circolare, determinando una situazione di assoluta incertezza che pare sconfinare nell’arbitrio, inammissibile in uno Stato di diritto,
si chiede di sapere:
quali urgenti iniziative il Ministro in indirizzo intenda adottare al fine di garantire la tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti;
se lo stesso, politicamente al vertice del DAP, non intenda, ai sensi dell’art. 95 della Costituzione, nell’attesa di una regolamentazione legislativa dell’istituto EIV, dettare nuove direttive volte all’utilizzo di criteri più rispondenti al principio di legalità quanto alla tipologia di detenuti da co-detenere, quanto ai criteri di assegnazione, quanto ai criteri di declassificazione dal circuito EIV che, in base al principio di trasparenza, devono essere pubblici.