"Dal Diritto al Dissenso, alla Dittatura Democratica"
01-02-2008 - Ore 17.00 - Ex-deposito ferroviario - Cosenza
Incontro-dibattito con
Haidi Giuliani e Silvia Baraldini
Dal diritto al dissenso alla dittatura democratica
Uno stato che mette in discussione i diritti fondamentali dell'uomo, costituzionalmente garantiti, è uno stato in cui il rischio dittatura è reale. Quello che stiamo subendo in Italia, è vero, non è dittatura, ma ogni dittatura inizia con la repressione di chi dissente. Repressione del pensiero, degli stili di vita, di chi ha la pelle scura, di chi lotta in difesa del proprio territorio e della propria salute. Eppure la Costituzione Italiana è fondata su valori quali la libertà, l'accoglienza e la tutela dei diritti per tutti. Il Popolo Sovrano. Ripudia la guerra. È fondata sul lavoro. Invece il lavoro uccide più della mafia e i padroni hanno l'impunità garantita, chi pensa che guerra e sfruttamento sono reati contro l'umanità è condannato ad anni di carcere mentre chi le fa, causando la morte di centinaia di migliaia di innocenti, viene riverito con gli onori di stato. Vengono agitati fantasmi "anarco-insurrezionalisti" tra le comunità che si oppongono alla devastazione ambientale e sociale dei propri territori. È più che mai necessario riaprire una discussione costruttiva attorno ai diritti umani e al sistema delle garanzie sempre più a rischio per chiunque osi esprimere un pensiero diverso da quello unico dominante che mette le merci e il denaro al centro dell'universo calpestando dignità e diritti. Si dissemina paura realizzando "business", perchè la paura fa business, consentendo l'approvazione di pacchetti sicurezza mirati a reprimere tutto ciò che è epidermicamente fastidioso alla società dell'apparire. Uno Stato feroce, arrogante e giustizialista con chi lotta per una società migliore, con i deboli, con chi vive ai margini e i "diversi" che diventa garantista, solidale e complice con gli sfruttatori e i predatori della terra.
Assoluzioni e promozioni eccellenti per quanti hanno ucciso e torturato a Genova come a Napoli, per le strade, nelle carceri, sul lavoro, di contro condanne e anni di carcere, per quanti lottiamo per un mondo migliore, ci impognono una riflessione costruttiva per la riapertura del dibattito su diritti e garantismo contro la repressione di stato che aleggia in ogni dove, annullando con un colpo di spugna le LIBERTA' per cui i Partigiani diedero la vita.
Dal diritto al dissenso alla dittarura democratica, sarà luogo di discussione comune a tutte le realtà di movimento che vorranno costruire dal basso proposte e percorsi a difesa dei diritti e delle libertà individuali e collettive.
Coordinamento Liberitutti
APPELLO ALLA MOBILITAZIONE DEL 2 FEBBRAIO
Erano passati pochi giorni dalla manifestazione di un milione di persone contro la guerra in Iraq che aveva concluso il Forum Sociale Europeo di Firenze, una delle più importanti esperienze di partecipazione democratica realizzate nel nostro paese. La notte del 15 novembre 2002 venti persone che erano state fra gli organizzatori di quel Forum furono arrestate dai reparti speciali dei ROS e dei GOM. Ad altri cinque furono notificati gli arresti domiciliari. Quarantatre persone finirono indagate nel filone di inchiesta. Le irruzioni di uomini armati fino ai denti e con il volto coperto terrorizzarono molte famiglie a Cosenza, Napoli e Taranto.
Tredici persone furono rinviate a giudizio, accusate di aver voluto “sovvertire violentemente l’ordine economico costituito nello stato” per essere stati fra gli animatori delle grandi manifestazioni di popolo in occasione del vertice OCSE di Napoli e del G8 di Genova nel 2001.
Quel processo, iniziato il 2 dicembre 2004 presso la Corte di Assise di Cosenza, è alle sue battute finali. La requisitoria del Pubblico Ministero è prevista per il 23 gennaio, e poco dopo sarà emessa la sentenza.
Solo un mese fa il Tribunale di Genova ha comminato più di un secolo di carcere a ventiquattro manifestanti. Sono stati inflitti fino a 11 anni di carcere utilizzando reati da codice di guerra come l'accusa di "devastazione e saccheggio".
Al contrario, nessuno ha pagato per le inaudite violenze compiute dalle forze dell’ordine sui manifestanti a Genova, giudicate da Amnesty International la più grave violazione dei diritti umani in Europa dal dopoguerra.
Nessuno dei dirigenti responsabili ha dovuto rendere conto degli errori ed orrori commessi: al contrario, sono stati tutti promossi. I processi per la macelleria della Diaz e le torture a Bolzaneto si avviano alla prescrizione per decorrenza dei termini. L’omicidio di Carlo Giuliani è stato archiviato senza un processo. Il Parlamento ha respinto la richiesta di istituzione di una Commissione di Inchiesta. Al contrario, gli imputati di Cosenza rischiano pene severissime.
Ancora una volta c’è bisogno di difendere la dignità calpestata del nostro paese e le garanzie democratiche –nel sessantesimo della Costituzione. Una volta ancora bisogna pretendere verità e giustizia sui fatti di Genova, e difendere il diritto a costruire un “un altro mondo possibile”.
Il nostro paese è pieno di lotte, vertenze nazionali e locali, resistenze e proposte per i diritti umani, sociali, civili, politici, ambientali, per la difesa dei beni comuni, contro la guerra e il riarmo. L’attivismo civile e la mobilitazione sociale dovrebbero essere considerati una risorsa di questo paese.
Al contrario, questi conflitti finiscono sotto processo e tante persone rischiano di vedersi rovinata la vita per il loro impegno sociale. Crediamo sia necessario allargare la riflessione, la solidarietà e l’iniziativa unitaria di fronte ai segnali di una deriva securitaria e repressiva contro ogni forma di diversità e di dissenso.
Agli imputati di Cosenza viene contestato di essere protagonisti attivi del movimento altermondialista e delle lotte per il cambiamento, attività che viene quindi considerata sovversiva e cospirativa.
Questo processo riguarda perciò fino in fondo tutti coloro che credono doveroso impegnarsi per una società e un pianeta più giusti e che vogliono per tutti e per tutte il diritto ad agire, ad opporsi, a praticare e vivere alternative.
E’ tempo di tornare a Cosenza da ogni parte d’Italia, come facemmo il 23 novembre del 2002 protestando insieme a tutta la città.
Costruiamo insieme una nuova grande manifestazione a Cosenza sabato 2 febbraio
per liberare chi è sotto processo da accuse inaccettabili.
DIFENDIAMO IL DIRITTO A VOLER CAMBIARE IL MONDO
Le adesioni collettive e individuali vanno inviate a: liberitutti@inventati.org
www.cosenza2febbraio.org
Buon anno dal carcere
Buon anno ai prigionieri e a tutti i prigionieri di se stessi
buon anno agli uomini in nero del ministero d'ingiustizia che gestiscono le persone senza essere persone
buon anno ai giudici che pretendono di giudicare senza essere giudicati
buon anno a tutti gli inocenti pure ai colpevoli e a quei colpevoli di essere innocenti
buon anno alle guardie carcerarie sperando che si ricordino che per gestire le persone bisogna essere persone
buon anno ai forcaioli purchè si ricordino che il carcere è come un'autostrada e ci possono passare pure loro
buon anno a quelli che sono morti per essere vivi ed a quelli che tentano di essere vivi per non morire
buon anno a quelli che non sono buoni per andare in paradiso e ai cattivi che non hanno paura di andare all'inferno
buon anno a tutti quelli che soffrono piangono ridono e sono felici ai pazzi ed ai normali che fanno i pazzi per non impazzire
buon anno a quelli che hanno speranza a quelli che l'hanno persa e a quelli che s'illudono e sognano e a quelli che non reggono il peso della prigione e della sofferenza
buon anno a tutti i prigionieri del mondo pure a quelli di Guantanamo
buon anno a tutti quelli che si sono tolti la vita in carcere
buon anno a quelli che si sentono piccoli perchè solo così si può essere grandi
buon anno a quelli che credono che la verità non è che un aspetto della verità
buon anno a quelli che credono che il giudizio per essere giusto dovrebbe tener conto non soltanto del male che uno ha fatto ma anche del bene che farà non solo della sua capacità di delinquere ma anche della sua capacità di redimersi
buon anno a quelli che sono solo ciò che sono che non si piegano alle ingiustizie e non si rassegnano
buon anno anche ai deboli che sono forti perchè non lo nascondono
buon anno a quelli che credono che non rispettando i diritti dei criminali non si rispettano neppure quelli degli uomini migliori
buon anno a quelli che credono che irrecuperabile non è il detenuto ma pittosto è irrecuperabile il carcere
buon anno a quelli che fanno il male così pinamente e allegramente come quando devono punire i prigionieri
buon anno a tutte le vittime dei prigionieri e quindi ai prigionieri vittime di se stessi e della società
buon anno ai nostri aguzzini che non ci fanno capire dove abbiamo sbagliato ma ci puniscono solo perchè abbiamo sbagliato
Carmelo Musmeci
carcere di Spoleto 2007
NON LASCIAMOLI SOLI...
di carcere non si può morire...
SABATO 1 DICEMBRE 2007 ORE 10.00
CARCERE DI SIANO (CZ)
PRESIDIO DI SOLIDARIETA'CON I PRIGIONIERI IN LOTTA.
PER DIRE NO ALL'ERGASTOLO!
NO AI CIRCUITI DIFFERENZIATI!
NO AL CARCERE-DISCARICA!
NO ALLA TORTURA!
NO ALLA CRIMINALIZZAZIONE DEI MIGRANTI!
NO ALLA CRIMINALIZZAZIONE DELLE LOTTE SOCIALI!
ASSOCIAZIONE YAIRAIHA ONLUS-CS, PRIME ADESIONI: ON. FRANCESCO CARUSO (INDIPENDENTE PRC-SE) ON. SALVATORE CANNAVO’ (ASS. SICISTRA CRITICA - PRC.SE), COMITATO DI LOTTA PER LA CASA “ACQUI RESTAMOS”-CS, CNCA-CALABRIA, COMUNITA' PROGETTO SUD-LAMEZIA TERME, CONFEDERAZIONE COBAS-CS, C.S.O.A. “A. CARTELLA”-RC, C.P.O.A. RIALZO - MOVIMENTO AMBIENTALISTA DEL TIRRENO, RETE ANTAGONISTA-CALABRIA, RETE ANTIRAZZISTA-CS, SEGRETERIA PROV. PRC-CS, ASSOCIAZIONE SINISTRA CRITICA - CALABRIA, OPERA NOMADI CS, PRC-SE CALABRIA, FEDERAZIONE PROV. PRC-CZ...
Scarica il flyer
E' uscito il secondo numero de "L'Evasione"
E' uscito il secondo numero del nostro giornale "L'Evasione".
Scarica il secondo numero
Esce il n. 0 de "L'Evasione"
Cari amici, finalmente esce il n. 0 de L'evasione: idee in fuga. Dal titolo si evince già il carattere che avrà questa nuova testata: idee e pensieri che riescono a oltrepassare le sbarre e i muri di cinta, idee e pensieri liberi di superare le soglie delle strutture totali.
L'EVASIONE - leggilo in formato PDF
BUONA LETTURA
"Mai più ergastolo"
La Costituzione della Repubblica italiana sancisce all'art. 27 che "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".
Ma quale rieducazione può derivare dalla certezza di un fine pena "mai"? Quali percorsi è disponibile ad intraprendere un condannato all'ergastolo che ha come unica certezza il non-ritorno nella società? È difficile anche solo immaginare il tempo che si cela dietro la certezza di una pena perpetua, rappresentando di per sé una forma di tortura (tortura bianca) e, di conseguenza, venendo meno ai principi sanciti dalla nostra Costituzione.
Forme ed espressioni del dissenso, dai gruppi organizzati ai movimenti. Intervista ad Haidi Giuliani e Silvia Baraldini
Gli anni 70 della
Baraldini, la guerra in Vietnam e la difesa dei diritti civili della
popolazione afro-americana, l’esperienza di Heidi Giuliani, dai social forum al
movimento fino all’esperienza parlamentare; storie di vita a confronto. Sembra
quasi una illusione trovarsi di fronte quei grandi occhi azzurri cantati da
Guccini di cui nel secolo scorso tanto si è detto, come allo stesso tempo
reincontrarli al fianco di una donna la cui minuta corporatura nasconde una
grande forza, che la spinge a girare l’Italia in lungo ed in largo nel
tentativo che quanto accadde a Genova non resti solo una pagina di storia
macchiata dal sangue del proprio figlio. L’attivismo della prima, negli Stati
Uniti di Nixon, ed i ricordi di giovane sessantottina della seconda fino
all’attualità, nel tentativo di rintracciare le peculiarità e le differenze del
mondo del dissenso di ieri ed oggi. Ricordi, esperienze che rivivono attraverso
i pensieri più radicali della prima e le posizioni più moderate della seconda.
Dalla militanza nel
19 Maggio, nelle Pantere Nere fino al supporto al movimento clandestino
afro-americano. Il mondo del dissenso degli anni settanta in America rispetto a
quello attuale italiano e non….
BARALDINI: Non vi è
grande differenza tra ieri ed oggi, gli afro-americani, non hanno tuttavia alcun potere nella società
americana. L’unica grande differenza che posso riscontrare (dopo quanto
accaduto in questi anni) è che il movimento radicale “rivoluzionario” è stato
sconfitto attraverso la repressione. Adesso, la richiesta per quei diritti
(civili) si esprime solo attraverso le elezioni, fermandosi alla scelta del
candidato che meglio rappresenti tali richieste. I problemi sono gli stessi, ma
la metodologia è cambiata.
GIULIANI: La
richiesta dei movimenti riunitisi a Genova nel 2001 è stata quella di una
maggiore partecipazione dal basso alle scelte politiche e sociali. La
contestazione, muoveva contro i cosiddetti otto grandi rei di voler prendere
decisioni che avrebbero riguardato l’intera popolazione mondiale. Il movimento
a Genova rappresentava anche chi non c’era (chi si era fermato solo agli
incontri nei vari forum sociali). Ancora una volta si è trattato di un monito
di dissenso verso chi detiene il potere. La repressione che ne ha fatto seguito
ha avuto l’effetto di cancellare la voce di rappresentanza di tutti quei popoli
che nel mondo non hanno voce, spostando l’attenzione sulle violenze (vere e
presunte) adombrando la vera richiesta dei popoli.
Dalla tutela dei
diritti all’aspetto economico. Il movimento del dissenso attuale muove la
propria contestazione verso un sistema capitalistico che tende ad inasprire le
differenze tra i vari paesi. Dunque, sulla base di ragioni economiche ideali
che trovano fondamento in problematiche di natura sociale?
BARALDINI: Sono
venuti formandosi molti movimenti nel sud del mondo consapevoli della loro
posizione che chiedono e vogliono un cambiamento. Ciò ha dato a noi in
occidente una nuova consapevolezza sul nostro rapporto con loro e con i centri
del potere. Da Genova fino al social forum di Firenze vi è stata una forte
spinta positiva, che ha conosciuto poi una fase di stallo a causa dell’operato
delle autorità che con la loro repressione (ed espansione della stessa) hanno
causato una frantumazione del movimento, non più capace di sostenere quella
spinta positiva, attraverso la scelta
misura e chiara di dove, come e chi reprimere. A questo punto, dal movimento ci
si sposta sul singolo (parlo da osservatore). Il movimento è stato incapace di sostenere una risposta unitaria,
ci si trova di fronte ad un singolo contro uno Stato molto più potente dando
luogo ad una visione di debolezza del movimento in se, che se avesse risposto
in forma unitaria forse il rapporto sarebbe stato molto più equilibrato.
GIULIANI: Da giovane
contestatrice degli anni settanta posso dire che allora si sognava
l’internazionalismo, ci si trovava di fronte a qualcosa non ben definito,
vivevamo ancora un capitalismo ristretto ai confini del nostro paese. La
globalizzazzione del capitalismo ha fatto aumentare in modo esponenziale la
forza e la potenza di quei pochi che voglio decidere le sorti di un intero
mondo, rendendo estremamente debole la protesta di chi non è d’accordo. Inoltre,
tale situazione ha inasprito l’antica malattia tipica della sinistra, che
piuttosto che raggiungere la maturità di lavorare insieme ai movimenti, anche
partendo da posizioni diverse, per raggiungere obiettivi comune preferisce
guardarsi al suo interno. “Questo è quello che abbiamo sognato con Genova ma
che poi si è frantumato”.
Lo spirito, gli
ideali con cui ci si avvicina al mondo del dissenso oggi sono sentiti allo
stesso modo rispetto agli anni settanta?
BARALDINI: Noi negli
Stati Uniti avevamo degli obiettivi ben definiti, una questione fondamentale da
cui non si poteva prescindere: c’era la guerra in Vietnam e noi dovevamo
fermarla. Ciò comportava il muoversi lungo una strada che non percorrevi da
solo, che conduceva alla militanza ed oltre. Diventava una scelta individuale
che condizionava tutto. Adesso credo sia più difficile, non vi è una questione
così determinante che ti chiama in causa che permette di effettuare un
distinguo, di prendere una decisione netta: o sei per la guerra o contro.
Adesso è più difficile.
GIULIANI: Bisognerebbe
chiederlo ai giovani, da giovane militante negli anni settanta ricordo una
condivisione di ideali che conduceva a percorrere una strada insieme,
permettendoti di prendere una decisione netta; e per assurdo lo è anche oggi,
anche se ci sono infinite guerre. Oggi è più complicato, per noi era più
facile, i contorni erano ben definiti: tutto il bene era da una parte e tutto
il male dall’altra. Oggi stabilire ciò è molto più complesso, i confini si sono
allargati (e talmente confusi), per noi si fermavano alla nostra città; il
resto lo immaginavamo. Questa situazione può disorientare, anche i ragazzi del
social forum di Genova venivano da esperienza, storie obiettivi ed ideali
differenti. Adesso è impossibile individuare una divisione così netta, ma ciò
non ci deve far arrendere; questo mai, qualcuno diceva: “L’unica battaglia persa è quella che ho
abbandonato”.
Il rapporto con la
politica, il movimento del dissenso quale forma di democrazia dal basso
rispetto a quelli che sono i canali istituzionali della politica….
BARALDINI: Io ho una
posizione molto netta a riguardo, il movimento deve andare per la sua strada e
cercare di mette radici, coltivare quelli che io chiamo i piccoli focolai di
resistenza che ci sono sparsi per l’Italia, farli crescere e maturare e poi se
si deve dialogare con la parte istituzionale della politica ben venga; per me
comunque questa non è la priorità. Il mio punto di vista è che il dialogo con
la parte politica istituzionale è un vicolo cieco, che in questo momento può
solo danneggiare il movimento.
GIULIANI: “La
politica è sempre politica”, il movimento ha sempre rappresentato la coscienza
critica dei partiti della sinistra. Il dramma è che oggi ci si trova di fronte
“ai movimenti”, non al movimento. I movimenti hanno subito un processo di
frantumazione e diversificazione in infiniti distinguo che influiscono
negativamente. È una cosa positiva che ad esempio i vari comitati “NO TAV”, “NO
PONTE”, abbiamo costituito un patto di mutuo soccorso, ma ciò non garantisce
quel rapporto stretto che permette di lavorare insieme è solo un patto di mutuo
soccorso (se aggrediscono te io vengo in tuo aiuto)
Attuale contesto
storico, crisi delle istituzioni e disinteresse dell’opinione pubblica. I fatti
di Genova ed i relativi processi. Come definirebbe il rapporto politica
magistratura?
BARALDINI: Quello
che ho imparato attraverso il mio caso è che la magistratura non è
assolutamente indipendente dalla politica. Nel mio caso ha deciso Fassino
(all’epoca ministro della giustizia), il giudice di sorveglianza ha solo
trascritto la decisione. In Italia l’indipendenza rimane solo lettera scritta,
ma non corrisponde a prassi. Il racconto del viaggio per le prefetture italiane
alla ricerca di quella che avrebbe accettato un impianto accusatorio come
quello dell’attuale processo, credo sia stata una cosa studiata a tavolino.
Certo, sarebbe stato meglio a livello politico per noi dar vita ad un impianto
difensivo unico come movimento non individuale com’è accaduto.
GIULIANI: Sono
cresciuta con la convinzione di avere come cittadina di questo paese una buona
carta costituzionale. Nel corso degli anni mi sono resa conto, che tale dettato
normativo è stato troppe volte disatteso ed inattuato, ma anche che sono in
tanti che hanno voglia di mettervi mano. La costituzione rimane l’ultimo
baluardo cha ci rimane. Parlo anche alla luce della mia recente esperienza in
Senato quale senatrice della sinistra arcobaleno, dove spesso mi sono trovata
(pur essendo membro della maggioranza) in minoranza all’interno di una
maggioranza tutta da definire. Più volte si è tentato di mettere mano alla
carta costituzionale nel tentativo di varare delle riforme, prima con
Berlusconi, il cui tentativo fortunatamente è stato bloccato dal referendum popolare,
poi dalla stessa maggioranza di cui ero membro. Dobbiamo difendere la nostra
carta costituzionale sessant’anni fa come oggi, dobbiamo stare attenti a non
farcela portar via con la scusa che è troppo vecchia è va ringiovanita. “Un
accidenti”, quella costituzione ha impedito (anche peggio di quello che abbiamo
vissuto e subito) il peggio e credo che dobbiamo continuare a difenderla.
Carla Filetti
Una piccola Guantanamo in Italia?
Testimonianza di un prigioniero arabo-islamico nelle carceri italiane
A gennaio del 2008 è stata aperta una nuova sezione Elevato Indice di Vigilanza a Benevento dove sono raggruppati soli prigionieri islamici. Una decina in tutto: 5 algerini, 1 egiziano, 1 tunisino ed un anziano palestinese di 82 anni, con problemi di salute, da 17 anni in carcere in Italia per i fatti dell'Achille Lauro. Cinque provengono dalla sezione EIV di Siano (CZ), due da Poggioreale, uno da Carinola (CE), uno da Sulmona e uno da Parma. La struttura della sezione è già di per se significativa: bocche di lupo alle finestre, oltre le reti; reti sopra il passeggio; luce e televisione vengono spente a mezzanotte; non sono state consentite le audiocassette con registrazioni religiose (già consentite nelle carceri di provenienza) e i libri permessi in cella sono limitati a cinque. Il regime di detenzione si è subito rivelato di tipo intimidatorio, teso ad imporre una disciplina vessatoria e militaresca: tra le numerose angherie si impone ai prigionieri di stare in piedi, in silenzio e di spegnere la televisione durante la quotidiana battitura delle sbarre delle finestre in cella. A chi distribuisce il vitto (uno dei dieci suddetti prigionieri) viene imposto, con minacce, da tre guardie di non parlare con gli altri. In particolare, lo scorso 10 febbraio, una guardia ha minacciato due lavoranti di portarli in isolamento e di picchiarli se non avessero accettato le loro imposizioni. Strane coincidenze tra l'”etica” dei secondini addetti a questa sezione e quella dei reparti “speciali” operanti a Bolzaneto, alla Diaz e per le strade di Genova nel 2001. Il 27 febbraio, alle 10.30, il sottoscritto Yamine Bauhrama, in seguito ad una protesta verbale contro una guardia che, con tono fortemente provocatorio, mi diceva di non impiegare più di 10 minuti per la doccia. <<Chiudi la bocca e rientra in cella!>> è stata la sua risposta, dopodichè si avvicina e mi colpisce con un pugno in faccia, intervengono altre due guardie e mi riportano in cella. Alle 12 è tornata la guardia che mi aveva colpito per farmi uscire per l'ora d'aria “accompagnandomi” con pesanti insulti, scatta una colluttazione e intervengono altre guardie a calci e pugni. Gli altri prigionieri iniziano subito una battitura delle sbarre, quindi sono intervenuti un ispettore e un brigadiere che mi riportano in cella. Dopo due ore, alle 14.10, ritorna il brigadiere che mi accompagna dal medico per farmi visitare. Arrivato al piano di sotto dove è situata l'infermeria, già nel corridoio vengo colpito da una guardia con un pugno in testa, davanti all'ispettore e al brigadiere. Poi fui trascinato da tre guardie davanti al medico il quale mi ha solo guardato in faccia, senza neanche visitarmi, e ha riferito che era <<tutto a posto!>>, in seguito venni trascinato in una cella cinque metri più avanti dove entrarono una decina di guardie che cominciarono a picchiarmi con calci e pugni, alla testa e sul corpo, sbattendomi la testa contro il muro. Per dieci minuti almeno, alla presenza dell'ispettore, del brigadiere e del medico. Finito il pestaggio, mi hanno spogliato nudo con la forza, minacciandomi di morte nel caso avessi parlato. Gli altri prigionieri, sentendo le mie urla, hanno cercato di farsi sentire all'esterno con una battitura delle sbarre. Per 3 giorni sono rimasto in quella cella e in sciopero della fame. Il giorno dopo chiesi alla matricola di poter esporre denuncia di quanto accaduto ma non mi fu permesso. Il 29 mattina sono andato in consiglio di disciplina, dove ho esposto l'accaduto al direttore ed al comandante. 15 giorni di isolamento è stato l'esito. Il 1 marzo vengo trasferito. Mentre salivo sul furgone un ispettore mi “ricordava” di non parlare con nessuno di quanto successo. Ora mi trovo nel carcere di Siano dove ho scontato i 15 giorni di isolamento per poi ritornare nella sez. EIV per soli prigionieri politici. Yamine BauhramaSiano, 20 marzo 2008
Fiabe dal carcere scritte da un ergastolano
Perché ho deciso di scrivere fiabe?
Probabilmente perché le fiabe fanno crescere interiormente e io non sono ancora cresciuto o forse sono cresciuto troppo in fretta.
Probabilmente per rivalsa delle fiabe che nessuno mi ha mai raccontato o semplicemente perché una fiaba con la sua magia può trovare una via di uscita nel buio del mio cuore.
Probabilmente perché la fantasia mi offre la speranza che la vita reale non mi può più dare.
Probabilmente perché le fiabe mi riaccendono la speranza che possa tornare ancora bambino.
Probabilmente perché quando la sera ti accorgi che la vita diventa troppo difficile e non hai più nessuna speranza che possa cambiare in meglio, ci si attacca a tutto anche alla magia, perché senza neppure la speranza della nostra fantasia non ho la forza di affrontare le avversità della vita.
Probabilmente perché tramite le mie fiabe posso immaginare un eventuale lieto fine.
Probabilmente perché la notte quando la cella si riempie di orchi, mostri, zombi e lupi cannibali, spunta Zanna blu, Lupa bella, Coda bianca e Occhi neri e mi portano in un mondo migliore.
Carmelo Musumeci
Carcere di Spoleto - aprile 2008
Figli del 41 bis
Brasile: estradizione di Cesare Battisti ora è nelle mani di Lula
Ansa, 17 aprile 2010
Il Supremo Tribunal Federal brasiliano (Stf) ha pubblicato oggi le motivazioni della sentenza con la quale mesi fa ha dato via libera all’estradizione in Italia dell’ex terrorista rosso, rilevando che ora spetta al presidente brasiliano pronunciare l’ultima parola: un documento, quello dell’Alta Corte, in cui si smonta in sostanza la tesi che Battisti sia un perseguitato politico.
Uno dei punti chiave delle motivazioni sulla sentenza contro Battisti, che si trova in un carcere di Brasilia, rileva infatti che i quattro omicidi - commessi alla fine degli anni 70 - per i quali l’ex membro dei Proletari armati per il comunismo è stato condannato in Italia, sono stati perpetrati "senza alcun obiettivo politico immediato", né rappresentano "una legittima reazione ad un regime oppressivo". Il testo parla inoltre dell’Italia dell’epoca come di un paese "in piena normalità istituzionale dello Stato di diritto".
Proprio sulla base di tale punto, sottolineano analisti locali, nel caso in cui il presidente Lula decidesse di confermare l’asilo politico a Battisti - come hanno ipotizzato anche oggi alcuni media brasiliani - dovrà presentare una motivazione diversa dalla persecuzione politica.
Il dispositivo della sentenza pronunciata nel novembre scorso rileva inoltre che "nonostante la decisione" - e cioè il sì all’estradizione - dell’Alta Corte "non sia vincolante", Lula dovrà "osservare i termini del trattato di estradizione firmato tra Brasile e Italia". I giudici fanno in altre parole capire che pur avendo ora Lula l’ultima parola, lo stesso capo dello Stato dovrà muoversi nell’ambito dell’accordo di estradizione Roma-Brasilia in vigore da diversi anni.
A concedere lo status di rifugiato politico a Battisti era stato, nel gennaio 2009, l’ex ministro della Giustizia, Tarso Genro, che aveva preso tale decisione sulla base "dello statuto dei rifugiati del 1951", il quale prevede quali ragioni valide per la concessione dell’asilo "il fondato timore di persecuzione per motivi di razza o di opinione politica".
La pubblicazione delle motivazioni sul sito web dell’Stf (due pagine di sintesi, su un totale di 200) giunge pochi giorni dopo - lo scorso lunedì a Washington - di un colloquio tra il premier Silvio Berlusconi e lo stesso Lula, il quale in quell’occasione aveva fatto sapere di voler aspettare "le motivazioni" con cui la Corte avrebbe argomentato la sua sentenza.
Il premier aveva da parte sua espresso totale fiducia nei confronti delle autorità brasiliane per l’espletamento delle procedure di estradizione, oltre al rispetto nei confronti del lavoro dei giudici brasiliani. Ora il documento è di fatto sul tavolo del capo di Stato.
Fonti della difesa di Battisti hanno ricordato all’Ansa di avere cinque giorni di tempo, a partire da lunedì, per leggere e controllare con la lente d’ingrandimento le 200 pagine della sentenza. "Valuteremo se ci sono contraddizioni od eventuali punti oscuri nel testo", hanno rilevato le fonti, che secondo le norme brasiliane non hanno più possibilità di presentare ricorsi.
In questi giorni sono rimasto sorpreso della sensibilità del nostro Ministro della Giustizia, tanto che ora quando qualcuno dei miei compagni di pena brontola che viviamo in un paese senza giustizia, vado su tutte le furie.
Come si fa a dire sciocchezze del genere, se il nostro Ministro, nel momento in cui è venuto a conoscenza che un cagnolino soffriva d'ansia, perché gli avevano arrestato il proprio padrone, si è impegnato in prima persona perché il padrone ottenesse gli arresti domiciliari e potesse consolare il suo cagnolino.
Onore al cane, onore al suo padrone che ha capito di vivere in un paese in cui i cani hanno più diritti dei figli dei detenuti, onore al Magistrato che gli ha concesso gli arresti domiciliari, onore al Ministro Alfano e alla sua sensibilità, che ha permesso di non mortificare la dignità di un cane che soffriva d'ansia.
Vede signor Ministro, sono un condannato per reati di poco conto, a pochi anni di carcere, ma siccome sono nato a Palermo, tra quei reati è stata aggiunta anche la ciliegina del 416 bis, che in Sicilia non si nega a nessuno e per questo devo scontare sino all'ultimo giorno di pena segnato in sentenza.
Signor Ministro, durante tutta la durata della pena ho visto una sola volta a colloquio i miei figli, perché nonostante il 416 bis, non ho mai avuto la possibilità economica per farli venire a trovarmi, a Spoleto.
Ora che mi restano pochi mesi di carcere da scontare, avevo chiesto un permesso e mi è stato negato, perché i miei figli non soffrono d'ansia per un padre che non vedono da anni e non sono stati ritenuti altrettanto meritevoli d'attenzione di quel cane che lei ha preso così tanto a cuore.
I miei figli non soffrono e non hanno bisogno della presenza del padre, per essere confortati come quel cane che lei ha preteso venisse rasserenato dalla presenza del suo padrone.
Signor Ministro mi consenta di dirle che è davvero un grande Paese quello dove il Ministro della Giustizia si preoccupa per l'ansia di un cagnolino e non dei figli dei detenuti che non possono vedere i genitori per anni.
Di Gregorio Girolamo
Casa di reclusione di Spoleto lì, 1 settembre 2010
NO ALLA DEPORTAZIONE DEI ROM DA COSENZA
Come appartenenti alla rete antirazzista cosentina esprimiamo la nostra massima solidarietà e complicità ai fratelli rom accampati sulla riva sinistra del Crati. La vicenda rom oramai da anni spunta nelle piene invernali e scompare in primavera. Da ormai tre anni assistiamo al continuo rimpallo tra le istituzioni circa la questione campo rom senza nessuna soluzione, si sono susseguite solo chiacchiere e passerelle mediatiche fino ad arrivare a renderla emergenza da trattare come ordine pubblico.
I professionisti del sociale e dell'antirazzismo negli anni hanno millantato soluzioni al problema creando le emergenze per conquistare qualche passerella politica e incrementare i carrozzoni clientelari sui quali reggono il loro misero potere. Dopo tre anni ci ritroviamo nelle stesse condizioni del 2007 e oggi, a riprova dell'immobilismo di una intera classe politico-amministrativa, pende sul campo rom la spada di Damocle di uno sgombero che, entro primo marzo, spazzerà via quel microcosmo creatosi sulle rive del Crati nell'indifferenza generale.
I Rom a Cosenza hanno una lunga storia, da oltre 50 anni si assiste all'insediamento di comunità che interagiscono con la città a vari livelli, dalla strada alle stanze dei bottoni. Abbiamo assistito allo sgombero di capodanno di Gergeri e alla conseguente rasa al suolo delle baracche, con assegnazione di case, perchè in quella zona ricadevano gli appetiti dei signori del cemento e continuiamo ad avere sotto gli occhi la baraccopoli di via Reggio Calabria i cui abitanti da anni aspettano l'assegnazione di una casa. E tutti tacciono. Anche il buon Massimo Converso che alle comunità Rom di mezza Italia non può più avvicinarsi e che sulla falsa, quanto inutile, integrazione dei rom ha costruito la sua immagine e fortuna. Ma i rom romeni devono essere sgomberati, le baracche rase al suolo e la comunità deportata su modello Rosarno. Forse perchè non votano? O forse perchè la deriva razzista e xenofoba in questo Stato si materializza con azioni come quelle che abbiamo visto a Ponticelli, a Roma, a Milano, a Rosarno, a Corigliano e, domani, forse a Cosenza.
Rimandiamo al mittente gli attacchi miopi dei servi di partito derivanti dalla bieca visione dilagante secondo la quale amministrare la cosa pubblica sia una questione privata e che, peggio ancora, chiunque lavori con gli enti pubblici diventi automaticamente “fedele alla linea” del partito.
Riteniamo che fin'ora non c'è stata nessuna volontà di affrontare la “bomba” rom in chiave di diritti di cittadinanza, che gli attori istituzionali siano sempre gli stessi e che le dichiarazioni del Sindaco Perugini e del Presidente Oliverio di chiedere una proroga alla Procura sulla scadenza del 1 marzo siano solo un modo di prendere tempo fino alla prossima tornata elettorale senza avere nessuna intenzione di trovare una soluzione reale. Sarebbe bastata l'individuazione di un area demaniale per la costruzione di un campo-sosta e la messa in opera dello stesso per risolvere la questione e garantire le condizioni di dignità minime.
Continueremo a stare al fianco delle popolazioni migranti e nomadi costruendo con loro accoglienza dal basso senza nessuna velleità integrazionista, difendendo il loro diritto di esistere e vivere secondo la propria cultura e tradizione e, a differenza di Rosarno, faremo le barricate assieme a loro contro lo sgombero.
Febbraio 2010 Centro Popolare Occupato Autogestito Rialzo
Tortura nelle carceri italiane
Lettera aperta di Radi Elayashi da Macomer
“L’inizio della vicenda all’interno di Rossano”
Un caro saluto a tutti i compagni,
a metà marzo 2010 il sottoscritto è stato trasferito nel carcere di Rossano nella sezione EIV (elevato indice di vigilanza) (ora AS2, Alta sorveglianza), composta di soli prigionieri ‘islamici’, una decina in tutto. Subito ho riscontrato un regime di detenzione molto diverso dalla EIV dove ero stato precedentemente ristretto.
Sin dai primi giorni che siamo entrati nell’AS2 di Rossano la direzione ha vietato molti dei nostri diritti e cose che prima in tutti gli altri carceri avevamo senza nessun problema: la radio, l’orologio, il lettore cd, i colloqui con i famigliari – per chi li ha, il campo sportivo…
Tutto questo nelle altre carceri dove eravamo stati non mancavano, ci sono anche nelle sezioni per soli musulmani (Asti, Macomer, Benevento). Il congelatore, per esempio, in sezione non c’è; ce n’è soltanto uno nel corridoio che porta al passeggio, ma non ci possiamo mettere niente, possiamo soltanto metterci l’acqua per il ghiaccio.
Al direttore abbiamo fatto molte richieste, rimaste però tutte senza risposta. Ci siamo sentiti presi in giro, dalla direzione non arrivava nessuna risposta.
Allora abbiamo iniziato a protestare. Abbiamo cominciato con il rivolgere le nostre lamentele ai capi delle guardie; facevo questo nel mentre ci recavamo all’aria, nel piccolo tragitto dalle celle al cortile. Poi siamo entrati in sciopero della fame, portato avanti per quattro giorni. Per ultimo abbiamo fatto alcune battiture notturne, alle 22,30, alle 1,45 e alle 4 del mattino.
Dopo tutte queste proteste nessuno ci ha risposto! Ci sentivamo sempre più sotto pressione e stavamo sempre più male. Il 29 giugno 2010 tutti abbiamo, fatto richiesta di trasferimento. Le guardie hanno sempre continuato a fare le perquisizioni alle celle. In una di queste alla mia cella, hanno prelevato vari oggetti con la scusa che non erano autorizzati. Quegli oggetti mi sono stati autorizzati dal momento che ero entrato in quel carcere. Ho fatto presente tutto questo alla guardia che aveva fatto la perquisa; a lui non importava nulla, anzi, mi provocava per crearmi dei problemi. Infatti mi sono innervosito troppo con lui. Il 6 luglio 2010 ha presentato un rapporto contro di me. Dal direttore per discutere del rapporto disciplinare sono andato assieme ad un altro prigioniero (Fezzani Moez).
Il direttore si è rivolto a me in modo molto arrogante, mi ha insultato come se fossi uno schiavo. Invece di darmi un consiglio umano, con il suo modo di parlare mi ha fatto innervosire abbastanza, allora gli ho detto delle parole pesanti. A quel punto sono intervenute le guardie. Mi hanno preso con forza e portato alle celle.
Quando gli compagni hanno saputo quello che era successo e che era stato punito anche Moez, si sono innervositi e hanno cominciato la battitura alle porte per solidarietà. Il vice-comandante e il brigadiere della sezione sono entrati in sezione per portarmi all’isolamento. Con loro c’erano molte guardie, ho paura per me, allora mi sono ferito al collo con una lametta, per far loro più paura mi sono ferito anche ad un dito. All’inizio mi sono rifiutato di uscire dalla cella, poi ho detto loro che sarei uscito se mi lasciavano prendere tutta la roba e se non mi toccavano. Hanno accettato. Poi ho capito che era una fregatura, che mi stavano dicendo menzogne.
Mi hanno portato all’infermeria dove, appena hanno visto il dito mi hanno detto che doveva essere cucito. Però non avevano l’ago per compiere l’operazione. Quando il dottore (o l’infermiere) è uscito per andare a prendere l’ago, sono rimasto solo con il brigadiere e una guardia che ha cominciato a dirmi di tutto. Parolacce e bestemmie solo per farmi innervosire e così crearmi problemi. Gli ho detto di non interrompermi mentre stavo parlando con un suo capo. La guardia mi dice di stare zitto, che lui non ha paura di me. In quel mentre arriva il comandante che da dietro mi da uno schiaffo, dicendo: eccomi qui. E’ stato come un segnale, tutte le guardie presenti mi hanno aggredito con forza per uccidermi. Con il manganello mi davano botte sul viso, su tutto il corpo. In quei momenti urlavo dal dolore, cercavo di evitare le botte del manganello dirette alla faccia, proteggendomi con la spalla destra – mi fa ancora male fino all’osso. Sono scappato dalle loro mani, mi sono buttato sotto il tavolo, loro allora hanno continuato colpirmi ma con i piedi e i manganelli. Mi hanno causato dei tagli profondi in particolare nel labbro superiore, da dove usciva molto sangue.
Successivamente sono stato portato all’isolamento, in una cella vicino alla sezione. Quella cella era priva di ogni cosa né finestre, né porta per il bagno, né luce. Più volte ho chiesto di andare in infermeria per essere visitato, per fare una radiografia alla spalla e per cucire il labbro. Il mio corpo era pieno di macchie blu a causa delle botte. Alle richieste non ha risposto nessuno.
La notte tardi è venuto, mi ha guardato nella cella buia. Gli ho chiesto di curarmi tutte le ferite; mi ha ascoltato, se ne è andato e non è più tornato. Nel secondo turno della notte è venuto anche l’infermiere; ha guardato e se ne è andato anche lui. Poi è venuto un altro, ho poi saputo che era lo psichiatra; non mi ha detto una parola. Dopo un poco è ritornato l’infermiere per farmi una puntura anti-dolorifica.
I medici hanno scritto che io ero completamente sano; e il medico psichiatra ha chiesto di lasciarmi in una cella senza niente. Ha fatto questo senza avermi visitato!
In quella cella ci sono rimasto sei giorni, dormivo per terra senza vestiti, solo con un pantaloncino che indossavo all’inizio e senza nessuna cura.
Il 12 luglio 2010 sono stato trasferito nel carcere di Nuoro. Quando mi ha visitato il medico gli ho chiesto di registrare e prendere atto di tutti i segni rimasti sul corpo che erano ancora lì dopo quasi una settimana dal massacro.
Ho scordato di scrivere che dopo due giorni ho chiesto di andare in infermeria per denunciarli. Non mi hanno autorizzato.
Il medico e lo psichiatra anche loro sono colpevoli di tutto. Ho quattro testimoni detenuti che erano nell’isolamento quando mi hanno portato lì anche me. Hanno visto il comandante, le guardie e me. Ricordo bene le facce delle guardie e ho anche il nome di chi mi ha fatto rapporto. Il direttore ha ordinato l’aggressione contro di me.
Voglio denunciare tutti questi fascisti infami.
P.S. il 22 luglio 2010 mi è arrivata una notifica inviata dal DAP, in cui bengo punito a sei mesi di 14-bis, a sei mesi (isolamento) da scontare nel carcere di Nuoro (via Badu ‘e Carros 1, 08100 Nuoro).
Un cordiale saluto Elayashi Radi
Nuoro, 22 luglio 2010
Lager in Italia
Non mi uccise la morte, ma due guardi bigotte mi cercarono l’anima a forza di botte. (Fabrizio De Andrè)
“Un detenuto non si massacra in sezione, si massacra sotto” l’audio shock del comandante delle guardie del penitenziario di Teramo aggiunge altro orrore al dramma delle carceri. (Fonte: “Il Manifesto”, martedì 9 novembre 2009).
Ecco due testimonianze tratte dalla tesi di laurea “Vivere l’ergastolo”:
Una mattina, mentre mi trovavo al passeggio, vengo chiamato dalle guardie, dopo che mi vengono messe le manette vengo fatto salire in una jeep, mettono in moto ed usciamo. Mi ordinano di tenere la testa abbassata. Ad un tratto una guardia impugna la pistola e mi dice “Stai per morire!” Mi punta la pistola nella tempia destra. Non ho battuto ciglio, certamente la paura c’era, ma non potevo fare nulla. In quel momento pensavo alla mia famiglia, quando sento il grilletto girare a vuoto … una finta esecuzione con le relative risate dei secondini. Come se non bastasse mi si dice:”Ora scappa, corri per la campagna”. Io con la testa faccio segno di no. Un aguzzino mi dà uno schiaffo e urla: “Scappa” io non mi muovo. Prendono una corda la mettono tra le mie manette e la legano alla jeep, mettono in moto e mi tirano dietro, cerco di correre il più forte possibile, ma non posso farlo più forte della jeep, finchè con un piede entro in una buca, perdo l’equilibrio, cado e sono trascinato per circa 100 metri con risate e divertimento delle guardi carcerarie.(Matteo Greco, carcere di Pianosa 1992)
Dopo i primi giorni avvenne il primo pestaggio: quando si usciva all’aria gli sgherri erano messi in fila con i manganelli nelle mani. Un compagno anziano, lento nei movimenti, rimasto indietro, venne preso a calci, pugni e manganellate. Sentivamo urli strazianti. Al ritorno vedemmo tutto il sangue sparso nel corridoio, ma noi eravamo troppo impauriti per potergli dare la nostra solidarietà. E quella nostra debolezza fu l’inizio della fine, perché fatti del genere in seguito si ripeterono sovente. In quel periodo imparai a conoscermi a crescermi dentro, scoprii che lo Stato è peggio di quel che credevo, mi faceva conoscere privazioni, torture e patimenti nell’assenza totale di legalità, giustizia e umanità. In quella maledetta isola persino i gabbiani erano infelici per quello che vedevano. Alla fine, nell’estate del ’93, iniziai a fare lo sciopero totale della fame …(Carmelo Musumeci, carcere dell’Asinara 1992)
Perchè meravigliarsi tanto dell’omicidio di Stefano Cucchi e delle botte ai detenuti?Il carcere in Italia è così e basta e non deve rendere conto a nessuno. Perché queste lacrime di coccodrillo da parte dei politici e dei mass media?Non è un segreto che in carcere i detenuti vengono picchiati, è sempre stato così e sempre sarà così.Vengono picchiati soprattutto i detenuti più deboli, i più soli e i più emarginati. Carmelo Musumeci Carcere di Spoleto
Un caso Cucchi anche in Calabria
Un caso Cucchi anche nel carcere di Catanzaro dove morì giovane di Cosenza 13 nov 09 Ci fu un caso Cucchi anche nel carcere Siano di Catanzaro dove un giovane cosentino, Emiliano Mosciaro, morì per una appendicite trasformatasi in peritonite acuta con stato di necrosi avanzata. A rimarcarlo è la sorella di Mosciaro, Paola, che racconta come nell’agosto del 2003 il fratello morì in ospedale a Catanzaro appena trasferito dal carcere. Per la morte dell’uomo due medici del carcere sono sotto processo per omicidio colposo. Secondo l'accusa, i due non avrebbero messo in atto terapie adeguate per evitare che lappendicite degenerasse nella peritonite che uccise Mosciaro. Sono convinta -dice oggi la donna- che nessuno pagherà per la morte di mio fratello. Sono passati sei anni ed ancora non siamo venuti a capo di niente. Il processo va avanti a suon di rinvii. Ormai spero solo nella giustizia divina perché in quella umana non ci credo più da tanto tempo. Si spera sempre che cambi qualcosa, ma poi la speranza muore. Quello che è successo a Stefano Cucchi è qualcosa di disumano. Anche dopo morto -ricorda la donna- c'erano gli agenti della polizia penitenziaria a guardare il corpo di Emiliano e ci fecero allontanare. Dovemmo aspettare l’autorizzazione del giudice per poter piangere mio fratello. Questa cattiveria mi rimarrà dentro per tutta la vita.
Pestaggio nel carcere di Teramo
TERAMO - "Abbiamo rischiato una rivolta perché il negro ha visto tutto. Un detenuto non si massacra in sezione, si massacra sotto...". Parole dal carcere di Castrogno a Teramo, parole registrate all'interno di uno degli uffici degli agenti di polizia penitenziaria. Frasi spaventose impresse in un nastro. Ora questo audio è nelle mani della Procura della Repubblica di Teramo che ha aperto un'inchiesta sulla vicenda. Sono parole che raccontano di un "pestaggio" ai danni di un detenuto, quasi come fosse la "prassi", un episodio che rientra nella "normalità" della gestione del penitenziario. Un concitato dialogo tra un superiore e un agente che svelerebbe un gravissimo retroscena all'interno di un carcere già alle prese con carenze di organico e difficoltà strutturali.
Il nastro è stato recapitato al giornale locale La Città di Teramo, ed è scoppiata la bufera. Il plico era accompagnato da una lettera anonima.
In merito alla vicenda la deputata Radicale-Pd Rita Bernardini, membro della commissione Giustizia, ha presentato un'interrogazione al ministro Alfano.
La deputata chiede al ministro Alfano se ritenga di dover accertare "se questi corrispondano al vero e di promuovere un'indagine nel carcere di Castrogno di Teramo per verificare le responsabilità non solo del pestaggio di cui si parla nella registrazione, ma anche se la brutalità dei maltrattamenti e delle percosse sia prassi usata dalla Polizia Penitenziaria nell'istituto".
Proprio questa mattina la Bernardini ed il segretario Generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, faranno visita al carcere.
Intanto la Uil chiede chiarezza e verità anche a tutela della professionalità e dell'impegno quotidiano della polizia penitenziaria di Teramo.
"Noi possiamo solo affermare - sottolinea la segreteria regionale - che la violenza gratuita non appartiene alla cultura dei poliziotti penitenziari in servizio a Teramo che, invece, pur tra mille difficoltà hanno più volte operato con senso del dovere, abnegazione e professionalità. Ciò non toglie che la verità vada ricercata con determinazione e in tempi brevi. Noi vogliamo contribuire a questa ricerca impedendo, nel contempo, che si celebrino processi sommari, intempestivi e impropri".
Anche il notevole sovraffollamento è causa di forti tensioni. L'istituto potrebbe contenere al massimo 250 detenuti, ne ospita circa 400. Un solo agente per sezione deve sorvegliare, nei turni notturni, anche più di 100 detenuti; un flusso di traduzioni che determina l'esaurimento di tutte le risorse disponibili.
ascolta il video dal sito di repubblica.it
http://tv.repubblica.it/copertina/il-detenuto-si-massacra-da-solo-non-davanti-a-tutti/38587?video
SCANDALOSO:Stefano sarebbe morto in carcere per una caduto
ROMA – Bisogna giungere alla verità nel più breve tempo possibile. E’ questo l’appello lanciato nuovamente dalla famiglia del giovane Stefano Cucchi, il ragazzo morto inspiegabilmente mentre era detenuto nel carcere Regina Coeli di Roma, in occasione della conferenza stampa organizzata giovedì al Senato.
Nel corso dell’appuntamento con i cronisti a Palazzo Madama, promosso dal presidente dell’Associazione ‘A buon diritto’, Luigi Manconi, a cui hanno partecipato il legale dei Cucchi, Fabio Anselmo, e alcuni parlamentari, tra i quali Emma Bonino, Rita Bernardini, Felice Casson e Renato Farina, sono state distribuite le foto scattate a conclusione dell’autopsia sul corpo del ragazzo. Immagini che mostrano chiaramente il volto tumefatto di Stefano e i numerosi traumi su tutto il corpo. Il giovane avrebbe riportato, infatti, numerose contusioni, l’arretramento di un bulbo oculare, una frattura alla mascella e numerosi danni alla dentatura.
Segni, questi, che rendono quantomeno discutibile la versione della caduta dalle scale
“L'atto di morte è stato acquisito dal pm - ha spiegato il legale Fabio Anselmo, che ha seguito anche la vicenda del giovane Federico Aldrovandi - per cui non abbiamo in mano nulla, se non le foto scattate dall'agenzia funebre e un appunto del medico legale. Non sono stati riscontrati traumi lesivi, a quanto appare, che possono averne causato la morte. Si parla di ecchimosi ed escoriazioni e sangue nella vescica, per cui è difficile sapere quando e soprattutto come è morto”.
Ciò che è certo è che Stefano venne fermato il 15 ottobre scorso per detenzione di sostanze stupefacenti al Parco degli Acquedotti di Roma e che è morto al nosocomio capitolino Sandro Pertini il 22 ottobre, dopo il ricovero al Fatebenefratelli e la detenzione al Regina Coeli. In tutto questo lasso di tempo, dal fermo alla morte, ai familiari non è stato permesso di visitarlo.
Le spiegazioni fornite in Parlamento dal Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che ha parlato di una “caduta accidentale dalle scale”, non sono per nulla sufficienti. La famiglia continua a chiedere che si faccia piena luce sul caso, senza reticenze di sorta. Il padre di Stefano chiede la verità anche al ministro La Russa. “Mio figlio in quei momenti era sotto la tutela dello Stato – ha detto Giovanni Cucchi - dunque questa vicenda non può passare sotto silenzio. E dato che è stato preso in consegna dai Carabinieri chiediamo chiarezza anche al ministro della Difesa Ignazio La Russa”.
Della vicenda si è interessata anche l’associazione Antigone, il cui presidente Patrizio Gonnella afferma: “Abbiamo fatto una ricostruzione fedele dei giorni che vanno dall'arresto di Stefano Cucchi alla sua autopsia, di cui stiamo ancora aspettando l'esito”. All’agenzia Cnr Media, Gonnella sottolinea come “le fotografie [del giovane deceduto ndr.] parlano da sole, così eloquenti da diventare imbarazzanti”. Impossibile quindi che sia caduto: “Dovrebbe essere caduto prima di schiena e poi di faccia, molto strano e difficile. Forse solo una caduta sugli sci potrebbe causare danni così disparati e diffusi”. Da qui la necessità di “un'inchiesta rapidissima, altrimenti – conclude Gonnella – potrebbe diventare melmosa, come in altri casi. I fatti sono facili da accertare: si possono sapere rapidamente i nomi dei carabinieri che hanno arrestato Stefano Cucchi, si interrogano, si scopre la verità in meno di 48 ore”.
foto e aggiornamenti su: http://www.dazebao.org/news/index.php?option=com_content&view=article&id=7254:la-famiglia-cucchi-invoca-giustizia-per-stefano-le-foto-shock-del-ragazzo&catid=90:cronaca&Itemid=288
ROMA
- «Vogliamo la verità sulla morte di Stefano. Quando lo hanno arrestato stava bene. La mattina dopo aveva il volto tumefatto. Sei giorni più tardi è morto, senza che noi potessimo vederlo prima...». È lo sfogo di Ilaria, sorella di Stefano Cucchi, 31 anni, geometra nello studio di famiglia nel quartiere Casilino. Il ragazzo, basso di statura e molto magro, è stato arrestato la notte del 16 ottobre nel parco Appio Claudio. I carabinieri lo hanno bloccato mentre spacciava droga: ecstasy, cocaina e marijuana. Cucchi, piccoli precedenti alle spalle, è stato accompagnato a casa dove viveva con i genitori per la perquisizione. Il padre e la madre lo hanno visto che «camminava sulle proprie gambe - ricordano - . Era preoccupato, è normale, ma stava bene. E non aveva alcun segno sul viso».
La mattina successiva, al termine dell’udienza di convalida in tribunale, il ragazzo è stato condotto a Regina Coeli dopo che i carabinieri lo avevano consegnato alla polizia penitenziaria. «Non c’è stato alcun maltrattamento», assicurano i militari dell’Arma. Cucchi, secondo la ricostruzione dei carabinieri, ha trascorso la notte dell’arresto in camera di sicurezza nella stazione Tor Sapienza. «Appena arrivato ha detto di essere epilettico - aggiungono i militari dell’Arma . In quella stessa notte il piantone l’ha sentito lamentarsi. Tremava, aveva mal di testa. Così è stata chiamata un’ambulanza, ma Cucchi ha rifiutato le cure e non è voluto andare in ospedale. Poi si è messo a dormire e la mattina è stato condotto in tribunale ». Quando il giovane è arrivato in carcere è apparso però in precarie condizioni. È finito al pronto soccorso, «per dolori alla schiena», spiegano Luigi Manconi e Patrizio Gonnella, delle associazioni «A buon diritto » e «Antigone», e il giorno successivo nel reparto penitenziario del «Pertini». Lì è morto per arresto cardiaco la notte di giovedì scorso. E solo allora ai genitori e alla sorella è stato permesso di vederlo, ma da dietro una vetrata: «Aveva il volto pesto, un occhio fuori dal bulbo, la mandibola storta», raccontano.
Ora si attende l’esito dell’autopsia, già effettuata, «senza darci il tempo di nominare un perito di fiducia, anche se sembra che Stefano avesse tre vertebre rotte», sottolinea Ilaria, che ha nominato come legale Fabio Anselmo: è lo stesso che ha assistito la famiglia di Federico Aldrovandi, il giovane morto a Ferrara nel 2005 dopo una colluttazione con alcuni poliziotti che lo stavano arrestando. «Vogliamo la verità - conclude Ilaria - Stefano era un bravo ragazzo. Avrà pure commesso qualche errore, ma non doveva morire così».
Castrovillari (cs): due detenuti suicidi in 20 giorni...
Un detenuto 39enne di Morano Calabro si è tolto la vita nel pomeriggio di domenica scorsa impiccandosi con la cintura dei pantaloni.Un nuovo suicidio nel carcere di Castrovillari: stavolta a togliersi la vita è stato un 39enne di Morano Calabro, che nel pomeriggio di domenica scorsa, verso le 16.30 si è impiccato utilizzando la cintura dei pantaloni. Il suicidio del detenuto, C.N., arriva a poco più di quindici giorni da un altro decesso, quello di un diciannovenne cileno che si è ucciso impiccandosi con un lenzuolo. Il giovane, con problemi di tossicodipendenza, era stato arrestato nel luglio scorso per furto, ed era recluso "a disposizione dell’autorità giudiziaria".Su questo nuovo caso è intervenuta Rita Bernardini, deputata dei Radicali/Pd e membro della Commissione giustizia. "Oggi in quell’istituto penitenziario - ha detto la deputata - erano presenti 258 detenuti su una capienza regolamentare di 128 posti. Credo che il Ministro Alfano non possa continuare a limitarsi a fare dichiarazioni che prospettano soluzioni a medio o lungo termine come quelle che si riferiscono alla costruzione di nuove carceri".Secondo Bernardini, "occorrono misure urgenti da più parti proposte per arginare l’emorragia di vite umane che si manifesta con l’incredibile numero di suicidi o con la morte civile e senza speranza di chi è costretto a vivere in modo indegno di un Paese civile. E qui ci metto anche tutto il personale, direttori compresi".
Dal Quotidiano di Calabria, 30 settembre 2009
BRUNO BELLOMONTE LIBERO, LIBERI TUTTI!
A giugno, la prima operazione repressiva proG8 portava nel carcere di Regina Coeli/Roma, 6 persone “ per ricostituzione delle br, un marchio facilmente abusato per mettere a tacere anche le critiche democratiche! A luglio, in corso G8 e nel moltiplicarsi degli arresti a Torino, Roma, Napoli, (compagne/i che tuttora subiscono misure coercitive firme, domicilio coatto, ecc.), il beghino Tribunale della Libertà di Roma confermava gli arresti.A fine luglio, nel post G8 il trasferimento punitivo nel carcere speciale di Catanzaro, nonostante le“esigenze istruttorie e le leggi carcerarie deponessero per la detenzione romana.A nulla sono valse le documentate e circostanziate risposte di gran parte degli arrestati e delle loro difese, tese a dimostrare l’impossibilità e l’inesistenza delle ipotesi accusatorie, surrogate sostanzialmente da vacue e suggestionanti interpretazioni delle intercettazioni telefoniche.Questa inchiesta fa acqua da tutte le parti. Non c’è uno straccio di prova, né di sufficienti indizi: gli accusati tra loro tutti non si conoscono, alcuni non sanno nemmeno cosa vuol dire la politica, altri sono vicini o ben oltre la pensione !Che razza di banda armata è mai questa??! Dove l’unico che fa riferimento ad un rapporto organizzato è Bruno Bellomonte, che milita nel partito indipendentista sardo “A manca pro indipendenza”, che al momento del suo arresto ha ribadito, ove mai ce ne fosse bisogno, che il partito e Bruno agiscono alla luce del sole Bruno è stato candidato nelle recenti elezioni regionali sarde nella Lista Unitade Indipendentista”/prov.Olbia-Tempio e che i loro proponimenti e il loro modo di agire è abissalmente antitetico a quello delle “brigate rosse.Conosciamo bene e da lungo tempo Bruno Bellomonte, compagno tra i più stimati e conosciuti in Sardegna per antica militanza sociale e sindacale, è personaggio pubblico non ha niente da nascondere. Bruno è ferroviere, capostazione a Sassari, sindacalista dell’’UCS fin dalla prima ora poi confluito nell’SDL, rispettato e benvoluto dai colleghi e dalla cittadinanza.Bruno non ha fatto in tempo a sottrarsi dalle mire di una fallace inchiesta cagliaritana contro l’indipendentismo in cui magistrati hanno dovuto prendere atto delle stringenti prove documentali prodotte, rimettendolo in libertà dopo 10gg dall’abusivo arresto nel 2007 che i sodali romani non trovano di meglio che rimetterlo in mezzo, testimonianza di un modo di agire desolante di inquirenti, che abusano in luoghi comuni, ripetitività dei soggetti, melassa di chiacchiere.Insomma, come in un gioco di ruolo il clichè è scontato, basta variare le circostanze e i nomi buoni per l’occasione (e qui c’è in ballo il G8!), tanto i mandati di cattura sono in bianco! E anche se il tutto si rivela una bufala l’impunità è garantita, vige la ragion di stato!E lo stato non paga pegno. Al massimo, nonostante la documentata condotta anticostituzionale, ci scappa qualche condanna che si esaurisce nella prescrizione e nella promozione dei sediziosi, vedi Genova 2001, con le sentenze Bolzaneto-Diaz e le richieste di condanna per l’ex Capo della Polizia Di Gennaro e varia consorteria .Povera Italia! Misere istituzioni, ridotte a certificare la propria esistenza solo per mantenere poltrone, incarichi e apparati, facendosi scudo a comando e/o a vuoto”di inchieste fasulle e fantasmagoriche, di cui peraltro non si deve rispondere, visto il degrado e la decadenza della Repubblica.Cosa si cerca di fare con questa inchiesta? Di sequestrare il più a lungo possibile un compagno responsabile e leale? Di condizionarlo e piegarlo con il carcere duro? Dopo 45 gg. di isolamento a R.Coeli (murato vivo:solo, 10’d’aria in chiostrina,senza libri), il confinamento nella cajenna di Catanzaro, sempre in isolamento: una sadica punizione, testimonianza di quanto siano spietate e infami le istituzioni, che peraltro impongono ai familiari ingenti spese e sacrifici..Come Cobas e cittadini tesi a garantire le libertà costituzionali e il diritto a perseguire la giustizia sociale, non permetteremo che si compia questo ennesimo misfatto, parteciperemo e metteremo in atto tutte le iniziative tese a smascherare questa operazione repressiva e a riportare presto liberi gli arrestati. Confederazione Cobas
L'appello per la scarcerazione di Bruno
In questi giorni ho ricevuto una lettera dalla casa circondariale di Siano- Catanzaro. La lettera ma ha fatto enorme piacere,chi la ha scritta è Bruno Bellomonte. Bruno è stato arrestato ( unico sardo ) il 10 giugno scorso ( un mese prima del G8 ) insieme ad altre quattro persone dall’antiterrorismo, con la solita imputazione di comodo, legami con forme di lotta armata ( Brigate rosse ).Sono certo che questa provocazione fallirà come ha fallito quella precedente chiamata Arcadia. La storia si ripete lo Stato italiano e le forze dell’ordine, con la scusa della lotta armata ( nuove BR ),trovano un capro espiatorio e continuano a perseguitare e criminalizzare i comunisti,gli indipendentisti,i rivoluzionari e il loro lavoro,il tutto per mettere paura. Questa inchiesta fa acqua da tutte le parti. Non c’è uno straccio di prova,né sufficienti indizi : gli accusati tra di loro non si conoscono,alcuni sono vicini alla pensione! Che razza di banda armata è questa ? Non conosco personalmente Bruno Bellomonte,ma da notizie avute da numerose compagne e compagni,posso dire con certezza che Bruno è ferroviere capostazione a Sassari. Un compagno tra i più stimati e conosciuti in Sardegna per antica militanza sociale e sindacale,è un personaggio pubblico che non ha niente da nascondere. Bruno Bellomonte è un militante del Partito indipendentista sardo “ A manca pro s’indipendentzia “. E’ stato candidato nelle ultime elezioni regionali sarde nella lista “ Unitade Indipendentista “; quindi il suo agire è antitetico a quello delle “ Brigate rosse “, Personalmente rilancio con forza la richiesta, che a Bruno venga riconosciuto il diritto di scontare la custodia cautelare in Sardegna. Inoltre mi auguro che al fianco e per la sua liberazione , prendano posizione politici,partiti,associazioni e cittadini a cui non vanno giù le ingiustizie sociali. La mobilitazione per Bruno è già in atto ,ci sono state varie manifestazioni ed è previsto un concerto per il 19 settembre. Dalla lettera che ho ricevuto ho la certezza che Bruno ha una grande forza interiore. Mi auguro di rivederlo al più presto al nostro fianco,battersi per la tutela dei lavoratori ,nelle lotte sociali,contro lo sfruttamento e la salvaguardia del nostro territorio e della nostra isola. Da parte mia continuerò il mio rapporto epistolare con Bruno,sia per informarlo degli eventi,sia per fargli coraggio. Invito tutti quindi a sottoscrivere l’appello per Bruno Bellomonte libero.
Antonello Tiddia
RSU Carbosulcis
- per adesioni all’appello : Libertate pro Bruno
- scrivere nome,cognome,carica di partito-sindacato o lavoro,luogo.
- Il tutto alla mail : tiddia.ant@gmail.com
Bruno è detenuto nel carcere di catanzaro, per scriverlo:
via tre fontane, 28
siano-catanzaro 88100
Sulla passerella di ferragosto in carcere...
Ferragosto in carcere. Questa l'iniziativa lanciata dai Radicali che vede la partecipazione di oltre 150 fra europarlamentari, deputati, senatori e consiglieri regionali che, nella giornata di oggi, visiteranno le carceri italiane per toccare con mano le condizioni di sovraffollamento in cui sono costretti a vivere quasi 64.000 uomini, donne e, ahinoi, bambini. Ad una lettura superficiale dell'evento si potrebbe rimanere favorevolmente colpiti perchè sembrerebbe, d'un tratto, che la deputazione nazionale sia attenta e sensibile alle condizioni di tutti i cittadini, detenuti compresi. Facendo, invece, una riflessione più attenta e critica dell'iniziativa non possiamo non considerare alcuni fattori che, a nostro avviso, determinano le condizioni di disumanità e sovraffollamento delle carceri. E non solo a Ferragosto. Le cause del sovraffollamento sono da ricercare nelle leggi varate negli ultimi 10 anni che puniscono con la reclusione le “diversità” scomode (migranti, consumatori di sostanze, popolazioni che lottano per difendere la propria terra dagli scempi, ecc.) e nelle campagne mediatiche criminogene che “mostrificano” intere categorie sociali solo per consentire ai governi (di entrambi gli schieramenti politici) il controllo sociale tout court attraverso la massificazione dei nuovi sistemi di controllo e di carcerazione sociale. Inoltre, il continuo martellamento mediatico sulle finte emergenze criminali oltre a creare insicurezza sociale è utile a coprire la crisi economica e sociale che stiamo vivendo. Troviamo quantomeno strano, infatti, che il “tour” non preveda l'ispezione dei Centri di Permanenza Temporanea o Centri di Identificazione ed Espulsione (nuova – ma nenache tanto – modalità di carcerazione), forse perchè in casa PD si teme di essere additati come gli istitutori di questi lager? Carceri e CPT o CIE che dir si voglia, sono di fatto discariche sociali in cui vengono ammassati portatori di bisogni sociali a cui lo Stato non riesce a dar risposte. Disoccupazione e precarietà diffusa generano il brodo di coltura della criminalità inducendo a delinquere per bisogno tanto più al Sud dove diventa la condizione strutturale lasciataci da oltre un quarantennio di saccheggi dei fondi destinati allo sviluppo operati, indistintamente, da tutte le classi politiche e dirigenziali che, al massimo, hanno creato interi carrozzoni clientelari lasciando la gente alla loro mercé e in uno stato di ricattabilità permanente.Le attuali condizioni di sovraffollamento impongono risposte forti e assunzioni di responsabilità collettive e non in termini repressivi ma costruttivi. Costruire diritti e non nuove carceri, riconoscere e affermare i bisogni e dare risposte adeguate, devono essere alla base di un'azione politica che vada nella direzione di una riduzione dello Stato penale e dell'ampliamento dello Stato sociale. Cancellazione delle leggi Bossi-Fini, Fini-Giovanardi e del Pacchetto sicurezza come priorità. Reddito di cittadinanza come forma di riscatto sociale, di lotta concreta alle logiche clientelari e delinquenziali. Pertanto, riteniamo strumentale la “passerella di ferragosto”, ma, al tempo stesso, speriamo che gli “Onorevoli Visitatori” riusciranno a “specchiarsi” nell'umanità che troveranno riconoscendo le proprie responsabilità e riflettendo, almeno interiormente, sulla (in)utilità del carcere oggi.
Associazione Yairaiha
Collettivo “L'Evasione”
Manitestazione 8 Agosto 2009 - NOI IL PONTE NON LO VOGLIAMO
Dopo le straordinarie mobilitazioni degli anni scorsi e l'illusorio congelamento operato dal Governo Prodi, la mostruosa sagoma del Ponte è tornata a minacciare lo Stretto di Messina. E fa ancora più paura!
Non esiste un progetto definitivo, probabilmente mai ci sarà, ma già si vuole partire con le opere propedeutiche come lo spostamento dell'asse ferroviario di Cannitello e quel delirio di svincoli, raddoppi, gallerie, varianti e viadotti che dovranno collegare il Ponte: l’area dello Stretto trasformata in un immenso cantiere per un tempo indefinito, come è per la Salerno – Reggio Calabria ma con delle ripercussioni probabilmente ancor più pesanti.
La classe dirigente, incapace di organizzare un sistema dignitoso di servizi e di trasporto locale nello Stretto, usa la favola del Ponte come risoluzione di tutti i problemi. E mentre si sbandiera questo spauracchio, le Ferrovie dello Stato diminuiscono periodicamente il numero di corse, di navi e quindi di personale, la rivale-commare Caronte&Tourist da l'ennesima mazzata aumentando le tariffe per i non graditi pendolari, non si parla più del progetto di "Metropolitana del Mare" e gli aereoporti di Reggio e Catania degradano progressivamente.
Nonostante questo, siamo ancora costretti a sentire professoroni universitari che ci vengono a propinare il solito ritornello del Ponte che porterà "sviluppo", per chi e per cosa non ci è dato sapere!
Sicuramente non ne troverebbero vantaggio gli studenti ed i pendolari che attraversano quotidianamente lo Stretto, né la massa di disoccupati calabresi e siciliani che aspettano trepidanti l’apertura dei cantieri, mentre ne godrebbero le solite lobby, le multinazionali e le mafie. Non a caso, in una fase di crisi economica come quella che stiamo attraversando, il Governo decide di investire ancora nelle grandi opere e nel Ponte, invece di contrastare le migliaia di licenziamenti di cui abbiamo notizia ogni giorno.
Noi sappiamo che un sistema integrato di trasporto nello Stretto efficiente, realistico e pubblico è possibile, attraverso il potenziamento e l’ammodernamento delle flotte navali, un migliore utilizzo dei porti e delle infrastrutture ed una riorganizzazione complessiva dei collegamenti: opere sicuramente meno costose ed impattanti del Ponte, ma con il valore aggiunto di creare molti più posti di lavoro duraturi. Per questo noi non vogliamo il Ponte e parteciperemo in maniera convinta alla manifestazione dell'8 agosto a Messina, dietro lo "storico" striscione del movimento NoPonte calabrese che tantissime piazze italiane ha attraversato.
A tutte e tutti quelli che per partecipare alla manifestazione dovranno attraversare lo Stretto,
diamo appuntamento nel piazzale antistante la stazione di Villa San Giovanni alle ore 15.30.
Già dalla sera prima il c.s.o.a. Cartella sarà Zona NoPonte: musica, video e balli per la difesa dello Stretto!
C.S.O.A. CARTELLA
TANTO RUMORE PER UN CARCERE, LA PROTESTA DELLE DETENUTE DELLA DOZZA
Ancora proteste per le condizioni all'interno del carcere bolognese: le detenute sbattono contro le sbarre da tre giorni e chiedono soluzioni alla condizione di sovraffollamento.
Bologna - Negli ultimi mesi dal carcere della Dozza sono arrivati moltissimi segnali di denuncia delle pessime condizioni in cui versa la casa circondariale bolognese, e della situazione invivibile in cui sono costretti i suoi detenuti. Già a giugno i detenuti avevano iniziato uno sciopero della fame, continuato poi l'8 luglio, vedendo un'altissima partecipazione. Scioperi e proteste che sono riusciti a farsi sentire fuori dalle mura del carcere, sia grazie alla denuncia di Desi Bruno, garante dei diritti delle persone private della libertà personale, che alla lettera aperta dei 4 ragazzi dell'onda bolognese arrestati nell'operazione Rewind. In entrambi i casi viene dipinto un quadro fatto di terribile sovraffollamento, di precarie condizioni igieniche, di cibo insufficiente, di carenza di personale educatore e di largo uso di psicofarmaci.
Questa volta la protesta nasce invece dalle sezioni femminili del carcere bolognese e viene resa nota proprio dalla Desi Bruno, a cui le detenute hanno consegnato un documento con le loro motivazioni. Da tre giorni infatti sbattono rumorosamente contro le sbarre e le porte della Dozza, per tre volte al giorno.
Vogliono attirare l'attenzione sull'insostenibilità del sovraffollamento e dei problemi che ne conseguono, come il cambio ritardato delle lenzuola, la carenza di attività che porta a dover rimanere in cella anche 20 ore al giorno. A questo si sommano le difficoltà nel riuscire ad avere misure alternative alla detenzione anche nel caso di detenute con figli o malate.
DA infoautbologna 31/07/09
LETTERA APERTA ALLA CITTA' DI BOLOGNA DAL CARCERE DELLA "DOZZA"
Alla città di Bologna,
siamo Alessandro Boggia, Ernesto Rugolino, Marco Mattei e Francesco Zuanetti, i quattro giovani studenti dell'università bolognese arrestati lo scorso 6 luglio a seguito dell'operazione rewind e detenuti per due settimane presso la casa circondariale "Dozza".
Questa lettera aperta che rivolgiamo a tutta la città di Bologna, vuole essere una piccola e breve testimonianza diretta circa le drammatiche condizioni in cui si trovano a vivere i detenuti e le detenute della Dozza.
Ci siamo infatti trovati in prima persona a vivere una situazione di sovraffollamento, di cui i soli numeri non riescono neanche minimamente a rendere ragione; infatti un carcere pensato per non più di 600-700 detenuti, ora che si trova ad ospitarne circa 1200, vede esplodere il numero di persone per cella: fino a 3 per cellette da una persona e fino a sei per celle da 2-3 persone.
Oltre la drastica riduzione dello spazio disponibile, il sovraffollamento è causa di precarie condizioni igieniche, con il rischio di diffusione rapida di malattie veneree ed infettive anche a causa dell'impossibilità per molti detenuti di accedere a medicine, spesso troppo costose, e anche a causa di docce sporche e spesso senza acqua calda anche di inverno, che scoraggia il detenuto ad usarle; le celle si presentano piccole, con materassi vecchi e messi a terra per mancanza di letti, con forniture a singhiozzo ed incerte di detersivi ed igienizzanti per la pulizia della cella e dei sanitari, lenzuola cambiate solo una volta al mese con razioni giornaliere di cibo spesso insufficienti a coprire il fabbisogno calorico minimo per non deperire ed indebolirsi fisicamente ed immunitariamente.
Il sovraffollamento è causa anche dell'inutilizzo del reparto infermeria per i fini per cui è stato istituito, ovvero come luogo di cura per quei detenuti delle sezioni giudiziari che necessitavano di un reparto di cura in caso di malattia: infatti questa ala del carcere si trova ad essere in tutto e per tutto una zona di detenzione con permanenza fino a 2 mesi, usata come zona di "parcheggio" dei nuovi giunti o come valvola di sfogo quando le sezioni giudiziarie sono colme.
A fronte di questa situazione c'è anche una situazioni di carenza di personale educatore, psicologo, sanitario e soprattutto l'inesistenza di figure come i mediatori culturali che possano fungere da tramite fra la componente straniera della popolazione carceraria (la maggioranza) ed il resto del carcere come gli altri detenuti, il rapporto con i medici per il proprio stato di salute ecc.. E' infatti soprattutto, ma non solo, questa componente migrante che si trova abbandonata a se stessa, con enormi difficoltà di lingua a comprendere i propri diritti ed a rivolgersi al personale di guardia, giuridico o medico.
A fronte delle problematiche sociali e di relazioni tra i detenuti in ambienti così sovraffollati, con una facilità a dir poco disarmante, abbiamo poi assistito alla prescrizione di psicofarmaci da parte degli psichiatri dell'istituto ai detenuti dell'istituto, come soluzione immediata delle difficoltà psicologiche, fuori da ogni percorso di comprensione di queste, di valutazione del rischio di somministrare medicinali senza controllarne periodicamente gli effetti e la risposta dei detenuti, con un rischio forte e immediatamente visibile di dipendenza ed assuefazione a sostanze psicoattive.
La mancanza di spazi adeguati per le attività ricreative, di biblioteche, di accesso ai quotidiani, di strutture sportive, ecc... fa il paio con la precarietà delle zone colloqui con i familiari: stanze piccole con 20 - 30 persone per volta (nessuna privacy con i familiari), sporche, con vecchi tavoli di plastica da giardino usurati, con sanitari nelle zone di attese mai puliti; lo stesso vale per la possibilità di effettuare telefonate a parenti, perché i telefoni si trovano al centro dei corridoi delle sezioni, accanto al tavolo del personale carcerario, che sono zone di transito e molto rumorose: si è costantemente disturbati senza possibilità di intimità nella conversazione.
Questa situazione è poi aggravata dall'atteggiamento delle guardie penitenziarie, che non svolgendo nessun ruolo collaborativo o di sostegno alle esigenze del detenuto e dei propri familiari, interpreta a propria discrezione il regolamento carcerario (cosa peraltro permessa come si legge dal regolamento stesso) per quanto riguarda il rapporto con i familiari durante le pratiche per il colloquio o la consegna dall'esterno di pacchi; è qui che vige l'incertezza più totale per quelle centinaia di familiari che settimanalmente si presentano alla Dozza perché, se formalmente ci sono orari di visita, una volta la, sono a discrezione del personale i turni di ingresso, i tempi di attesa, la documentazione relativa per potere accedere al colloquio (una volta vanno bene le copie dei documenti, la volta successiva invece è richiesto l'originale e così via), il contenuto dei pacchi e ciò che si può far pervenire al detenuto (per un addetto alla sicurezza un oggetto o una pasto preparato a casa può entrare, per il suo collega no): con situazioni imbarazzanti e sconfortanti per i parenti che a volte sono costretti ad andarsene saltando il colloquio, o a non consegnare il pacco perdendo comunque una giornata di lavoro.
L'atteggiamento del personale con i familiari dei detenuti, sembra classificare i parenti degli stessi come potenziali criminali o presunti colpevoli di fiancheggiare (dare sostegno) a chi è stato condannato. Se queste sono le condizioni che in così pochi giorni abbiamo potuto vivere sulla nostra pelle, ci rendiamo conto di chi invece si trova recluso per periodi maggiori e cosa può significare per la propria salute psicofisica e per i propri vincoli familiari ed affettivi che, così messi a dura prova, rischiano di sfibrarsi facendo perdere al detenuto spesso l'unica rete sociale che può sostenerlo dall'esterno.
E' a fronte di questa situazione che i detenuti della Dozza, il giugno scorso, hanno indetto uno sciopero della fame di 7 giorni, con adesioni altissime, contro il sovraffollamento; per docce pulite e con acqua calda; per condizioni igieniche e sanitarie non precarie; per lenzuola pulite; per la mancanza di personale educatore; per un accesso ai farmaci per chi non può permetterseli; per impedire alla direzione di installare grate con fitte maglie a nido d'ape a tutte le finestre delle celle, cosa che ridurrebbe drasticamente la luce nelle stesse con scompensi fisici e depressivi per i detenuti.
Ma questa lotta non si è fermata con questa iniziativa, proprio perché le condizioni non sono migliorate e la direzione del carcere ha fatto orecchie da mercante rispetto alle richieste dei detenuti (al di là delle dichiarazioni della Direttrice dello scorso 18 giugno, la quale per esempio aveva assicurato il ripristino del cambio lenzuola una volta ogni 15 giorni, la situazione è tuttora immutata).
Infatti mercoledì 8 luglio, durante la nostra detenzione, è partito un nuovo sciopero della fame, che si è esteso a praticamente tutte le sezioni giudiziari, comprese le zone di detenzione più periferiche come l'infermeria. Una adesione ed una partecipazione emotiva altissima che, nonostante non sia arrivata comunicazione all'esterno, è stato per tutti i detenuti un segnale di compattezza su queste tematiche e soprattutto una prova di solidarietà e affermazione della propria dignità, che quotidianamente calpestata, è emersa con tutta la sua splendida forza. Alessandro, Ernesto, Marco, Francesco
Carcere Vallette: Lettera dei compagni torinesi
Da lunedì siamo reclusi nel carcere Lorusso e Cotugno di Torino. Ci
viene contestata la partecipazione al corteo contro il G8 delle
università di Torino del 19 maggio scorso.
In realtà la nostra detenzione vorrebbe essere un deterrente per le
mobilitazioni internazionali che da giorni vedono l'Italia attraversata
da giovani di tutte le nazioni che si oppongono all'ennesimo assurdo
insulto del G8: spartizione tra pochi potenti del futuro di tutti noi,
del mondo. Con gioia
apprendiamo dai giornali che le mobilitazioni continuano con nuove
energie. Per noi, questa è la notizia migliore. Il movimento non si è
fermato, la forza critica e dirompente della nostra generazione non si
arresta. Un'intera stagione di mobilitazioni continua. Siamo a luglio e
le università sono
nuovamente occupate, gli studenti proseguono i loro dibattiti,
propositivi, contro riforme scellerate e tagli che vedrebbero gli
ultimi baluardi di sapere libero crollare.
Anche dal carcere continua la nostra lotta. In quesi giorni abbiamo
incontrato nuove forze, nuovi giovani, come noi con un futuro negato,
come noi
con una gran voglia di voltare pagina, di andare avanti e di lottare.
Partendo dai nostri diritti negati, vogliamo dar voce a loro, alle loro
famiglie, a ciò che tutti i giorni devono subire. Senza futuro,
l'isolamento, il taglio dei fondi agli istituti penitenziari, il
sovraffollamento, i colloqui con i familiari e con l'esterno
imbavagliati da una chilometrica burocrazia.
Da subito siamo stati divisi per motivi di sicurezza e proiettati nelle
varie sezioni del carcere. Due di noi in stato di semi isolamento,
senza poter avere contatti con gli altri detenuti e con le ore d'aria
dimezzate. Alcuni vestono ancora gli stessi abiti dell'arresto e non
hanno potuto ricevere indumenti dall'esterno. Queste sono le nostre
condizioni di vita, le condizioni di più di 1700 persone in un carcere
che ne può contenere a malapena 900.
Diritti fondamentali, vita quotidiana, lavoro, igiene, cibo, tutto
lasciato in secondo piano. Interi pezzi di società, scomodi, che
vengono gestiti con la
detenzione. Questa è la vita che ognuno di questi uomini e donne deve
affrontare ogni giorno. Senza futuro, senza progettualità, sapendo che
forse arriverà la libertà. Ma quale libertà? Privati della possibilità
di ricominciare una vita dignitosa, in un mondo in cui l'unico
interesse rimane la
gestione dell'emergenza quotidiana, senza alcuna assunzione di
responsabilità da parte dei colpevoli di tutto ciò.
Per tutti loro scriviamo queste parole, per le nostre e le loro vite.
Perché a nessun giovane venga negato il diritto allo studio, perché
nessun uomo debba mai più vedere il cielo da dietro una grata.
I COMPAGNI TORINESI ARRESTATI
15.07.2009
Un grido da una piccola Guantanamo nell’isola di Sardegna; Lettera dal carcere di Macomer
Tanti saluti a voi, spero che la mia modesta lettera troverà tutti voi in buona salute.Vogliamo raccontare alla associazione gli abusi di potere contro i prigionieri islamici che si verificano al carcere di Macomer (Nuoro) – una piccola Guantanamo nell’isola di Sardegna. Però adesso i prigionieri di Guantanamo stanno meglio di noi che siamo chiusi in questo lager.
Il 4 aprile 2009 sono stato trasferito, con il mio amico Ilhami Rachid, dal carcere di Carinola (Caserta). Quando siamo arrivati in questo carcere, sin dal momento in cui siamo scesi dal blindato, le guardie ci hanno trattato male! A noi, ancora con le manette ai polsi, hanno detto di prendere i nostri sacchi e altra roba. Ho detto alle guardie che con le manette non riuscivo a prendere tutto, in risposta mi hanno messo di forza il sacco sulle spalle trascinato in matricola attorniato da 6 guardie. Il mio amico Rachid si è fermato per chiedere alle guardie il perché di questo trattamento. La risposta è stata l’aggressione: hanno cominciato a picchiarlo con colpi di pugno sul collo e alla testa; non mi hanno permesso di aiutarlo: hanno trascinato anche lui in matricola con lo stesso nugolo di guardie.
Nella perquisizione che ne è seguita loro non hanno rispettato il Corano. In Italia ho già girato sei carceri, mai ho visto un trattamento come questo. Dopo la perquisizione ci hanno portati nelle celle che si trovano in una sezione uguale al 41 bis: isolamento totale, porta blindata chiusa 24 ore su 24, non vediamo nessun’altro prigioniero, solo guardie; anche il cibo ce lo portano le guardie. Ogni volta che usciamo dalla cella veniamo perquisiti palpati, ognuno di noi, da due guardie.
Anche i vestiti ce li danno contati, di libri ce ne danno soltanto 5.
Al passeggio siamo divisi dagli altri, non possiamo andare con loro, andiamo all’aria solo con quelli della nostra sezione. In questa sezione-lager siamo in 25 prigionieri islamici di diversi paesi del nord Africa.
L’8 aprile 2009 sono andato a parlare con il comandante, gli ho chiesto il perché di questo regime e del pestaggio contro Rachid. Lui mi ha detto: questo regime resta così fino a quando arriverà un cambiamento dal ministero!
Questa storia è una bugia, perché non c’è nessun carcere in Italia in cui chiudono la blindata 24 ore su 24 ore ecc.
Sul pestaggio di Rachid ha detto: “noi non abbiamo picchiato nessuno e quando picchiamo facciamo molto male”. (Questa la democrazia in Italia?).
La posta che entra in questo carcere ti viene consegnata dopo 25 giorni!, in ogni altro carcere la ricevi non dopo 4 giorni! che è stata spedita. La tengono bloccata.
Il giorno 4 aprile 2009 con i miei amici abbiamo cominciato lo sciopero della fame, lo porteremo avanti fino a quando non cambiano questo regime: o ci danno i nostri diritti o ci trasferiscono da questo lager.
Il 2 maggio due amici che dovevano chiamare le loro famiglie sono stati provocati dalle guardie. A un nostro amico una guardia ha detto “voi siete di Al Qaeda e non conoscete le guardie sarde come picchiano” e altre parolacce.
Lo stesso giorno un amico voleva passare il fornello ad un altro attraverso il lavorante, uno di noi, la guardia ha detto al lavorante di non farlo intimandogli di andare in cella. Mentre stava ancora parlando con la guardia, questa ha chiuso la blindata in faccia colpendogli il braccio. Abbiamo subito fatto una battitura di 25 minuti. Per tutto questo tempo e quando è arrivata la banda delle guardie hanno detto al nostro amico lavorante che la guardia non aveva visto il suo braccio. La mattina dopo quando è andato a parlare gli ha detto di voler fare una denuncia. Il comandante gli ha risposto: “Se tu fai una denuncia, io faccio una denuncia contro fi te e ti chiudo dal lavoro”.
Per davvero ci troviamo davanti ad una banda di “criminali!”. Loro hanno trovato un’isola, nessuno sentirà dei loro abusi di potere, però noi non ci fermeremo mai di scrivere fino a quando tutto il mondo avrà sentito come trattano i prigionieri islamici in Sardegna!
Alla spesa non portano il giornale per noi. Hanno la scusa pronta: il trasporto non arriva fino qui.
Cari amici di Yairaiha, noi abbiamo bisogno del vostro aiuto per pubblicare la nostra storia sulla vostra rivista e vi chiediamo di intervenire per cancellare la nostra sofferenza come avete fatto a Catanzaro e Benevento perché noi siamo isolati dall’esterno, inoltre siamo stranieri. Grazie mille, a presto.
Amine Bouhrama, Ilhami Rachid, Rabie Othman Saied, Mourad Mazi, Habib Mohamed, Hossin Dgamel, Tartag Samir, Khelili Fatah.
Macomer (NU), 15 maggio 2009
Dal
1 dicembre scorso tutti i detenuti in Italia hanno aderito allo
sciopero della fame per l'abolizione dell'ergastolo mentre, quasi 800
detenuti ergastolani lo stanno portando avanti a staffetta e, da ieri
e fino al 1 febbraio, anche nelle carceri calabresi si rifiuterà
cibo e acqua
per rivendicare
una presa di posizione del Parlamento Europeo con una risoluzione per
l’abolizione dell’ergastolo. Lo scorso novembre sono stati
presentati oltre 750 ricorsi alla Corte
Europea dei Diritti dell’Uomo in quanto la pena perpetua è
contraria agli artt. 3,6 e 7 della Convenzione Europea dei Diritti
dell'Uomo e all'art. 27 della Costituzione Italiana (le
pene non possono consistere in trattamenti contrari all'umanità e
devono tendere alla rieducazione del condannato)
ed, inoltre, l’ergastolo è stato abrogato nella maggior parte dei
paesi europei e laddove è ancora formalmente in vigore c’è stata
la concreta moratoria, con pene che si materializzano con un preciso
fine pena, oscillante tra i 15 e i 20 anni. Il luogo comune “tanto
in Italia l'ergastolo non lo sconta nessuno”
è falso, ci sono condannati all'ergastolo che sono dentro da più di
40 anni che, ormai, aspettano solo la morte. Cosa c'è di più
inumano di una pena che elimina, per
sempre,
un uomo o una donna dal consorzio umano? Cosa c'è di più aberrante
del non aver nessuna certezza o speranza di poter riavere, un giorno,
la libertà?
Nell’incessante
richiesta di certezza della pena, peraltro non scritta in nessuna
norma di legge e in nessuno dei principi sanciti dalla Costituzione,
sotto sotto, c’è la certezza di voler far morire in carcere le
persone, c’è il pessimismo di quanti non credono che un uomo, che
è stato delinquente, possa cambiare. E’ vero scegliere di cambiare
la propria vita è una scelta che non tutti fanno, ma a tutti deve
essere data la possibilità perché questo cambiamento possa
avvenire. Negli Stati che riconoscono la dignità umana, si pensa che
chiunque,anche il peggiore criminale, abbia la possibilità di
cambiare se stesso e ritornare alla vita sociale
ordinaria.
Purtroppo non è così nel nostro paese. Perché in
Italia, definita culla del diritto, promotrice di diverse campagne
per l’abolizione della pena di morte nel mondo, non è ancora
possibile cancellare la pena dell'ergastolo? Cosa ci impedisce,
nonostante siano state presentate diverse proposte abolizioniste, di
cancellare una mostruosità giuridica che reclude un uomo a vita?
Mai, per sempre. Mai, tre lettere che tolgono la speranza e crea
l'illusione di vivere in un paese civile e democratico che ha abolito
la pena di morte...ma solo per ragioni estetiche, mentre in realtà,
al riparo dallo sguardo della gente si consuma il dramma di pene
illimitate che nella loro disumana lunghezza annullano la vita in
maniera molto più rilevante e crudele .
Associazione
Yairaiha Onlus
c.p.o.a
Rialzo
Cosenza
Vekkia
Rebel
Fans
SIT-IN DI SOLIDARIETA'
Salvatore iaccino “Aciaddru” è di nuovo detenuto. Salvatore è uno dei
tanti perseguitati sociali della nostra città sul quale si sta consumando
un vero e proprio “accanimento trattamentale” in termini di privazione
della libertà personale attraverso carcere e psicofarmaci che gli unici
effetti che riescono a produrre sono ulteriore emarginazione e rabbia. Con
tutto quello che questa città esprime in termini di malaffare e malavita
la procura e la questura cosentine non hanno niente di meglio da fare che
accanirsi su una persona che esprime passioni forti e voglia di
ri-cominciare una vita solare all'insegna della libertà e della giustizia
sociale,
perchè salvatore è sempre stato presente nelle lotte per la difesa dei
diritti di tutti gli emarginati di questa città.
salvatore libero, liberi tutti
sabato 31 gennaio 2009 h. 17.30 sotto il carcere di cosenza
sit-in di solidarietà per salvatore iaccino
e presentazione del suo ultimo libro
"stellose creazioni"
edito da COESSENZA
C.P.O.A. RIALZO
REBEL FANS
COSENZA VEKKIA
YAIRAIHA
rivolte in carcere
rivolte in carcere
Pistoia: Liberi tutti. Subito!
Nella giornata di domenica a Pistoia sono stati arrestati due nostri compagni (tre in tutto) con l'accusa di lesioni e devastazione di un circolo fascista di Casa Pound.Innanzitutto ribadiamo la totale estraneità degli arrestati a quei fatti visto che sono stati condotti in questura dopo oltre tre ore dagli stessi, prelevati da un circolo Arci a poche centinaia di metri da Casa Pound mentre stavano facendo un'assemblea regionale sul tema delle ronde.E' quantomeno strano che persone che avrebbero compiuto un'irruzione all'interno di una sede fascista si ritrovino poi tranquillamente a poche centinaia di metri in assemblea senza preoccuparsi minimamente di eventuali rappresaglie o interventi delle forze dell'ordine. Esistono inoltre palesi contraddizioni, riportate anche dalla stampa, circa i partecipanti all’assemblea, che risultano completamente differenti dai profili attribuiti ai presunti autori del fatto.A parte questa evidenza che smonta a priori la tesi degli inquirenti, non si capisce poi su quali basi siano stati comminati i tre arresti che rimangono in ogni caso una misura ingiustificabile per quel tipo di capi d'accusa. Probabilmente la presenza di un esponente del PdL all'interno della struttura al momento dell'irruzione ha fatto si che ci fossero pressioni politiche sulla questura stessa che per fare venti identificazioni ha impiegato 12 ore in cui non era nemmeno possibile parlare con chi stava dentro e nemmeno fornire assistenza medica ad una ragazza che necessita di una terapia particolare per problemi di salute.Un atteggiamento di rappresaglia da parte della questura di Pistoia che non ha mai avuto nei confronti di ben due sedi fasciste che sono aperte nel giro di un paio d'anni in città: quella di Casa Pound e quella di Forza Nuova. Due gruppi di estrema destra che ormai scorrazzano anche in molte altre città della Toscana, tollerati e spesso coperti da amministrazioni e forze dell'ordine. La presenza di un consigliere del PdL all'interno della struttura ne è un esempio lampante. Alla luce dei fatti espost, chiediamo l'immediata scarcerazione dei compagni ingiustamente detenuti.Al fianco dei tre compagni e di tutti gli antifascisti.
Movimento Antagonista Livornese
Genova G8: Processo d'appello Condanne aumentate per 15 manifestanti
Confermata in appello la condanna solo per dieci dei 25 manifestanti accusati di devastazione e saccheggio durante il G8 di Genova del 2001. I giudici della corte d'appello hanno dichiarato 15 tra prescrizioni e assoluzioni. In primo grado le condanne erano state 24 per complessivi 108 anni di reclusione. Per gli imputati accusati di devastazione e saccheggio le pene sono state aumentate: Francesco Puglisi (10 anni e 6 mesi in primo grado) e' stato condannato a 15 anni; Vincenzo Vecchi (10 anni e 6 mesi) e' stato condannato a 13 anni; Marina Cugnaschi (11 anni) dovra' scontare 12 anni e tre mesi; Alberto Funaro (9 anni) e' stato condannato a dieci anni. Aumentate anche le pene per Carlo Arculeo (da 7 anni e 6 mesi a 8 anni), Luca Finotti (da 10 anni a 10 anni e 9 mesi), Antonino Valguarnera (da 7 anni e 8 mesi a 8 anni), Carlo Cuccomarino (da 7 anni e 10 mesi a otto anni), Dario Ursino (da 6 anni e 6 mesi a 7 anni), Ines Morasca (da 6 anni a 6 anni e 6 mesi). I giudici invece hanno riconosciuto l'azione legittima per i manifestanti assolti oggi dall'accusa di devastazione e saccheggio durante il G8 del luglio 2001. In particolare i magistrati hanno confermato quanto stabilito in primo grado, ovvero l'illegittimita' della carica dei Carabinieri sul corteo di via Tolemaide e quindi la liceita' della risposta dei manifestanti.
''Questa non e' una sentenza e' una vendetta'': lo ha dichiarato Haidi Giuliani Gaggio, madre di Carlo Giuliani, ucciso durante gli scontri del G8, alla lettura della sentenza d'appello del processo a 25 manifestanti accusati di devastazione e saccheggio durante il G8 del 2001. I giudici di secondo grado, pur riducendo da 24 a 10 il numero dei condannati hanno aumentato sensibilmente le pene.
Fonte: Ansa
Carcere: muore un detenuto di 32 anni, indagini della Procura
Si chiama Giuseppe Saladino il giovane parmigiano deceduto sabato nel carcere di via Burla a Parma. L'uomo era stato arrestato venerdì scorso perché doveva scontare una condanna ad un anno e due mesi per furto con scasso (era agli arresti domiciliari), ma è stato sorpreso fuori dalla sua abitazione; il luogo dove avrebbe dovuto scontare la pena. Per questo motivo Saladino, 32 anni nato a Palermo ma da molti anni residente a Parma, è tornato in carcere. Una volta portato nel carcere però ha accusato un malore ed è morto. La Procura di Parma ha aperto un fascicolo contro ignoti. Si indaga per omicidio colposo.
Il pm Roberta Ricci ha disposto l'autopsia e i risultati sono attesi per i prossimi giorni. Pochi giorni fa la Procura di Parma aveva aperto un'altra inchiesta per l'ipotesi di istigazione al suicidio di un detenuto che stava scontando l'ergastolo e si era tolto la vita. La vicenda riporta alla mente il caso Cucchi, il giovane morto a Roma qualche settimana fa.
da: http://www.lungoparma.com/
VOGLIAMO GIUSTIZIA PER I NOSTI BAMBINI!
I minori kurdi sono le maggiori vittime della guerra in corso. Sta ricadendo sulle loro deboli spalle il peso di vivere in un’epoca così violenta. Questo accade se i loro deboli corpi siano stati in grado di sopravvivere alla violenza senza esserne distrutti. Sono le vittime ed i testimoni di questa guerra e ne stanno pagando il prezzo sacrificando il loro futuro. Le prigioni sono i nuovi parco giochi dei minori di quest’epoca. Il numero dei bambini in prigione è più alto che mai. I loro crimini sono stati indescrivibilmente efferati: “Aver lanciato delle pietre contro un veicolo blindato della polizia ed aver danneggiato la proprietà pubblica”, questi sono i normali capi d’accusa. Nel freddo mondo della matematica le pietre che hanno tirato stanno tornando loro indietro sotto forma di 25 anni di prigione. Consumando la loro vita dietro le sbarre insegnano ai nostri minori che la vita e la guerra non sono un gioco. Degli abusi e delle torture sofferte durante l’arresto, degli interrogatori ai quali sono stati sottoposti prima di essere tradotti in prigione, di tutto ciò non è neanche necessario parlare… Tutto ciò accade in un paese candidato ad entrare nella Unione europea, mentre le così dette “riforme” per la democratizzazione del paese e per evitare che ciò accada ancora sono all’ordine del giorno. Attivisti per i diritti umani, intellettuali, membri delle ONG e tutti coloro che hanno sentito la loro coscienza colpita da questa ingiustizia hanno iniziato la campagna “Giustizia per l’infanzia”. Le comunità kurda e turca stanno facendo sentire la loro protesta. Non sono stati compiuti ancora passai avanti significativi. Le prigioni continuano ad essere usuali luoghi di dimora per i nostri minori. Come singoli individui, organizzazioni politiche, sociali e per i diritti umani ed ONG condanniamo questa ingiustizia. Non solo perché contraria alla normativa internazionale ma semplicemente perché inumana. Questo è il motivo per il quale aderiamo alla campagna “Giustizia per l’infanzia” in corso in Turchia. Come soggetti sottoscrittori noi chiediamo all’UNICEF di inviare una delegazione in Turchia per investigare, raccogliere informazioni e documentazioni al fine di fermare le violenze e le violazioni delle norme internazionali e dei diritti dei bambini che stanno avendo luogo.
Turchia, uccise 953 donne nei primi sette mesi del 2009
9/11/2009
Il dato è stato reso noto dal ministro della Giustizia in seguito ad
un'interrogazione parlamentare Nei primi sette mesi del 2009 in Turchia
sono state assassinate 953 donne.
Questo significa che in media sono state uccise 4,5 donne al giorno, 31
a settimana.
A dare la notizia è stato il quotidiano filo-governativo Today's Zaman
che riporta il dato fornito da Sadullah Ergin, ministro della Giustizia,
per rispondere ad un'interrogazione parlamentare.
A chiedere al ministro della Giustizia di fare luce su questi omicidi è
stata la deputata Fatma Kurtulan del partito per una Società
democratica, filo curdo.
L'interrogazione della Kurtulan rientra all'interno di un progetto più
ampio per costringere il Governo guidato da Giustizia e Sviluppo,
partito di radici islamiche, a porre fine alla piaga delle violenze
contro le donne.
benedetta guerriero Peace Reporter
Medio Oriente: dal 1967 ad oggi gli israeliani hanno arrestato 12.000 minori palestinesi
Infopal, 5 agosto 2010 Nuovi dati rivelati dal ministro per gli Affari dei detenuti del governo di Ramallah affermano che gli occupanti israeliani hanno arrestato 12.000 minori palestinesi dall’anno 1967, e che sono 300 i ragazzi al di sotto dei diciott’anni ad essere attualmente rinchiusi nelle loro carceri. Questi, secondo il ministro ‘Isa Qaraqè, “sono sottoposti a torture ed estorsioni, oltre che a provvedimenti giudiziari iniqui in occasione dei processi”. Tutto questo, ha ricordato il ministro durante l’apertura del Campo della libertà per i prigionieri nel villaggio di az-Zaytuna - vicino a Bayt Jala -, viola apertamente l’Accordo internazionale sui diritti del minore, che stabilisce il divieto di arrestare chiunque non abbia raggiunto la maggiore età. “L’obiettivo che cerca di raggiungere Israele arrestando i ragazzini è la distruzione totale delle nuove generazioni” ha dichiarato Qaraqè, aggiungendo che il 90% di loro subisce torture e punizioni “esemplari” durante l’arresto e la prigionia. |
nelle carceri una tortura di Stato, intervista ad Adriano Sofri
di Tommaso Cerno
L’Espresso, 21 luglio 2010 Immaginate di passare ogni giorno in una cella di due metri a quaranta gradi. In piedi o sdraiati su una gommapiuma impregnata dal sudore altrui. Questa è tortura vera, non metaforica. La denuncia di Adriano Sofri. Carceri sovraffollate. Celle anguste. Caldo. Niente acqua. Niente aria. Un’estate torrida che spinge a violenze e autolesionismo. Fino al suicidio in cella di chi è così disperato da non voler più vivere. L’allarme che “L’espresso” aveva lanciato qualche mese fa, denunciando il limite di capienza ormai sforato degli istituti penitenziari italiani, diventa cronaca quotidiana di morte nelle galere. E la ragione è un sistema detentivo ai limiti dell’umano, che Adriano Sofri equipara a “una tortura di Stato”.
Cosa significa davvero trascorrere in carcere un’estate come questa?
“Per capirlo basta pensare a cosa significhi questo caldo torrido per una persona libera. Chiunque soffre a queste temperature la mancanza d’aria fresca, ha difficoltà a muoversi, a spostarsi e a dormire. Se trasferiamo queste sofferenze in una cella dove lo spazio è di due metri quadrati è facile immaginare cosa succede dentro le prigioni. È come passare l’estate su un autobus nell’ora di punta. Puoi al massimo sederti, ma non sempre è possibile, perché non c’è lo spazio. Puoi stare in piedi per ore, oppure sdraiato su una squallida branda, a giacere su materassi vecchi, impropriamente chiamati di gommapiuma e imbevuti del sudore di generazioni di detenuti che ci marciscono sopra. Ogni ora, ogni giorno”.
E la notte?
“Le celle vengono chiuse il più delle volte alle 18, oppure alle 20, e restano chiuse da quell’ora fino al mattino successivo. Le finestre hanno normalmente tre file di ferro: una grata, una fila di sbarre e una seconda di sbarre meno fitte. A certe ore il sole batte dritto su quell’ammasso di ferro che fa da coperchio e trasforma la cella in una triplice graticola che agisce come uno strumento di tortura sui detenuti stipati all’interno. È lo strumento che rese celebre San Lorenzo. Sono dei forni veri e propri e all’interno ci sono persone che non possono fare nulla, se non stare immobili, giacere ed attendere che prima o poi l’agonia finisca”.
È per questo che violenze e suicidi aumentano?
“Sì. Le violenze e anche l’autolesionismo grave. Ci sono detenuti che si riducono a brandelli perché sperano di essere portati in infermeria, di poter prendere degli antidolorifici o dei farmaci, o anche solo sperano di poter fumare una sigaretta”.
Nei primi sei mesi di quest’anno 37 detenuti si sono tolti la vita in cella.
“Secondo me la domanda che dovremo farci, in queste condizioni, non è perché ci si suicidi così tanto, ma piuttosto perché ci si suicidi ancora così poco, visto che le carceri sono strutture che non portano affatto alla rieducazione, ma piuttosto istigano a farla finita, all’incubo ottocentesco di essere sepolti vivi. Spesso manca anche l’acqua per lavarsi la faccia e quella dei rubinetti non è potabile. Dovrebbero essere distribuite bottiglie d’acqua a basso costo, che il carcere spesso invece non distribuisce”.
Perché lo Stato non interviene?
“La realtà è che nelle carceri italiane c’è la tortura. Non in senso generico o metaforico, proprio in senso tecnico. Queste condizioni, anche senza botte o provocazioni volontarie, si configura come una tortura di Stato. Per cui, se esiste un torturato esiste anche un torturatore. Non parlo degli agenti penitenziari che sono a loro volta, in senso lato, dei semi-detenuti, ma delle autorità che hanno a che fare con questo sistema. Gente che per cattiveria, imbecillità o peggio fa leggi che spediscono in carcere persone che non ci dovrebbero andare. E che non prende alcuna misura per evitare la situazione tragica a cui le condanna”.
I magistrati potrebbero fare qualcosa?
“I magistrati, quando non hanno una vocazione almeno iniziale a occuparsi delle carceri credendoci davvero (e sono la minoranza, molti più fra le donne), sono persone che cercano di smaltire con il minimo danno la gestione di una discarica, a loro affidata, con istruzioni che dicono di fare il meno possibile e di girarsi dall’altra parte. Spesso quello che sentenziano è un voto a fine scrutinio: 10, oppure 18. Ma nessuno pensa che quel 10 significa 10 anni moltiplicati per 365 giorni e ancora per 24 ore, per due metri quadrati e per tre file di sbarre. Su questo i magistrati sembrano non porsi nemmeno il problema”. |
Ferrara: I poliziotti condannati per l'omicidio di Aldrovandi, ora denunciano anche i bloggers
Dopo aver denunciato la madre di Federico Aldrovandi – il ragazzo, ora si può dirlo, ucciso da quattro agenti di polizia mentre tornava a casa dopo una serata con gli amici – per diffamazione, i quattro poliziotti di Ferrara se la prendono anche con la rete. Tramite il loro avvocato fanno sapere di aver intentato una causa contro alcuni frequentatori del blog aperto dalla mamma di Federico, attorno al quale in questi anni si sono riuniti diverse persone a portare la solidarietà alla famiglia.
I fatti, o meglio i post “incriminati”, riguardano contenuti pubblicati dall’autunno 2007 all’estate 2008, “quando presero piede iniziative fatte di insulti giornalieri nei confronti dei quattro poliziotti – spiega Gabriele Bordoni, avvocato difensore degli agenti – e di istigazione a punire gli imputati”.
E ci tiene però a precisare “ogni critica, anche se severa, va accettata; ma non gli insulti o le minacce. Abbiamo inoltre voluto distinguere le posizioni della famiglia scritte nel blog, perché riteniamo che sia doveroso che possano esprimersi come credono, da quelle manifestate invece da altri frequentatori del blog, fatte di offese, contumelie e in alcuni casi anche incitamento all’odio”.
Offese a pubblico ufficiale, dunque, e una “istigazione all’odio”, che i quattro responsabili della morte del ragazzo di 18 anni avrebbero subito durante questi anni di processo.
Alcuni giorni fa, la pm del processo, Mariaemanuela Guerra, aveva anch’ella sporto denuncia per diffamazione nei confronti della madre di Federico, a causa delle accuse portate da tempi non sospetti sul modo “poco limpido” con cui sono state condotte le indagini, e dopo una condanna ad altri 3 agenti per omissione di atti d’ufficio e favoreggiamento (il cosidetto “Aldro-bis“).
“Non sono bastate due sentenze, le risultanze di tutte le indagini successivamente fatte dal dott. Proto a farle capire che comunque, sia pure in buona fede, gli errori che sono stati commessi durante la conduzione di quelle prime indagini sono stati contro di me, contro la mia famiglia e contro la verità. Ora lei mi querela, e immagino che vorrà da me i danni che io le ho causato [...] io non ho mai offeso nessuno ma ho solo preteso verità e senso di responsabilità da coloro che hanno sbagliato. Il pm vuole da me i danni. Dopo che non si è recata sul posto quella mattina, dopo che non ha sequestrato subito i manganelli rotti, dopo che non ha sequestrato l’autovettura contro la quale si sarebbe fatto male Federico e sulla quale c’era il sangue di mio figlio, dopo tutto ciò adesso vuole da me i danni alla sua immagine” – la risposta della madre in un articolo del suo blog.
Detenuto suicida a Padova, e' il settimo in un mese
Roma, 1 lug. - (Adnkronos) - Un detenuto italiano di 25 anni, Santino Mantice, classe 1985, si e' ucciso impiccandosi nella sua cella della Casa di Reclusione di Padova. Lo riferisce in una nota l'Osservatorio permanente sulle morti in carcere, spiegando che il detenuto avrebbe terminato la pena tra soli 3 mesi.
''Nel solo mese di giugno - si legge nella nota - nelle carceri italiane si sono impiccati 6 detenuti, inoltre 1 detenuto semilibero si e' suicidato, impiccandosi a un albero in provincia di Bolzano, quando ha saputo di dover tornare in carcere e un giovane immigrato si e' impiccato nella 'cella di sicurezza' della Questura di Agrigento''.
''Dall'inizio dell'anno - prosegue la nota - sono gia' 29 i detenuti suicidi per impiccagione, mentre 6 sono morti asfissiandosi con il gas delle bombolette. Il suicidio di Santino Mantice e' il 590esimo avvenuto nelle carceri italiane dal 2000 ad oggi''.
Grazia La Venia è l'ennesima madre che non crede alla versione ufficiale di un'amministrazione penitenziaria. L'ennesima a battersi contro un'archiviazione annunciata. Suo figlio si chiamava Carmelo Castro ed era incensurato. E' morto il 28 marzo nella cella numero 9 del carcere catanese. Era lì da quattro giorni, da quand'era stato fermato per una rapina nella tabaccheria del suo paese, Biancavilla. Aveva 19 anni. Secondo la versione ufficiale «la morte è avvenuta per asfissia da impiccamento»: avrebbe attaccato il lenzuolo allo spigolo della branda. Nulla pi di questo per il pm che ha proposto l'archiviazione. Ma sua madre chiede che si accerti ciò è avvenuto prima che Carmelo entrasse in carcere anche perché, una volta dentro, per suo figlio,sottoposto al regime di massima sorveglianza, sarebbe stato difficile impiccarsi. La foto segnaletica diffusa dopo il fermo fa sorgere parecchi dubbi: «Forse lo hanno ripulito ma si vede comunque un livido sopra l'occhio sinistro e il labbro gonfio, oltre all'orecchino strappato». I carabinieri lo hanno trattenuto in caserma un intero pomeriggio e lei da sotto lo sentiva piangere e gridare. Potrebbe esserci del sangue sulle scarpe e il giubbotto che indossava. Anche l'avvocato della famiglia segnala «molte incongruenze nella ricostruzione dei fatti»: ad esempio il fatto che, per il trasporto del ragazzo in ospedale, venne utilizzata una normale auto di servizio. Il medico del carcere riferisce di aver praticato le manovre di rianimazione cardiorespiratoria poi le interrompe ma non ritenne di dover disporre il trasporto con un'ambulanza adeguta a continuare le manovre rianimatorie. Il suicidio sarebbe avvenuto alle 12.30 ma Carmelo aveva nello stomaco il pranzo non digerito. Tutte domande che attendono una risposta e che ricordano vicende come quelle che hanno registrato la morte di Niki Aprile Gatti - anche il suo fu un suicidio strano dopo essersi dichiarato disponibile a collaborare. Di Giuseppe Uva - l'analogia consiste nelle urla sentite mentre era in custodia dei carabinieri - e di Stefano Cucchi, passato anche lui dalle mani dell'Arma a quelle del carcere prima di finire "seppellito" in un repartino penitenziario. Così pure la mamma di Marcello Lonzi e i figli di Aldo Bianzino stanno mettendocela tutta perché non cali il sipario sulla morte dei loro cari. E che dire di Manuel Eliantonio e Stefano Frapporti: l primo ucciso dal carcere a Marassi, dicono che si sia ammazzato col gas di una bomboletta ma sua madre Maria non riesce a capire come faccia il gas a spezzare le ossa. Frapporti, invece, si sarebbe "suicidato" dopo due ore dall'arresto. Uno stranissimo arresto. Molti di loro saranno a Perugia venerdì e sabato (per il programma vedi www.veritaperaldo.noblogs.org ), nella due giorni promossa dal Comitato Verità e giustizia per Aldo Bianzino su autoritarismo, proibizionismo, carcere e sicurezza. Appuntamenti di questo tipo stanno producendo un ragionamento collettivo che prova a ribaltare l'ossessione sicuritaria di cui Perugia è laboratorio avanzato.
Le carceri sono fuorilegge
Appello
In carcere non si rispettano le leggi. Chi non le rispetta fuori, viene messo dentro; chi mette dentro, le istituzioni democratiche, non le rispetta e basta. Quasi niente, nelle carceri, è come dovrebbe essere, funziona come dovrebbe funzionare, rispetta il dettato delle norme che dovrebbero regolare la vita penitenziaria. È trascorso quasi un anno dalla sentenza della Corte europea dei Diritti umani che ha condannato l'Italia per aver detenuto persone in meno di tre metri quadri. Una violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea, un'ipotesi di tortura o trattamento inumano o degradante.
Oggi la situazione è peggiore di allora. Il prossimo 20 settembre saranno dieci anni dall'entrata in vigore del Regolamento penitenziario, che guardava verso condizioni più dignitose di detenzione. In cinque anni era fissato il termine per adeguare le carceri ad alcuni parametri strutturali. Che ci fosse l'acqua calda, per fare solo un esempio. Ne sono passati dieci, di anni, e quasi ovunque gli edifici sono ancora fuori legge. Noi ci riteniamo da oggi in vertenza contro le istituzioni. Utilizzeremo ogni strumento legale a disposizione per far sì che lo Stato paghi il prezzo della propria illegalità.
Antigone, A buon diritto, Carta |
Turchia: i minori "lanciatori di pietre" in carcere per terrorismo
Ragazzini, che lanciano pietre nel nome dell’indipendenza curda e finiscono in prigione come terroristi. Accade in Turchia, e non di rado. L’ultimo episodio è solo di pochi giorni fa, quando il tribunale di Diyarbakir ha condannato sei minori, con età compresa fra 15 e 17 anni a sette anni e cinque mesi di carcere per aver lanciato sassi contro la polizia durante una delle manifestazioni nell’est del Paese in supporto del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan che lotta per la creazione di uno stato indipendente. In realtà la loro pena totale sarebbe stata di 13 anni, il giudice ha poi deciso di diminuirla grazie ad attenuanti.
Questi ragazzi non hanno ammazzato, non hanno rubato. Hanno lanciato pietre contro la polizia in una delle mille manifestazioni che ogni anno si tengono nell’est del Paese, a maggioranza curda, a sostegno del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, organizzazione terrorista che lotta per la creazione di uno stato indipendente curdo.
Non sono innocenti, certo. Ma a causa dell’attuale legge anti-terrorismo in vigore, vengono condannati alla stesse pene di chi uccide, perseguita, tortura e sequestra. I capi di imputazione per i sei ragazzi di Diyarbakir erano "propaganda di organizzazione terrorista", "resistenza armata" e "crimine commesso per difendere un’organizzazione terroristica". Accuse gravi di principio, ma dove le armi utilizzate sono sassi e dove le ricostruzioni dei fatti nei processi sono spesso confuse e farraginose.
Il ministero della Giustizia stima che i minori in queste condizioni nel Paese siano circa 2.700. Il problema, oltre alle pene comminate, è anche il luogo di detenzione. Circa 1.400 subiscono lo stesso trattamento di detenuti adulti e non scontano la loro pena in istituti idonei. Fra il 2006 e il 2007 quelli finiti sotto processo secondo la legge anti terrorismo per aver tirato sassi contro la polizia sono stati 1.056. Di questi 208 sono finiti in carcere.
Numeri inquietanti, contro i quali il governo di Recep Tayyip Erdogan sta cercando di agire.
L’esecutivo è al lavoro per modificare la legge che al momento permette alla magistratura di giudicare i lanciatori di pietre secondo la legge antiterrorismo. Sarebbe questo il motivo di pene e condizioni detentive così severe. La bozza della legge è stata presentata a fine marzo e tutta l’opposizione, anche il Partito Nazionalista (Mhp), voce più conservatrice della minoranza, si è mostrata disponibile a votarla.
I minori lanciatori di pietre infatti provengono da situazioni famigliari particolarmente critiche complesse. Non vanno a scuola e a volte crescono in un clima di violenza tale che si ritrovano in carcere perché avviati dalla famiglia al crimine o al lavoro in nero, altra grande piaga del Paese. Secondo statistiche ufficiali si calcola che i bambini che lavorano fra i 6 e i 17 anni in Turchia siano 960mila. In un contesto del genere, soprattutto in aree del Paese dove la famiglia è organizzata in clan, è facile che crescano istigati all’odio e la violenza. Il carcere duro però sembra la soluzione meno indicata per garantire loro un futuro migliore.
fonte: Apcom, 2 aprile 2010
anche a Cosenza i detenuti battono stoviglie
Cosenza, 1 giugno 2011 - I detenuti del carcere di Cosenza hanno inscenato una protesta nel pomeriggiobattendo le stoviglie sulle sbarre delle celle di sicurezza e urlando slogan come "Libertà, libertà". Alla base delle proteste, che non hanno creato comunque problemi di ordine pubblico, ci sono le lamentele dei detenuti ristretti nel penitenziario in relazione ai mancati riscontri rispetto alle aspettative del decreto svuota carceri, approvato in via definitiva lo scorso autunno, che consente la detenzione domiciliare per chi deve scontare una pena inferiore ad un anno. Nei giorni scorsi manifestazioni di protesta analoghe si sono svolte in diversi istituti di pena del Paese. |
Contro tutte le galere
Basta morti in carcere!giovedì 31 dicembre ore 18.00
Presidio sotto il carcere di cosenza in solidarietà a tutti i detenuti.
Facciamo sentire la nostra voce contro tutte le galere!
No alla carcerazione sociale!
No alla costruzione di nuove carceri!
Cosenza contro il Carcere
LAZZARETTO POGGIOREALE QUANDO LA DETENZIONE DIVENTA UN INFERNO
Domenica
24 febbraio mi sono recata in visita presso i padiglioni Firenze,
Milano, Avellino e Genova del carcere di Poggioreale a Napoli. Ero
assieme a Sandra Berardi, presidente dell’associazione per i diritti dei
detenuti Yairaiha Onlus, che da lungo tempo collabora con me nel
percorso di visite delle strutture penitenziarie e denunce delle gravi
carenze del sistema carcerario italiano. Abbiamo visitato Poggioreale
dopo le tante segnalazioni del movimento Ex detenuti Organizzati, in
particolare a seguito degli ultimi tragici eventi come l’assurda morte
di Claudio Volpe e dopo le mobilitazioni dei detenuti del padiglione
Firenze.
Dalla visita, sebbene parziale, abbiamo riscontrato
condizioni strutturali assolutamente inadeguate, soprattutto sotto il
profilo igienico-sanitario. Ad esempio, ad eccezione del padiglione
Genova, che è stato oggetto di recente ristrutturazione ed adeguamento
funzionale, con i servizi sanitari separati tra loro e dalla zona letto,
nelle celle e cameroni degli altri padiglioni (che arrivano a contenere
fino a 10 persone) le cucine sono ricavate in un spazio angusto, che in
origine avrebbe dovuto rappresentare l’antibagno.
Attualmente a
Poggioreale sono recluse circa 2.400 persone, a fronte di una capienza
regolamentare di 1659, prevalentemente in media sicurezza, di questi 180
detenuti in Alta Sicurezza 3 (padiglione Avellino).
Nel padiglione
Firenze sono collocati i detenuti al primo reato e quelli che non sono
entrati in carcere nei 10 anni precedenti al nuovo reato. I cameroni
vanno da 4 a 10 posti letto, prevalentemente disposti su letti a
castello, sovente fino a tre “piani”. Questa situazione, a nostro
parere, non rispetta i parametri minimi di 3 mq a detenuto, stabiliti
dalla sentenza Torreggiani della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Nel caso di Poggioreale dovrebbe essere preso in considerazione un altro
parametro vitale, ovvero la cubatura dei vani detentivi, che in questo
caso non appare sempre rispettato.
I letti a castello a tre piani,
per forza di cose, sono poggiati alla parete dove sono posizionate le
finestre impedendone l’apertura e, di conseguenza, è impedita una
corretta areazione, fondamentale in presenza di 8-10 persone in uno
spazio che varia dai 18 ai 25 mq. Il corredo e il mobilio fornito appare
visibilmente deteriorato, le pareti e i soffitti sono pieni di
infiltrazioni e muffe.
Nelle scorse settimane i detenuti hanno
portato avanti una battitura ad oltranza per denunciare la mancanza di
acqua calda, le gravi carenze e ritardi sanitari, il caro vitto e il
sovraffollamento ormai cronico. Dalle testimonianze raccolte, e
dall’organizzazione dei cameroni riscontrata, emerge che la possibilità
di usare l’acqua calda è assai limitata. In alternativa, i detenuti
riscaldano l’acqua con fornellini da campeggio.
L’eccessiva
promiscuità di soggetti con le più disparate patologie e disabilità, in
assenza di condizioni igienico-sanitarie ottimali, fanno di Poggioreale
un moderno lazzaretto.
Il ricorso massiccio alla custodia cautelare
in carcere e la progressiva limitazione delle misure deflattive e
alternative hanno determinato l’attuale stato di sovraffollamento. Al 31
gennaio scorso si contano oltre 60.000 persone detenute in Italia. Tale
condizione è peggiorata anche per la mancata implementazione delle REMS
(Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza) al posto degli
OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari) e dalle ultime leggi sulla
“sicurezza” che hanno portato in carcere migliaia di persone per piccoli
reati. A questi si affiancano le centinaia di persone che si ritrovano a
scontare con la detenzione residui di pena o pene minime (al di sotto
dei tre anni ma anche meno) a distanza di molti anni dalla commissione
del reato, rendendo difficile immaginare un rischio di reiterazione del
reato o di fuga.
Come spesso ci succede, purtroppo, abbiamo
incontrato numerose persone con patologie psichiatriche e disabili.
Queste categorie non sembrano ricevere l’assistenza adeguata e spesso
sono affidati alle cure del “piantone”, che assiste senza sosta anche
più di un disabile o anziano per 3/400 euro al mese. Il piantone, o
“assistente alla persona”, viene letteralmente sfruttato per sopperire
alle carenze croniche e strutturali del sistema carcerario.
Ai
detenuti con problemi psichiatrici, anche gravi e pertanto incapaci e/o a
ridotta capacità di intendere e di volere, o con personalità tendente
all’autolesionismo, le diverse terapie a dosaggio vengono consegnate in
una unica soluzione, lasciando quindi nelle disponibilità del malato
psichiatrico una quantità spropositata e pericolosa di farmaci.
Tralascio in questa sede di elencare la criticità dei ritardi
nell’erogazione delle prestazioni mediche specialistiche, del ruolo
della magistratura di sorveglianza o dell’area educativa perché ormai le
ritengo problemi strutturali del sistema penitenziario, riscontrati in
praticamente tutte le strutture visitate sinora.
Per il carcere di
Poggioreale tuttavia chiedo pubblicamente, e chiederò ufficialmente, che
intervenga immediatamente il Garante Nazionale e il Comitato europeo
per la Prevenzione della Tortura e dei trattamenti inumani e degradanti,
con una ispezione approfondita.
Eleonora Forenza
CARCERE DURO E CARCERE A VITA. SE ABOLIRE PUO' ESSERE UTILE
di Domenico Bilotti
La paura è merce di scambio. Nelle campagne elettorali vale più del pane. La paura percepita, in termini di propaganda, viene scambiata con la sicurezza promessa. Una promessa di sicurezza è però del tutto vacua e menzognera se non si basa su una visione complessiva e dinamica della giustizia. Altrimenti la sicurezza viene agitata come un prodotto da esposizione, come l’etichetta da appiccicare a provvedimenti che hanno contenuto molto più ristretto, vessatorio e opinabile, oltre che spesso difficilmente applicabile (buoni ultimi, il decreto legge 17 Febbraio 2017, n. 13, e la legge 13 Aprile 2017, n. 46).
L’oggettiva novità del circuito politico italiano è che finalmente la discussione sulla giustizia può essere ricondotta alla sua dimensione sostanziale. Non c’è più soltanto una proposta sulla giustizia stritolata tra l’incudine del legalismo ipertrofico e giustizialista e il martello delle convenienze di bottega.
In modo sorprendentemente innovativo, per un Paese che sui diritti tende a ragionare in modo rinunciatario, compromissorio e vessatorio, una lista che presenta propri candidati alle prossime elezioni politiche (“Potere al popolo!”) ha verbalizzato nel proprio programma l’abolizione dell’ergastolo e del regime detentivo previsto all’articolo 41 bis dell’Ordinamento Penitenziario.
Questi temi sono spesso stati patrimonio di discussione occasionale tra i giuristi, spesso confinati in posizioni minoritarie a sostenere quello che per la convenienza personale e gli umori peggiori dell’opinione pubblica sarebbe da esecrare e condannare. Fare delle condizioni di detenzione e di pena tema della discussione collettiva è segno di grande freschezza argomentativa e di non comune schiettezza. La percezione diffusa del popolo italiano va ovviamente in altra direzione: criminalità e microcriminalità andrebbero combattute con più pene, più leggi, più carceri; i detenuti devono stare “dentro” e non contare quanto loro manchi per tirarsene “fuori”.
Persino in materia di mafia e antimafia, le idee sono confuse, sollecitano e solleticano prese di posizione trite e ritrite. Per “mafia” finiamo per intendere soltanto una dimensione della criminalità mafiosa, incistatasi nell’immaginario collettivo per momenti di grande drammaticità corale (ad esempio: l’uccisione di Falcone e Borsellino), poi, però, traditi da rivisitazioni teatrate e poco partecipate. Il crimine predatorio e il crimine cruento hanno facce, braccia e manifestazioni spesso sconosciute e imprevedibili. Proviamo a partire dalla realtà, per cercare di comprendere se la proposta politica di “Potere al popolo!” possa essere condivisa e diventare un nuovo modo di partecipare la giustizia.
L’ergastolo è una pena detentiva a carattere perpetuo. La Corte Costituzionale italiana si è dovuta misurare in più circostanze sul tema della compatibilità tra la pena dell’ergastolo e l’articolo 27 della Costituzione, in particolar modo in riferimento alla natura delle pene che “devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Persino in pronunce che hanno perorato la legittimità costituzionale dell’ergastolo (n. 403/1993, prima ancora n. 264/1974), il disagio interpretativo veniva alla luce in tutta la sua evidenza. Può davvero avere finalità rieducativa la pena perpetua? Non è allora giusto temperarla almeno con la possibilità di svolgere attività lavorativa o di allontanarsi in modo circostanziato dal luogo di detenzione? E ha davvero utilità special-preventiva l’ergastolo, nel momento in cui esso affligga un soggetto malato o inidoneo alla reiterazione del reato o che abbia almeno già scontato una parte significativa della pena? È come se la giurisprudenza avesse sempre riconosciuto i profili di illegittimità dell’ergastolo, accettandone poi l’esistenza per non sembrare passivi, troppo tolleranti, inefficaci.
L’ergastolo è mano a mano divenuto residuale in molti ordinamenti democratici: anche i Paesi dove la detenzione a vita non è formalmente abrogata hanno adottato dei temperamenti specifici, che stanno dando ottimi frutti nella prevenzione di tutti i delitti che con la pena dell’ergastolo erano puniti – si vedano in proposito la Germania e la Danimarca.
L’abolizionismo è premiato persino in ordinamenti dai trascorsi politici tempestosi (Portogallo, Bosnia, Serbia, Croazia). Paesi che resistono stoicamente, nonostante ondate politiche panpenaliste siano da tempo sui radar degli osservatori internazionali e degli studiosi del diritto comparato.
Quanto al 41-bis, la sua eliminazione dall’ordinamento penitenziario appare inscritta e necessitata in due recenti controversie giurisdizionali che hanno riguardato l’Italia. Nel 2007, gli Stati Uniti – noti per una certa discontinuità localistica della normativa penitenziaria – hanno rifiutato di estradare nel nostro Paese un esponente dei cartelli siculo-americani, proprio perché in Italia sarebbe stato assegnato al regime detentivo del 41-bis, ritenuto dal giudice dello Stato estero assimilabile alla tortura.
Nel 2013, la Corte di Strasburgo si intestava di rivolgerci un monito ben preciso per la risoluzione a breve e a lungo termine della questione penitenziaria (cd. sentenza pilota, Torreggiani e altri c. Italia).
Nella condanna del nostro Paese per trattamenti inumani e degradanti, peraltro vietati dallo stesso disposto costituzionale, ben possono rientrare purtroppo le condizioni afflittive del 41-bis. Il sistema ha l’ulteriore demerito, nonostante la recente circolare del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, di essere esposto a criticità sistemiche locali che dipendono da direzione e contesto del concreto istituto di pena. Non dalla sicurezza, non dalla libertà, non dalla giustizia.
Il 41-bis nasce come strumento emergenziale, col decreto legge Martelli-Scotti, 8 Giugno 1992, n. 306, per come emerge sin dai lavori preparatori: misura a tempo, eccezionale, tarata a specifica contingenza esterna. Trasformarlo in emblema della legalità non ha portato a grandi risultati. Ha forse dato impulso a collaborazioni di giustizia che sono, però, spesso da riscontrare quanto alla loro veridicità fattuale, prima che quanto alla loro intenzione ideale (la quale non costituisce parametro legislativo di fondatezza).
Il 41-bis, inoltre, è applicato anche avverso fattispecie delittuose estranee al contrasto alla mafia, come il terrorismo. Misura perciò deleteria per gli imputati di appartenenza ad associazioni sovversive (art. 270 Codice Penale): il contesto sociale, prima ancora di quello criminoso, ha reso queste ipotesi particolarmente residuali. E misura controproducente anche in materia di lotta al terrorismo fondamentalista. Favorisce la compartimentazione dei detenuti per ragioni affini e il loro più incisivo presentarsi come blocco unitario nel promuovere fenomeni di radicalizzazione in soggetti detenuti ad altro titolo.
Una lista elettorale che tiene la barra alta su temi del genere fa servizio non solo a sé o ai suoi elettori, ma alla discussione pubblica e alla sicurezza collettiva integralmente considerate.
Anche a Cosenza i detenuti sonoin mobilitazione per chiedere un'amnistia contro il sovraffollamento e ladisumanità delle carceri. Libertà, Diritti e Umanità sono le parole d’ordineche Radio Carcere sta facendo rimbalzare da un carcere all’altro, da nord asud. Parole che invocano, dal chiuso di una prigione, il rispetto della dignitàe dei diritti di quasi 70.000 persone che attualmente sono detenute nellepatrie galere. Decine di mobilitazioni in tutta Italia stanno dando eco alleproteste per superare l’isolamento fisico e comunicativo a cui sono costretti idetenuti. Ma siamo ancora troppo pochi. Pochi per riuscire a creare unmovimento anticarcerario che possa portare avanti un ragionamento abolizionistacome fu, più di trent’anni, per l’abolizione dei manicomi. Il carcere come ilmanicomio e come tutte le strutture totalizzanti nasce come luogo di privazionedella libertà e di cura sebbene, citando Basaglia,
« Dalmomento in cui oltrepassa il muro dell'internamento, il malato (detenuto) entra in una nuovadimensione di vuoto emozionale ([...]); viene immesso, cioè, in uno spazio che,originariamente nato per renderlo inoffensivo ed insieme curarlo, appare inpratica come un luogo paradossalmente costruito per il completo annientamentodella sua individualità, come luogo della sua totale oggettivazione. Se lamalattia mentale è, alla sua stessa origine, perdita dell'individualità, dellalibertà, nel manicomio il malato non trova altro che il luogo dove sarà definitivamenteperduto, reso oggetto della malattia e del ritmo dell'internamento. L'assenzadi ogni progetto, la perdita del futuro, l'essere costantemente in balia deglialtri senza la minima spinta personale, l'aver scandita e organizzata lapropria giornata su tempi dettati solo da esigenze organizzative che – proprioin quanto tali – non possono tenere conto del singolo individuo e delleparticolari circostanze di ognuno: questo è lo schema istituzionalizzante sucui si articola la vita dell'asilo » finisce solo per annientarel’individualità e per separare una parte dal resto della società. E guarda casosempre la parte più debole e ricattabile della società. Migranti,tossicodipendenti, “ladri” di ferrovecchio, pesci piccoli che superano laprecarietà con extralegalità varie.
Il presidio di oggi, oltre chefar sentire la solidarietà ai propri fratelli prigionieri, vuole lanciare ancheil messaggio che un
UN MONDO SENZA GALERE PUO’ ESISTERE
COSENZACONTRO IL CARCERE SABATO 5 GIUGNO
PRESIDIO DI SOLIDARIETA' CON I DETENUTI IN LOTTA
Da tre giorni i detenuti di Cosenza hanno avviato una forma di protesta pacifica, la battitura delle sbarre ogni giorno dalle 6 alle 7, per chiedere un'amnistia contro il sovraffollamento delle carceri, ed il rispetto dei propri diritti al grido di Libertà. In tutta Italia i detenuti si stanno rivoltando, le condizioni sono diventate insostenibili. Raccogliamo il loro grido e facciamolo risuonare in tutte le piazze. Non facciamo mancare la nostra solidarietà
PRESIDIO DI SOLIDARIETA' SABATO 5 GIUGNO
COSENZA CONTRO IL CARCERE
UNA STORIA VERA
23/10/2011
La dove cresce il dolore è terra benedetta. Un giorno o l’altro, voi tutti riuscirete a capire cosa significa questo. (Oscar Wilde)
In carcere capita spesso che si possa osservare meglio gli altri che se stessi.
E scrivendo si può essere la voce di chi non ha neppure più la forza di avere voce.
Questa è una storia vera che nessuno scriverà mai in un giornale e mai nessuno racconterà in televisione.
Questa è una storia vera che rimarrà prigioniera nelle celle,
nei cortili e nelle sezioni dell’Assassino dei Sogni (il carcere, come
lo chiamo io).
Io ci provo a fare evadere questa storia dalle sbarre della
mia cella per farla conoscere aldilà del muro di cinta, al mondo dei
“buoni”.
Questa è la storia di Salvatore Liga, detenuto nel carcere di
Spoleto in Alta Sicurezza, 80 anni compiuti l’estate scorsa, vecchio
malato e stanco.
E destinato con certezza a morire in carcere perché è stato
condannato alla pena dell’ergastolo ostativo a qualsiasi beneficio, se
al suo posto non ci mette un altro.
L’ultima volta che l’ho visto era questa estate e si muoveva a
malapena nel cortile del carcere con due stampelle sotto le ascelle.
Stava sotto il sole seduto in una panchina di cemento armato
tutto l’orario del passeggio a prendersi l’ultimo sole della sua vita.
Poi un giorno non l’avevo più visto.
In seguito avevo saputo che gli avevano trovato un tumore
maligno allo stomaco e l’avevano trasferito d’urgenza in un centro
clinico carcerario.
Proprio l’altro giorno ho saputo che era ritornato, l’avevano
operato, ma che adesso non riusciva più a camminare e gli hanno dato
una sedia a rotelle.
Oggi, da un suo paesano, ho saputo che per Salvatore Liga le
disgrazie non sono finite perché gli hanno applicato un residuo
d’isolamento diurno.
A che serve e a chi serve applicare ad un povero vecchio in fin di vita una misura così sadica e vessatoria?
Molti forse non sanno che l’isolamento diurno è una pena che
si dà normalmente quando si è condannati alla pena dell’ergastolo e che
ti costringe a non fare vita comune con i tuoi compagni.
Che altro aggiungere, se non che il carcere non dovrebbe
essere uno strumento di tortura, mortificazione, un luogo di violenza
istituzionale e una fabbrica di emarginazione.
E se siete dei credenti, aggiungo solamente che Gesù nelle sue predicazioni non chiedeva giustizia ma perdono.
Visto però i risultati, credo che Gesù abbia perso solo tempo a venire su questa terra.
Carmelo Musumeci.
Spoleto ottobre 2011
UN CASO CUCCHI FORTUNATAMENTE INCOMPIUTO
17/10/11
La
storia di Ismail Ltaief è un caso di inaudita violenza. Ismail, condannato a 5
anni di carcere da scontare presso la struttura di Velletri dove era addetto
alla cucina, si accorge che le derrate alimentari destinante alla popolazione
dell’istituto penitenziario vengono regolarmente trafugate da alcuni agenti
della polizia penitenziaria. Inizia così a scrivere un diario dove appunta gli
avvenimenti di cui è spettatore. La situazione precipita quando egli dichiara
la sua decisione di portare a conoscenza delle autorità di competenza ciò che
accade all’interno del carcere di Velletri.Da questo momento in poi Ismail
subisce minacce, ricatti, angherie e pestaggi. Gli agenti riescono ad
estorcergli una ritrattazione, ma dopo un po’ di tempo Ismail si appella al
Magistrato di Sorveglianza e chiede l’apertura di un’indagine poiché vede
minacciata la propria incolumità. Inaspettatamente il Magistrato visita in carcere il detenuto poco tempo dopo un
avvenuto pestaggio e lo stesso, riscontrate vistose lesioni sul corpo di
Ismail, ne dispone il trasferimento e chiede alla Procura della Repubblica
competente di avviare indagini sul caso. I fatti sono avvenuti
nell’anno 2010, le indagini hanno portato, all’inizio dell’anno corrente, all’adozione
dei primi provvedimenti cautelari a carico degli agenti della polizia
penitenziaria. Il 14 luglio 2011 si aperto il processo ed in aula erano
presenti solo tre dei cinque imputati, su di loro pende l’accusa di violenza
privata dalla qualità di pubblico ufficiale, lesioni aggravate ed intralcio
alla giustizia; il Procuratore Capo di Velletri, che ha rappresentato la
pubblica accusa, ha espresso parere contrario alla revoca della misura cautelare per un
ispettore capo, ricordando che lo stesso è accusato di aver picchiato anche un
altro detenuto. Il processo è stato rinviato al prossimo 10 novembre ed in
questa occasione saranno sentiti Ismail Ltaief e altri cinque testimoni
indicati dalla pubblica accusa.
Due detenuti suicidi in 24 ore, a Palermo e Messina
13/09/2011
Due detenuti si sono suicidati nelle ultime 24 ore, il primo
all'Ucciardone di Palermo e il secondo all'ospedale psichiatrico
giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, nel messinese. Lo rende noto
l'associazione Ristretti Orizzonti sottolineando che da inizio anno
salgono così a 47 i detenuti suicidi, mentre il numero complessivo dei
decessi in carcere arriva a 142.
A.P., 38 anni, originario di
Torino e detenuto all'Ucciardone per furto, si è impiccato ieri mattina
in cella. Ha aspettato che il suo compagno lasciasse la cella per andare
a colloquio con un parente. I poliziotti penitenziari lo hanno trovato
impiccato alla finestra con i pantaloni del suo pigiama. Per lui, ormai,
non c'era più nulla da fare. P. avrebbe finito di scontare la sua
condanna nel febbraio 2012. In passato era stato seguito dallo
psichiatra, ma nell'ultimo periodo il medico aveva dichiarato che il
paziente stava bene. La Procura ha disposto l'autopsia.
Il
secondo detenuto si è suicidato all'opg di Barcellona, nel messinese:
l'internato, 46enne, si è ucciso nella sua cella singola, infilando la
testa in un sacchetto di plastica e inalando il gas del fornellino
utilizzato per la cottura di piccole porzioni di cibi. Originario di
Cremona, M. S., semilibero e prossimo alla libertà, si è tolto la vita
nel corso della nottata di domenica, intorno a mezzanotte. Inutili si
sono rivelati i tentativi di rianimazione intrapresi da un agente della
polizia penitenziaria e subito dopo dal medico di turno. L'uomo era
prossimo alla liberazione prevista per il 2012 con la cessazione della
misura di sicurezza, imposta a suo tempo per la commissione di reati
lievi, maltrattamenti e resistenza, e per i quali era stato prosciolto a
causa del suo stato di malessere psicofisico. E la detenzione in
carcere era stata sostituita dalla misura di sicurezza "scontata" quasi
fino in fondo senza che fossero emersi problemi di particolare gravità.
Ciao Nicola
13/09/2011
Nicola Ranieri è morto.Troverete tantissimo materiale
su di lui sul Blog http://urladalsilenzio.wordpress.com/, alcune cose sono da rivedere, alcune
informazioni vanno corrette, ma la sostanza resta valida.Nicola Ranieri prima era
detenuto a Spoleto. Poi fu trasferito a Fossombrone. E da lì ad Opera
per curarlo da un cosiddetto tumore al polmone. Dico cosiddetto, perchè
poi non si è capito nulla. Se non che ad Opera l’hanno trattato come un
cane. Come neanche una bestia di un canile lager viene trattata. E’ la
parola di Nicola certo, non è ancora la prova provata.Ma oggi, dinazi al nostro amico
morto, scelgo di credere a lui. Anche perchè ho visto a confronto la
sincerità dei Dirigenti carcerari, dei loro funzionari proni, e dei
timidi e pudibondi educatori al seguiito. E ho visto la sincerità dei
detenuti. In etrambi i mondi ci sono i falsi e i veri, i buonni e i
cattivi, gli onesti e i disonesti, i sinceri e gli sparaballe. Ma la
percentuale di quest’utlima tra Direttori di carceri, vice direttori,
dirigenti sanitari (su questi stendo un velo pietoso) è nettamente
superiore.Nicola fu scarcerato da Opera
perchè, in pratica, il carcere lo riteneva spacciato. Nell’ospedale di
Bari, luogo di origine di Nicola, dove è ritornato presso la famiglia,
si sono messi le mani nei capelli. Letteralmente allucinati. Si sono
fatte diverse ipotesi.. come quella di una bronchite a lungo non
curata. Una cosa sembra probabilissima.. non è stato fatto quello che
doveva essere fatto.Nicola raccontava di intere
giornate costretto a restare nel “piano malati” del carcere di Opera,
così lo chiamo, quel settore in cui (lui diceva) venivano “collocati”
tutti gli affetti da gravi patologie. E anche il cucco sa che una
persona che sta già malissimo, se sta anche in carcere ed è anche
cicondata da patologici, la indebolisci radicalmente dal punto di vista
psicosomatico.Nicola parlava di angherie,
umiliazioni e violenze. Parlava di secchi d’acqua che gli venivano
lanciati addosso. Di letti perennemente umidi. E di risposte alle sue
lamentele e alle sue richieste.. risposte che erano di questo tenore (lo
rendo a senso.. non ricordo le parole esatte.. ) “Qui funziona così.. o
ti sta bene.. o ti fotti”.Nicola veniva portato in
ospedale quando era ad Opera. Ma con quale frequenza? E in che modo?
Pare anche che lo facessero camminare a lungo… quando invece non doveva
stancarsi. E’ così? Qualcuno risponderà o si trincereranno nel silenzio
ipocrita e attendista, che è lo stile di molte Direzioni di carceri in
Italia?I medici di Bari sembra abbiano
detto alla sorella che intervenendo in maniera adeguata a suo tempo,
mesi fa (che si trattasse di un tumore insieme a bronchite… o di altro..
adesso è un vero caos andare a districarsi nelle interpretazioni
patologiche.. ma ci ritorneremo con un minimo di valutazione equilibrata
successivamente), sarebbe stato, con tutta probabilità salvato.
Gli ultimi mesi di Nicola, a Bari, non sono stati facili.
Ha cercato di lottare. Ha fatto del suo meglio. A un certo punto ha cominciato a perdere lucidità.
Per lo meno sono stati giorni passati insieme ai familiari.
Ora Nicola è morto.
E noi non sappiamo ancora la verità.
Non ci sono certezze e prove assolute.. ora.
Non sappiamo se il carcere di Opera… ha contribuito ad ucciderlo.
Ma se fosse stato così, sconteranno le loro responsabilità.
Una vita passata nella miseria, una vida non dura violenta. Come un figlio di un Dio minore.
Adesso sei libero finalmente…
Ciao Nicola
anche a Cosenza i detenuti battono stoviglie
Cosenza, 1 giugno 2011 - I detenuti del carcere di Cosenza hanno inscenato una protesta nel pomeriggio battendo le stoviglie sulle sbarre delle celle di sicurezza e urlando slogan come "Libertà, libertà". Alla base delle proteste, che non hanno creato comunque problemi i ordine pubblico, ci sono le lamentele dei detenuti ristretti nel penitenziario n relazione ai mancati riscontri rispetto alle aspettative del decreto svuota carceri, approvato in via definitiva lo scorso autunno, che consente la detenzione domiciliare per chi deve scontare una pena inferiore ad un anno. Nei giorni scorsi manifestazioni di protesta analoghe si sono svolte in diversi istituti di pena del Paese. |
La storia di Michele Bruni richiama
l’attenzione sull’assistenza sanitaria penitenziaria che non garantisce
assolutamente le cure adeguate nonostante l’articolo 1 del Decreto Legislativo 230/99, sul riordino
della medicina penitenziaria stabilisce che: "I detenuti e gli internati
hanno diritto, al pari dei cittadini in stato di libertà, alla erogazione delle
prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, efficaci ed
appropriate, sulla base degli obiettivi generali e speciali di salute e dei
livelli essenziali e uniformi di assistenza individuati nel Piano sanitario nazionale,
nei piani sanitari regionali ed in quelli locali". Quanti
Michele si sarebbero potuti curare in tempo prima che le malattie
degenerassero? Solamente dall’inizio dell’anno ad oggi registriamo ben 81 morti
nelle carceri italiane, di cui 21 per suicidio, e ben 60 per malattie il più
delle volte curabili se prese per tempo e non sottoposte alla burocrazia
carceraria che uccide prima della malattia in se. L’età dei morti di carcere va
dai 19 ai 55-60 anni, in ogni caso l’età media è di 30-35 anni. La prevalenza dei quali per malattie curabili
o che comunque avrebbero potuto beneficiare del differimento della pena in casi
particolarmente gravi anche in caso di cosiddetta “pericolosità sociale”(artt.
146 e 147 del C.P.). Ma in Italia la
legge non è uguale per tutti. Per i detenuti “altisonanti” c’è sempre una
patologia più o meno grave per cui risultano incompatibili con il carcere
mentre i detenuti “comuni” ogni giorno rischiano la vita perché lamentare un
malessere il più delle volte viene
liquidato con un antidolorifico o con un antinfiammatorio invece che con le
dovute analisi. È il caso di Michele Bruni, oggi in fin di vita all’ospedale di
Livorno - città nella quale era detenuto in attesa di giudizio, è il caso di
Enzo Potente - morto due giorni fa nel carcere di Teramo per infarto a soli 32
anni, è il caso dei ben 60 uomini morti dall’inizio dell’anno per patologie
assolutamente curabili con la dovuta prevenzione. Purtroppo in Italia quasi nessuno
si indigna quando muore un detenuto a parte i familiari e i tanti compagni di
cella che, ogni giorno, devono pregare di stare in salute per non morire come bestie.
Associazione Yairaiha Onlus
Adesione Yairaiha Onlus al movimento Potere al Popolo
L’adesione e il sostegno dell’Associazione Yairaiha Onlus a Potere al Popolo! #bastaergastolo #basta41bis #amnistia
L’adesione e il sostegno dell’Associazione per i diritti dei detenuti Yairaiha Onlus, da oltre 10 anni impegnata nella lotta per l’abolizione dell’ergastolo, del 41 bis e per una amnistia generale, a Potere al Popolo è, per certi versi, scontato e rivendichiamo con forza l’aver elaborato e condiviso il punto 15 del programma sulla giustizia per far entrare nel dibattito politico l’abolizione di una pena e di un regime che violano la Costituzione e torturano l’uomo. Scontato perché la nostra è una associazione che parte dal basso, che si sporca quotidianamente le mani con le problematiche rappresentante da migliaia di detenuti e dai loro familiari, perché il dibattito attorno a questi temi, e più in generale al tema del carcere quale soluzione per i fenomeni criminali, è ammantato da una ipocrisia di fondo che nega in primis una analisi del contesto socio-economico in cui la criminalità organizzata ha trovato e trova terreno fertile. Povertà, disoccupazione ed esclusione sociale sono tra i principali fattori da cui traggono linfa vitale le organizzazioni. Il discorso pubblico è completamente schiacciato da un giustizialismo forcaiolo e dall’illusione di una riforma dell’ordinamento penitenziario che, ammesso che verrà approvata, avrà avuto più attenzione per il risparmio delle spese che per la dignità delle 58.000 persone recluse. Una riforma che nelle intenzioni avrebbe voluto sanare le violazioni e la disumanità delle carceri per cui l’Italia è stata più volte richiamata dagli organismi internazionali. Violazioni e Disumanità che raggiungono il proprio apice proprio nell’ergastolo ostativo e nel regime del 41 bis che vengono definiti a chiare lettere quali trattamenti contrari al senso di umanità, ergo TORTURA. Ma la tortura, in uno stato di diritto, non si può umanizzare. Uccidere un uomo giorno dopo giorno fino alla morte È TORTURA. Privare un uomo dei diritti più elementari È TORTURA! Questa non è lotta al Crimine ma lotta al Diritto ed alle garanzie costituzionali.
L'Associazione Yairaiha Onlus candida la Presidente
Sandra Berardi per le regioni Calabria e Puglia al senato, ma tutto il movimento va sostenuto a livello Nazionale. Insieme a lei tanti nostri compagni garantisti che si batteranno per l'abolizione dell'ergastolo e e contro la tortura del 41bis, a partire dall'onorevole
Eleonora Forenza, nostra compagna di lotte, e poi
Italo Di Sabato,
Peppe Marra,
Francesco Campolongo e tanti e tante altri.
Sosteniamo tutte e tutti!
https://poterealpopolo.org/potere-al-popolo/programma/
Lampedusa, esodo infinito di minori dall'Africa
Da gennaio ad oggi sono circa 1.500 i minori giuntia Lampedusa, di cui 544 nell’ultimo mese: il 10% sono bambini piccoli arrivatiinsieme a uno o entrambi i genitori, gli altri sono minori non accompagnati,ragazzi adolescenti arrivati dal Nord Africa, soprattutto da Tunisia e Libia,da cui sono fuggiti a causa della guerra, affrontando viaggi rischiosissimi –quale quello dall'esito drammatico avvenuto a largo della Tunisia tra martedì emercoledì - in cui hanno anche visto morire familiari o amici. Aricordare i dati è Save the Children, che opera a Lampedusa, Sicilia e Puglianell’ambito del progetto Praesidium, coordinato dal Ministero dell’Interno, dal2008. E proprio in relazione al suo impegno a favore dei minori migranti,l’organizzazione ha ricevuto una targa di merito dalla Fondazione O’Scià diClaudio Baglioni.
Save the Children sottolinea come sul totale dei minori non accompagnatiapprodati sull’isola, 425, in prevalenza sedicenni e originari del Mali (84),del Ghana (42) e della Costa d’Avorio (37), sono ancora in attesa diessere collocati nelle comunità alloggio per minori sul territorio nazionale”.
Continua l’associazione: “Nonostante la leggeitaliana garantisca ai minori stranieri non accompagnati il dirittoall’accoglienza presso questo tipo di strutture,la maggior parte si trova dapiù di 15 giorni in strutture diverse, inadeguate alla loro accoglienza per untempo così prolungato. In particolare, a Lampedusa sono 219 i minori nonaccompagnati presenti (in parte alla Base Loran e in parte al CPSA), 61 deiquali arrivati tra il 12 e il 14 maggio; la maggior parte (38) sono originaridel Mali; 102 hanno 16 anni, ma ci sono anche 10 ragazzi che hanno tra gli 11 ei 13 anni. Nei giorni scorsi alcuni minori hanno compiuto atti diautolesionismo per manifestare la loro insofferenza rispetto alla situazione incui si trovano”.
Save the Children sottolinea poi che presso latensostruttura di Porto Empedocle (AG) la situazione è ancora più allarmante:sono ancora in attesa di collocamento 109 minori non accompagnati trasferiti il13 maggio da Lampedusa, dove erano arrivati una settimana prima (tra il 5 e l’8maggio). La maggior parte ha 16 anni ed è originaria del Mali e del Ghana. Glialtri sono: 13 a Pozzallo (RG), 43 al CARA di Mineo (CT), 41 al CARA di Piandel Lago (CL).
“A questi occorre aggiungere quanti sono arrivatisulle coste siciliane e pugliesi negli ultimi giorni e che sono ancor in attesadi identificazione”. Pur riconoscendo gli sforzi posti in essere dalleistituzioni a vario titolo coinvolte nell’adozione della procedura per ilcollocamento dei minori stranieri non accompagnati, Save the Children rilevacon preoccupazione la mancata attuazione operativa della stessa.
Per questo motivo Save the Children raccomanda chesi provveda con urgenza a individuare una soluzione all’attuale gravesituazione, che pone in serio pericolo la sicurezza e la protezione dei minori.L’Organizzazione chiede, in particolare, che: si proceda in tempi rapidiall’individuazione sul territorio nazionale di “strutture ponte” in cui venganotemporaneamente trasferiti i minori in attesa di collocamento in comunitàalloggio; a livello centrale, siano reperiti e aggiornati i posti disponibiliin comunità alloggio per minori, ivi inclusi i minori richiedenti protezioneinternazionale, e che, sulla base di tale disponibilità, venga organizzatoil collocamento dei minori; a livello centrale, si provveda a dare chiareindicazioni alle frontiere rispetto alle necessità di trasferimento dei minorinon accompagnati.
Considerata la costante presenza dei minori nelflusso migratorio in arrivo dal Nord Africa, Save the Children sia valutatal’opportunità di “ampliare la disponibilità dei posti in accoglienza e dellerisorse stanziate, secondo la previsione dell’art. 5 OPCM 3933/2011, al fine diun’assistenza, accoglienza e protezione adeguata per i minori stranieri nonaccompagnati in arrivo via mare”.
E conriferimento ai drammatici e rischiosissimi viaggi via mare affrontati anche damolti minori, Save the Children rinnova l’appello ad “aprire urgentementecorridoi umanitari in Libia e a mettere al primo posto delle scelte dei governila tutela della popolazione civile, a partire dai bambini”.
Lettera dei familiari alla commissione per la riforma dell OP
All’attenzione della Commissione per la Riforma penitenziaria
E, per conoscenza,
all’attenzione del Ministro della Giustizia Andrea Orlando
all’attenzione del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, dottor Santi Consolo
all’attenzione del Direttore della Direzione Generale Detenuti e Trattamento del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, dottor Roberto Piscitello
Gentili membri della commissione,
abbiamo appreso che state lavorando per elaborare delle proposte di modifica dell’Ordinamento penitenziario, con cui dare corpo alla legge delega recentemente approvata. Sappiamo che dovrebbero esserci importanti novità, alcune in particolare, riguardanti gli affetti delle persone detenute.
Noi, che ci stiamo rivolgendo a voi dopo l’incontro “Includere gli Esclusi. Ergastolo, ostatività e riforma” che si è svolto il 29 settembre 2017 a Villa San Giovanni, siamo tutti familiari di detenuti, e vi chiediamo con forza che le proposte riguardanti gli affetti, e più in generale la qualità della vita detentiva, per una profonda umanizzazione della pena, che avete formulato o state formulando in questi giorni, riguardino non solo i detenuti comuni, ma anche i detenuti rinchiusi nei circuiti di Alta Sicurezza. Ve lo chiediamo perché siamo stanchi, come loro familiari, di essere considerati meno di tutti, stanchi di non essere mai ritenuti interlocutori importanti delle istituzioni, stanchi che si continui a pensare che i nostri cari non potranno mai cambiare e quindi non devono venire trattati da esseri umani, e di conseguenza noi con loro.
Gli affetti, le relazioni, l’attenzione per la famiglia sono aspetti della vita delle persone fondamentali per permettere ad ogni essere umano, anche in condizioni di privazione della libertà, di preservare la sua dignità e di diventare una persona più responsabile. Noi questo vi chiediamo, che l’Ordinamento penitenziario tratti noi familiari e i nostri cari detenuti TUTTI con la stessa umanità e che dia a TUTTI, nessuno escluso, le stesse possibilità di salvare i loro affetti: perché qualche telefonata in più, qualche ora di colloquio in condizioni più decenti, possono solo far diventare migliori le persone. Quelle persone che dovrebbero avere la speranza di dimostrare il cambiamento maturato in lunghe carcerazioni non solo all’amministrazione penitenziaria, ma anche e soprattutto alla società. Una opportunità, questa, che dovrebbe essere data a TUTTI, senza escludere i condannati all’ergastolo.
Tra noi il 29 settembre c’erano anche familiari di persone che sono state rinchiuse, o lo sono tuttora, in regime di 41bis, quello della cui esistenza tanta parte del mondo politico preferisce tacere.
Non possiamo oggi entrare nel merito di un regime che riteniamo privo di qualsiasi umanità, ma come famigliari chiediamo almeno un allargamento della possibilità di contatto tra noi e i nostri cari: un’ora di colloquio al mese dietro un vetro è semplicemente una condizione indegna di un paese civile.
Per ultimo, voi conoscete senz’altro le parole del Papa che ha definito l’ergastolo una pena di morte nascosta: vi preghiamo, per quel che potete, di fare in modo che una pena così mostruosa non esista più.
Seguono adesioni:
D'Agostino Vanessa, D'Agostino Tonio, D'Agostino Gianfranco, D'Agostino Denis, D'Agostino Luciano, D'Agostino Irene, D'Agostino Salvatore, familiari di D'Agostino Cosimo - detenuto nella Casa di reclusione di Sulmona
Dessì Antonio, Dessì Salvatore, Dessì Carmelo, Dessì Giovanni, familiari del detenuto Audino Giuseppe 41 bis
Varriale Lucia, Varriale Luigi, Cianciulli Maria, Conte Gennaro, Esposito Rosaria, Baldassarre Nicola, Pestorino Nicola, Varriale Vincenza, Velluso Massimiliano, Conte Immacolata, Varriale Maria, Scera Patrizia, Di Matteo Francesca, Di Maio Anna, Varriale Giuseppina, Conte Giuseppe, Esposito Flora, Ballerino Immacolata, Cianciulli Antonietta, Cianciulli Angela, Cianciulli Clara, Gennaro Ferrara, Di Sauro Gianluca, tedesco Immacolata, Di Matteo Salvatore, Romagnoli Vincenza, Conte Ernesto, Alfiero Annamaria, Pirozzi Anna, Esposito Marina, Baldassarre Veronica, Ciro Stasi, Varriale Giuseppe, Pecorella Salvatore, Pecorella Emanuela, Esposito Carmela, Antonio Mosca, Cicatiello Mario, Nappi Emanuele, Iasevoli Giuseppe, Giuseppe Titas, Maria di Febbraro, Antonio Titas, Varriale Ciro, Rosafio Salvatore, Romano Luigi, Carriello Emilia, Peluso Rosaria, Ciro Carriello, Abbinante Rosa, Leopoldo Anna, Minichiello Elsa, Corcione Immacolata - familiari e parenti di Baldassarre Salvatore - detenuto nella Casa di Reclusione Fossombrone
Bello Giuseppina, Bello Daniele, Bello Claudio, Bello Rossella, Cesarino Patrizia, Bello Vincenzo, Francioso Anna Gina, familiari di Bello Massimiliano - detenuto nella Casa Circondariale di Catanzaro
Bonaccorsi Salvatore - figlio di Bonaccorsi Ignazio – detenuto nella Casa Reclusione di Padova
Molinaro Saveria, Giuliano Vincenza, Calidonna Gaspare, Vetromilo Giuseppe, Vetromilo Pietro, Dattilo Carolina - familiari e amici di Calidonna Roberto detenuto a Spoleto
Monteforte Lucia, Sperti Simone, Sperti Marco, Sperti Sabrina, Sperti Massimo, Casalino Alba, Curcetti Dalila, familiari di Campana Francesco - detenuto nella Casa Circondariale di Voghera
Cappello Stefania, Milesi Patrizia, familiari di Salvatore Cappello - detenuto nella Casa Circondariale di Bancali - 41 bis
Di Nardo Luigi , Di Nardo Giovanni, Di Nardo Michele, Carannante Sonia, Carannante Valeria, Carannante Marco, Di Nardo Sonia, Natale Giuseppina, Carannante Nicolina, Palumbo Agostino, Panzariello Angelo, Rizzo Stefania, Mastroianni Luisa familiari di Carannante Francesco detenuto nel carcere di Rossano
Carnovale Katiuscia, Carnovale Daniela, Carnovale Luigina, Marafioti Bruno, Marafioti Nicola, Marafioti Giuseppe, Marafioti Daniele, Menniti Piero, Menniti Giuseppe, Menniti Vincenzo, Menniti Raffaele, Gallelli Marco, Piperissa Giuseppe, Vincenzo Vasile, Geracitano Nicoletta, Leuzzi Caterina, Giannini Antonio, Giannini Anthony, Giannini Francesco, Giannini Giovanni, Vincenzo Lazzaro, Giuseppina Lazzaro, Maria Tassone, Tassone Matilde, Comitogianni Salvatore, Comitogianni Giorgio, Comitogianni Giusy, Caristo Francesco, Giannini Antonio, Santoro Salvatore, Rudi Giuseppe, Leuzzi Maria, Rudi Stella, Leuzzi Antonio, Carnovale Rosa, Pilato Carmela, Leuzzi Francesca, Carnovale Giuseppe, Carnovale Domenico, Carnovale Marco, Carnovale Matteo, Rudi Vittoria, Repice Caterina, Leuzzi Sara, Massimo Giannini, Caterina Fiorenza, Leto Claudi, - parenti e familiari di Carnovale Antonio – detenuto nella Casa Circondariale di Livorno.
Romano Nicoletta, Esposito Giovanna, Caterino Fortuna, Caterino Lucia, Bencivenga Elena, Romano Gennaro, Romano Antonio, Della gatta Maria, Cavaricci Noemi, Falcone Consiglia, Guerra Guido, Licciardiello Anna, Picone Sofia, Perfetto Carmela, Esposito Loredana, Esposito Massimo, Esposito Maria, Bencivenga Bartolomeo, Bencivenga Franco, Cesaro Domenico, Romano Pietro, Bencivenga Sara, Belardo Anna, Bencivenga Nicola familiari di: Caterino Nicola detenuto a Spoleto, Caterino Amedeo detenuto a Benevento e Caterino Paolo detenuto a Secondigliano.
Nappo Adele– moglie di Cicero Domenico – detenuto nella Casa di Reclusione di Parma 41 bis
Condello Giuseppa, Tegano Margherita, Condello Vincenzo, Condello Maria, Condello Francesco, familiari di Condello Domenico - detenuto nella Casa Circondariale L ' Aquila–41 bis area riservata
Nocera Bruna, Nocera Raffaele, Cotroneo Giuseppa, Nocera Antonino, Araniti Pietro, Mangiola Chiara, Barillà Serafina, Condello Giuseppa, Condello Francesco, Giordano Antonietta - Parenti e familiari di Condello Pasquale - detenuto nella Casa Circondariale di Voghera
Morabito Maria – moglie di Condello Pasquale - detenuto nella Casa Circondariale di Novara 41 bis
Conte Salvatore, Scardino Cesaria, Conte Francesca, Conte Cosimo, Conte Giuliana, Conte Giuseppe, Conte Maria, Dito Maria Grazia, Vito Rafella, Rafella Salvatore, Rafella Alessandro, Greco Angelo, Cosimo Roi , Romano Marilù, Romano Salvatore, Romano Laura, Scardino Flora, Scardino Neve, Scardino Pina, Scardino Maria, Elia Massimiliano, Elia Mauro, Elia Valerio, Elia Francesco, Elia Matilde, Tondo Luigi, Tondo Mario, Tondo Gianni, familiari e parenti di Conte Claudio - detenuto nella Casa di Reclusione di Parma.
Corrado Francesco, familiare di Corrado Andrea - detenuto nella Casa di reclusione di Sulmona
Curcio Teresa, Schillaci Maurizio , Amenta Santa, Curcio Valentina, Curcio Giovanna, Urso Agostino - familiari di Curcio Vincenzo - detenuto nella Casa di Reclusione di Spoleto
Cerminara Assunta, Farao Vincenzo, Farao Francesco, Farao Elena, Farao Vittorio, Farao Silvio, Farao Angela, Chiarello Vincenzina, familiari di Farao Giuseppe - detenuto nella Casa di Reclusione di Opera - MI
Fazio Michela, Gallello Tiziana, familiari di Fazio Giuseppe Mario, detenuto nella Casa circondariale Asti.
Feliciello Raffaele, Feliciello Pietro, Feliciello Vittorio, Feliciello Maria Caterina, Feliciello Paola, FelicielloVincenzo, Feliciello Nicola, Feliciello Giovanni, Feliciello Francesco, Feliciello Giuseppe familiari di Feliciello Domenico detenuto nel Carcere di Milano Opera
Gancitano Giacomo, Gancitano Barbara, Gancitano Veronica, Gancitano Vincenza, Gancitano Cristina, familiari di Gancitano Andrea - detenuto nella Casa di reclusione di Parma
Garofalo Emanuela, Garofalo Biagio, Sarubbo Rosina, Garofalo Irene, Serio Francesco. Familiari di Garofalo Giuseppe - detenuto nella Casa Circondariale di Voghera
Oronzina Tafuro, familiare di Cosimo Grassi detenuto nella Casa Circondariale di Voghera
Greco Silvana, Berardi Sandra, Greco Antonio, Castrogiovanni Alessandro, Castrogiovanni Silvana, Greco Salvatrice, Greco Maria P., Greco Franco, Greco Giuseppe, Greco Patrizia, Rugani Alda, Aloschi Nino, Castrogiovanni Maikol, Greco Carmelina, Ellul Giuseppe, Romano Franco, Romano Massimo, Romano Eugenia, Lauretta Melania, Greco Cinzia, Rizza Iole, Rizza Cinzia, Greco Giusi, Greco Francesco, Rizza Francesco, Rizza Carmelo - Parenti e familiari di Greco Alessandro, detenuto nella Casa Circondariale di Voghera
Condello Giuseppina, Imerti Maria, Imerti Francesca, Condello Loredana, Francesco Aurora, Schirripa Francesca familiari di Imerti Antonino – detenuto nella Casa Circondariale de L'Aquila
Di Fusco Maria, De Liso Michela, Riva Cira, De Liso Marica– familiari di De Liso Guido - detenuto nella Casa di Reclusione di Oristano
Marincola Enza, Marincola Francesco, Sestito Felicia, Marincola Serafino, MarincolaAldo, MarincolaPino, MarincolaAntonio, Marincola Ottavio, Marincola Giuseppina, Marincola Annarita, Marincola Franceschina, Leone Vincenzina, MaioranoVincenzo, MaioranoFrancesca, Nostrini Gessica, Nostrini Roberto, Nostrini Gianluca, familiari di Marincola Cataldo - detenuto nella Casa di reclusione di Sulmona
Buommino Annarita, Buommino Antonio, Ruggiero Concetta, Niro Anna, Niro Gianluca, Buommino Eduardo, Buommino Giovanni, Montanera Antonio, Montanera Saverio, Montanera Assunta, Montanera Angela, Vaio Salvatore, Trematerra Caterina, Trematerra Gaetano, Migliore Francesca, Migliore Salvatore, Silvestri Luigi, Silvestri Elena, Capasso Patrizia, Capasso Annunziata, Capasso Annamaria, Capasso Concetta, Borriello Flora, Mincione Giovanna, Mincione Anna, Mincione Ciro, Mincione Domenico, Mincione Nicola, Spera Nicola, Spera Alessandro, Esposito Concetta, Esposito Rita, Esposito Luisa, Esposito Raffaele, Esposito Gennaro, Esposito Marco, Spera Pasquale, Liccardi Maria, Lubrano Luisa, Lubrano Lucia, Lubrano Concetta, Lubrano Domenico, Giangrande Alessandro, Giangrande Gennaro, Granato Angela, Adamo Antonio, Adamo Salvatore, Barone Annamaria, Barone Angela, Moggio Ruggiero, Buonanno Maria, Rispoli Vincenzo - familiari di Montanera Giuseppe – detenuto nella Casa Circondariale Lorusso e Cutugno di Torino
Randazzo Angelo, Randazzo Clelia, Randazzo Giuseppe, Randazzo Angelo, Randazzo Luisa, Randazzo Gaetano, Mignemi Camillo, Giunga Rita, Geracciolo Francesca, Cantarella Giuseppe, Cantarella Salvo, Cantarella Nunzia, Cantarella Amilcare, Nardo Giuseppe, Nardo Francesco, Nardo Salvo, Nardo Luciano, Nardo Filadelfo, Nardo Eustachia, Nardo Giovanna, Nardo Antonella, Nardo Rita, Nardo Carmela, Nardo Barbara, Nardo Alfina, Nania Agata, Almirante Alfio, Almirante Salvatore, Guercio Marco, Guercio Federico - familiari di Nardo Sebastiano, detenuto nella Casa circondariale di Bancali - Sassari 41 bis
Riserbato Roberto, Riserbato Patrizia, Riserbato Gaspare, Riserbato Antonino, Rallo Giovanna, Alcamo Salvatore, Alcamo Andrea, Alcamo Francesco, Alcamo Nicola, familiari di Riserbato Davide - detenuto nella Casa Circondariale di Voghera
De Falco Annamaria – familiare di Catello Romano - detenuto nella Casa Circondariale di Voghera
Ridente Maria, familiare di Ridente Massimo detenuto nel carcere di Voghera.
Romeo Francesca, Denisi Alessandro, Denisi Patrizia, Romeo Rossella, Spadaro Maria, Denisi Vanessa, Denisi Federica, Spadaro Domenico, Giuffrè Antonella, Spadaro Katia, Spadaro Carmelo, Scalise Silvia, Romeo Raffaele, Scali Annunziata, Romeo Giada, Romeo Azzurra, D'Agostino Giuseppa, Furfaro Rosa, Scali Carmelo, Albanese Patrizia, Scali Martina, Scali Vincenzo, Scali Salvatore, Scali Tania, Albanese Graziano, Scali Basiliana, Romeo Riccardo, Scali Rita, Abbate Carmelo, Abbate Giuseppe, Abbate Salvatore, Scali Giuliana, Cara Giusy, Sapone Francesca, Foti Antonia, Foti Francesca, Casile Giuseppa, Alati Valentina, Chillemi Gianluca, Cortale Raffaella, Cortale Francesco, Trimarchi Rossella, Custureri Raffaella, Tamiro Michela, Mazzitelli Filomena, Tamiro Domenico, Tamiro Antonio - parenti e familiari di Romeo Tommaso - detenuto nella Casa di Reclusione Due Palazzi di Padova
Mancuso Donatello, Carbone Lucia, Le Rose Giuseppe, Le Rose Salvatore, Le Rose Franca, Le Rose Michelina,
Le Rose Maria, Le Rose Antonella, Le Rose Francesca, Le Rose Teresa, familiari di Le Rose Donatello – detenuto nella Casa Circondariale di Voghera
Rosmini Suor Consuelo, Rosmini Pino, Rosmini Melina – familiari di Rosmini Demetrio - detenuto nella Casa di Reclusione “Due Palazzi” di Padova
Cosimo Rucci, Vincent Rucci, familiari di Vincenzo Rucci detenuto nel carcere di Spoleto
Sambasile Rita, Sambasile Paola, Sambasile Alfia, Sambasile Eleonora, Sambasile Sebastiano, Sambasile Giuseppe, Sambasile Ivan, Sambasile Cristian, Sambasile Daniele, Sambasile Salvatore, Sambasile Giovanna, Sambasile Leandra, Sambasile Carmela, Sambasile Rachele, Sambasile Martina, Pisasale Giovanna, Pisasale Giuseppe, Pisasale Antonio, Pisasale Katia, Lo Tauro Giovanni, Lo Tauro Lucia, Lo Tauro Salvatore, Calabrò Domenico, Calabrò Alfio, Calabrò Kevin, Calabrò AnnaMaria, Disca Giuseppe, Disca Salvatore, Disca Antonella, Sanzaro Lidia familiari di Alfio Sambasile detenuto nel Carcere di Siano Cz
Lupo Carmela, Lupo Biagio, Galati Concetta, Sciacca Ivan, Sciacca Antonino, Sciacca Signorino, Barbagiovanni Giacomina, familiari di Sciacca Vincenzo - AS3 - detenuto presso Casa Reclusione di Oristano
Sciara Pasquale, Sciara Giuseppe, Indelicato Gerlanda, familiari di Sciara Filippo – detenuto nella Casa Circondariale di Voghera
Annarita Platania, Fabrizio Sciuto, Valentina Sciuto, Agata Platania, Fortunella Platania, Carmelo Consolo, Pinella Platania, Francesco Scuderi, Domenico Platania, Angelo Platania, D'Arrigo Agata, Viglianesi Graziella, Serena Scuderi
Milena Scuderi, familiari di Maurizio Sciuto detenuto nel carcere di Spoleto
Sposato Gianni, Sposato Angela, Sposato Giovanni, Sposato Domenico – familiari di Sposato Domenico - detenuto nella Casa Circondariale di Catanzaro
Arcoleo Giovanna, convivente di Stuppia Antonino – detenuto nella Casa di reclusione di Parma
De Pasquale Alfio, Floramo Silvana, Torre Giusy, Torre Paolo, Torre Carmelo, Floramo Pina, Floramo Lina, Floramo Provvidenza, Mandanici Santina, Mandanici Giuseppe, Mandanici Carmelo, Mandanici Filippo, Crinò Carmelo, Crinò Sebastiano, Naso Debora, Naso Gino, Naso Erika, Saraò Viviana, De Pasquale Alfredo, Floramo Laura, Chiofalo Anna, Trovato Giovanna, Chiofalo Giuseppe, Arcoraci Letizia - parenti e familiari di Torre Salvatore - detenuto nella Casa di Reclusione di Saluzzo
Antonia Tripodi, sorella di Tripodi Carmelo - detenuto nella Casa di Reclusione di Rebibbia
Veronica Pasta, Familiare di Tutti Sebastiano detenuto nel carcere di Parma
Lo Scalzo Maria, Lo Scalzo Rosa, Valenti Irene, Valenti Carmela, Pensato Ignazio, Pensato Deborah, Pensato Nadia, Iannuzzo Albert, familiari di Valenti Francesco Fabio detenuto nel carcere di Siano Catanzaro
Veneruso Michele, Veneruso Carmela, Incarnato Anna, Pierro Salvatore, Veneruso Immacolata, Veneruso Melania, Veneruso Michele, Mario Veneruso, Pecoraro Francesca, Sarnataro Giuseppina, Veneruso Giuseppe, Veneruso Maria Carmina, Veneruso Michele, Sarnataro Carmine, Ferraro Anna, Pierro Carmine, Salzano Elvira, Veneruso Maria Carmina, Veneruso Giovanni, D'Agostino Candida , D'Ambrosio Antonio, Aprano Francesco, Veneruso Salvatore, Falzarano Maria Carmina, Petrillo Luisa, Veneruso Alfredo, familiari di Veneruso Gennaro - detenuto nella Casa Circondariale di Voghera
Verde Raffaele,Verde Salvatore,Verde Filomena,Verde Antimo,Verde Mario, Verde Carolina, Verde Concetta, Verde Rosa, Verde Vincenzo, Verde Rosaria, Verde Luigi, Verde Felicia, Verde Anna, Verde Debora, Verde Anna, Verde Ilenia, Verde Rosa, Amore Annamaria, familiari di Verde Antonio - detenuto nella Casa di Reclusione di Asti e Verde Antonio detenuto nel carcere di Milano
Moscato TERESA, Zagari Rosita, Zagari Italia, Zagari Concetta, Zagari Maria, ZagariPasquale, Zagari Carmelo, Viola Natascia, Viola Rocco, Fontana Katia, Fontana Daniele, Coluccio Francesco, Fontana Vincenzo, Fava Silvia, Canfora Felice, Canfora Domenico, Canfora Donatella, Canfora Antonella, Gallo Enzo, Arena Giuseppe, Longo M.Antonietta, Fazzalari Salvatore, Fazzalari Annunziata, Fazzalari Concetta, Fazzalari Domenico, Fazzalari Salvatore, Fazzalari Annunziata, Sposato Federica, Sposato Giovanni, Sposato Antonio, Fururi Giovanni, Moscato Giovanni, Zerbi Simona, Abramo Antonia, Vicari Patrizia, Abramo Domenico, Andreacchio Concetta, Vicari Pasquale, Vicari Teresa, Ferraro Annunziata, Lazzaro Rocco, Fontana Giuseppe, familiari di: Zagari Giuseppe detenuto nel Carcere di Sulmona (AQ), Fazzalari Ernesto detenuto nel Carcere di Opera(Mi), Viola Marcello detenuto nel Carcere di Sulmona (AQ).
Palazzo Mattea Cinzia,cugina del detenuto Bonaccorsi Ignazio, detenuto nella Casa di reclusione di Padova, cugina di Lo Giudice Sebastiano rinchiuso nella Casa di reclusione di Spoleto, cugina di Acquavite Vito che si trova nellaCasa di reclusione di Sulmona.
Alla giornata del 29 settembre 2017 a Villa San Giovanni, organizzata dall’associazione Yairaiha Onlus, sono intervenuti: Ornella Favero e Bruno Monzoni- Ristretti Orizzonti, Sandra Berardi, Yvonne Graf, Italia Zagari, Giusy Torre e Bruna Nocera- Associazione Yairaiha O.N.L.U.S., Franca Gareffa, docente di Sociologia della devianza – Università della Calabria, Mimmo Petullà– sociologo, Antonello Nicosia-Docente Esperto di Tecnologie di Trattamento Pedagogico Penitenziario, Giuseppe Lanzino avvocato, Antonio Perillo, collaboratore dell’on. Eleonora Forenza - Alberto Mammolenti - Conferenza Volontariato Giustizia della Calabria, Nania Agata, Nardo Alfina, Nardo Rita, Romeo Francesca, Maria Di Fusco, Carmen Veneruso, Annarita Buommino, Adele Nappo, Lucia Varriale, Morabito Maria, Condello Giuseppa. In collegamento telefonico hanno partecipato: Pasquale Zagari e Carmelo Musumeci.
LA RIFORMA FORNERO AZZERA LE PENSIONI E LA DISOCCUPAZIONE AI DETENUTI!
Negli
ultimi anni si è parlato molto di riforma Fornero emanata sotto il
governo Monti nel 2011 con il decreto “salva Italia” e
finalizzata a diminuire la spesa pubblica in materia di pensioni per
evitare il default finanziario dell’Italia chiesto dall’Europa.
La riforma, in un crescendo dilatato nell’arco di tempo 2011/2018,
va a toccare la maggior parte delle categorie beneficiarie delle
diverse tipologie di ammortizzatori sociali. Ai disoccupati,
pensionati e invalidi civili, ai sensi dell’art. 2 commi 58, 59,
60, 61, 62 e 63 della riforma, dallo scorso mese di maggio, si sono
aggiunti anche i detenuti o comunque condannati ai sensi degli
articoli 270-bis, 280, 289-bis, 416-bis, 416-ter e 422 del codice
penale. Come segnalatoci nelle ultime due settimane da decine di
detenuti, su di loro, tra cui tanti invalidi civili, non è stata
operata solo una semplice decurtazione ma, bensì, la totale revoca
del trattamento previdenziale precedentemente riconosciuto e
percepito nonostante la legge all’art. 2 comma 61 esplicita la
irretroattività dell’applicazione. Inoltre, sempre l’art. 2 al
comma 58 prevede che, in fase processuale per i reati ai sensi degli
articoli sopra richiamati, <<il
giudice disponga ulteriori accertamenti per verificare che le forme
di assistenza previdenziale percepite e/o riconosciute abbiano
origine, in tutto o in parte, da lavoro fittizio o a copertura di
attività illecite>>.
Per
quanto attiene la prevalenza degli indennizzi di disoccupazione
riconosciuti ai detenuti queste sono frutto delle prestazioni di
lavoro svolte per conto del Ministero di Giustizia con il lavoro
intramurario (sottopagato) che, a rotazione, i detenuti svolgono
all’interno andando a garantire, spesso, le necessarie piante
organiche al funzionamento delle carceri stesse. Le pensioni sociali
vengono riconosciute per sopraggiunta età e quelle di invalidità
alle migliaia di detenuti che soffrono delle più disparate patologie
e disabilità. E stiamo parlando di pensioni minime (non d’oro) e
di indennizzi che stanno al di sotto dei minimi previsti visto e
considerato che la stessa attività lavorativa dei detenuti è
retribuita molto al di sotto dello spettante, come testimoniano le
numerose sentenze di risarcimento che ogni anno il Ministero di
Giustizia va a pagare a coloro i quali riescono a presentare ricorso.
A questo punto ci chiediamo dove sono le “origini fittizie
accertate” richiamate dall’art. 2 comma 58? Dove la non
retroattività della legge visto che si sta applicando anche a
condannati molto tempo prima della sua entrata in vigore e a persone
che hanno già interemante scontato i propri reati? L’art.
38 della Costituzione prevede
che
<<Ogni
cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per
vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale.
I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi
adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia,
invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed
i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento
professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono
organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L’assistenza
privata è libera.>>
Ma è ancora valido? E ancora, cosa succederà per i condannati a
pene lunghe o con l’ergastolo e gli ostativi? La risposta,
purtroppo, è scontata e per gli effetti di questa riforma non
avranno mai accesso a nessun ammortizzatore sociale sia che si tratti
di detenuti lavoratori sia che si tratti di anziani o invalidi.
Infine
l’Inps non avrebbe dovuto comunicare agli interessati
dell’imminente revoca? Sono molteplici le richieste di rinvio alla
Corte Costituzionale della Legge Fornero e, forse, le forze politiche
e sindacali non avevano ancora valutato questo aspetto che, a nostro
avviso, è non solo incostituzionale ma, così applicata, oltremodo
illegittima, è una vera e propria vessazione verso gli ultimi degli
ultimi. Una sanzione accessoria che mette la corda al collo
definitiva alle migliaia di detenuti o in misura domiciliare che
versano in condizioni economiche disagiate, migliaia di persone che
spesso, quando va bene, fanno 1 o 2 colloqui all’anno perché i
familiari non possono nemmeno permettersi di affrontare i “viaggi
della speranza” dal sud verso le carceri del nord dove sono
ristretti i propri cari. Ma qua si vuole cancellare definitivamente
ogni diritto costituzionale e sociale che uno stato di diritto
dovrebbe garantire indistintamente a ognuno e ciascuno. E a farne le
spese sono sempre i soggetti più deboli.
Art.
2 legge 92/2012
58. Con
la sentenza di condanna per i reati di cui agli articoli 270-bis,
280, 289-bis, 416-bis, 416-ter e 422 del codice penale, nonché per i
delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto
articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle
associazioni previste dallo stesso articolo, il giudice dispone la
sanzione accessoria della revoca delle seguenti prestazioni, comunque
denominate in base alla legislazione vigente, di cui il condannato
sia eventualmente titolare: indennità di disoccupazione, assegno
sociale, pensione sociale e pensione per gli invalidi civili. Con la
medesima sentenza il giudice dispone anche la revoca dei trattamenti
previdenziali a carico degli enti gestori di forme obbligatorie di
previdenza e assistenza, ovvero di forme sostitutive, esclusive ed
esonerative delle stesse, erogati al condannato, nel caso in cui
accerti, o sia stato già accertato con sentenza in altro
procedimento giurisdizionale, che questi abbiano origine, in tutto o
in parte, da un rapporto di lavoro fittizio a copertura di attività
illecite connesse a taluno dei reati di cui al primo periodo.
59.
I condannati ai quali sia stata applicata la sanzione accessoria di
cui al comma 58, primo periodo, possono beneficiare, una volta che la
pena sia stata completamente eseguita e previa presentazione di
apposita domanda, delle prestazioni previste dalla normativa vigente
in materia, nel caso in cui ne ricorrano i presupposti.
60.
I provvedimenti adottati ai sensi del comma 58 sono comunicati, entro
quindici giorni dalla data di adozione dei medesimi, all'ente
titolare dei rapporti previdenziali e assistenziali facenti capo al
soggetto condannato, ai fini della loro immediata esecuzione.
61.
Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge,
il Ministro della giustizia, d'intesa con il Ministro del lavoro e
delle politiche sociali, trasmette agli enti titolari dei relativi
rapporti l'elenco dei soggetti già condannati con sentenza passata
in giudicato per i reati di cui al comma 58, ai fini della revoca,
con effetto non retroattivo, delle prestazioni di cui al medesimo
comma 58, primo periodo.
62.
Quando esercita l'azione penale, il pubblico ministero, qualora nel
corso delle indagini abbia acquisito elementi utili per ritenere
irregolarmente percepita una prestazione di natura assistenziale o
previdenziale, informa l'amministrazione competente per i conseguenti
accertamenti e provvedimenti.
63.
Le risorse derivanti dai provvedimenti di revoca di cui ai commi da
58 a 62 sono versate annualmente dagli enti interessati all'entrata
del bilancio dello Stato per essere riassegnate ai capitoli di spesa
corrispondenti al Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime
dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell'usura, di
cui all'articolo 2, comma 6-sexies, del decreto-legge 29 dicembre
2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio
2011, n. 10, e agli interventi in favore delle vittime del terrorismo
e della criminalità organizzata, di cui alla legge 3 agosto 2004, n.
206. Associazione Yairaiha Onlus
SULL'ECCESSO DI POTERE DISCREZIONALE DI MAGISTRATI DI SORVEGLIANZA E DIRETTORI CARCERARI
Fin
dalla sua nascita, nel 2006, l’associazione Yairaiha onlus ha affrontato il
tema dell’ergastolo e le problematiche connesse ai circuiti ex EIV, oggi strumentalmente
denominati AS ma, sostanzialmente, sempre luoghi di sospensione dei diritti costituzionali,
dove i diritti variano a seconda del luogo di detenzione, della maggiore o
minore umanità delle direzioni e della magistratura di sorveglianza, del loro
essere o meno garantisti e dalla loro capacità di contenere entro i limiti di
legge il potere discrezionale che esercitano.
La
discrezionalità dei singoli direttori e magistrati fa sì che non tutti i
detenuti siano eguali.
C’è chi può mangiare il pesce e chi solo pomodori pelati; chi può avere un P.C.
in cella e chi nemmeno è autorizzato all’acquisto; chi può fare telefonate
settimanali e chi bisettimanali; chi può fare 6 ore di colloquio e chi quattro,
chi potrà beneficiare del permesso di necessità e chi, a parità di condizioni,
no, chi potrà prendere la borsa di studio e chi no, chi potrà avere un semplice
cappello o meno e così via fino ad arrivare alla negazione di un abbraccio con
la propria moglie altrimenti si rischia un rapporto disciplinare.
Quella
che portiamo è la sintesi delle numerose testimonianze e denuncie raccolte in
questi anni. Centinaia di uomini ombra che abbiamo incontrato oltre dieci anni
fa in regime di Elevato Indice di Vigilanza, in attesa delle relazioni di
sintesi per poter richiedere la declassificazione ed ancora oggi, a distanza di
oltre dieci anni, attendono la chimera dell’”osservazione scientifica” senza
aver ben compreso ancora chi la farà ne su quali basi, vista la scarsissima
presenza di educatori e di magistrati di sorveglianza all’interno delle sezioni
Alta sicurezza e le ancor più scarse opportunità di confronto con la società. In
realtà le Autorità che dovrebbero garantire i diritti non riescono a capire le
disparità di trattamento tra detenuti che, a parità di condizioni detentive, hanno
la fortuna o sfortuna di dipendere da una direzione penitenziaria o da un
magistrato di sorveglianza piuttosto che da un altro.
Non
può capire Salvatore Benigno, detenuto nel carcere di Parma che, attraverso lo
studio, sta cercando di crescere interiormente e culturalmente per dimostrare
innanzitutto a se stesso che è un uomo diverso, perché si è visto negare dal
direttore del carcere un premio di studio proposto dall’università della stessa
città che frequenta con profitto e dedizione, nonostante la relazione della
guardia di finanza che attestava la condizione di estrema indigenza dei
familiari. In questo caso, il parere sfavorevole del direttore si è basato non
sul condotta del detenuto, ne sul diritto/dovere a favorire le attività
culturali, sociali, lavorative bensì sul titolo del reato del detenuto come a volerlo
etichettare “cattivo per sempre”, incapace di raggiungere lo scopo della pena
dettata dall’art. 27 della costituzione;
e
ancora, non può capire Massimo Ridente, detenuto a Voghera, declassificato
tecnicamente da due anni ma ancora in AS1 ed ostativo a qualsiasi beneficio;
non
può capire Ciro Sorrentino, detenuto a Catanzaro perché, a parità di condizioni
detentive, titolo del reato e condanna, a suo fratello, detenuto a Voghera
venne riconosciuto il permesso di necessità per poter dare l’ultimo saluto al
padre morente mentre a lui, per la stessa circostanza, la magistratura di
sorveglianza di Catanzaro lo nega;
come
non può capire Vincenzo Rucci, oggi detenuto a Spoleto ma precedentemente a
Catanzaro e ancor prima a Rossano, che ha portato avanti un lungo sciopero
della fame per protestare contro la discrezionalità della magistratura di
sorveglianza che pretendeva la sua collaborazione ai sensi del 58 ter
nonostante fosse stata presentata l’istanza per l’inesigibilità;
e
ancora Claudio Conte, oltre 30 anni di carcere, ogni collegamento con
l’organizzazione di appartenenza rescisso di più, la stessa organizzazione,
stando alla relazione della DNA non esiste più, lo scorso aprile si è visto
rigettare la richiesta per poter discutere la sua tesi di laurea all’università
di Catanzaro che, paradossalmente, ha come titolo “profili di
incostituzionalità dell’ergastolo ai sensi dell’art. 4 bis O.P.” (se ne
raccomanda la lettura);
e
F. S., che da vent’anni sconta un doppio ergastolo, il suo e la condanna
della moglie, affetta da tumore, e per la quale gli vengono concesse solo 4 ore
di permesso all’anno per visitarla;
oppure
ancora Alessandro Greco il quale si è visto rigettare la richiesta di
sospensione della pena dal Magistrato di Sorveglianza di Catanzaro, richiesta
motivata da grave patologia cardiaca, perché non collabora e risulta ancora
collegato al clan di appartenenza nonostante l’organizzazione sia stata
decimata più di 20 anni fa e l’art. 7 gli sia stato revocato con la sentenza
definitiva.
Tantissimi
sarebbero ancora gli esempi empirici che attestano l’eccesso di potere
discrezionale esercitato dai magistrati di sorveglianza e dai direttori
penitenziari che, troppo spesso, basano le proprie decisioni sul titolo del
reato senza guardare all’uomo e ai
cambiamenti morali ed etici maturati in tanti anni di carcere. Penso che
sia superfluo viste e considerate le recenti circolari emanate dal DAP a tutela
del diritto di cambiamento che ogni uomo conserva costituzionalmente. In
particolare mi riferisco alla circolare con cui si sollecitano le direzioni a
voler elaborare semestralmente le relazioni di sintesi e quella in cui si
invitano gli organi di PG a voler attualizzare le relazioni sui collegamenti
dei detenuti con le organizzazioni criminali perché troppo spesso stereotipati
ed retrodatati. Prigionieri del passato per sempre. Quanto al MdS da mandato
dovrebbe visitare spesso gli istituti penitenziari per verificare la corretta
modalità di esecuzione penale mentre, invece, come risulta dai rapporti annuali
di Antigone e dalle visite ispettive effettuate da diversi parlamentari, in
pochissimi istituti la magistratura di sorveglianza ha una presenza costante,
nella prevalenza ha una presenza saltuaria e comunque sommaria.
Altrimenti
non ci troveremmo di fronte a casi eclatanti come quello di Voghera, denunciato
nelle scorse settimane, dove un uomo con gravi problemi psichici, dopo lunghi
anni in regime di 41 bis, è stato tenuto per circa 6 anni in isolamento totale
privo di qualsiasi garanzia e diritto, peggio delle bestie. Solo l’intervento
del Garante ha fatto si che la direzione adottasse in fretta e furia un
“maldestro” rimedio trasferendolo (guarda caso il giorno prima della visita a
sorpresa del dott. Palma) presso il centro clinico di Torino.
Sentiamo
sempre dire che la società civile chiede la certezza della pena, ma nessuno si
pone il problema di una totale incertezza dell’esecuzione della pena, della
totale impossibilità di rendere effettiva la funzione rieducativa della pena.
In realtà la mancanza di una misura unica di giustizia e la costante disparità
di trattamento risultano essere le vere sbarre e i veri muri della
carcerazione. In questo contesto l’Osservatorio carceri si è dimostrato e può
concretamente essere una soluzione formidabile capace di evidenziare i punti
deboli di un sistema penitenziario ancora
troppo ancorato ad obiettivi di difesa sociale piuttosto che al recupero del
condannato. Mi chiedo e vi chiedo se non sia arrivato il momento di uniformare
i trattamenti in tutti gli istituti, non consentendo all’amministrazioni
territoriali un’eccessiva discrezionalità, che limita i percorsi trattamentali,
non consentendo un effettivo recupero e reinserimento, capace di essere il
primo strumento di difesa sociale dal crimine.
Associazione Yairaiha Onlus Padova,
20 gennaio 2017
DAL 41BIS ALL ISOLAMENTO TOTALE PER ALTRI SEI ANNI. DEGRADO E TORTURA NEL CARCERE DI VOGHERA PER UN DETENUTO CON GRAVI PROBLEMI PSICHICI
L’ultimo Rapporto del garante nazionale denuncia una storia
di tortura, segnalata dalla nostra Associazione all’ufficio del Garante,
perpetrata per anni sulla pelle di C.T., detenuto siciliano di 56 anni che fino
al 15 ottobre si trovava nel carcere di Voghera, in uno dei braccetti
“speciali”, quelli dell’isolamento totale. E proveniva da un altro isolamento
totale, quello del 41bis dove, probabilmente, avrà cominciato ad avere i primi sintomi
di instabilità psichica. Poi altri 5 lunghissimi anni, dal 2011 al 2016, in cui
ha vissuto in isolamento totale, affetto da gravissime patologie psichiche, in
condizioni di assoluto degrado, senza assistenza sanitaria adeguata e senza
incontrare anima viva al di fuori degli agenti e (forse) qualche medico, ma ne
dubitiamo.
La descrizione data di quest’uomo, e delle condizioni in cui
era tenuto, lasciavano immaginare un uomo delle caverne: nudo, barba
lunghissima, sporco, con gravi problemi psichici e privo di contatti umani.
Chi ci avvisò ci mise anche in guardia: >. Con la massima
discrezione abbiamo contattato il garante ed anche un parlamentare perché
questa storia doveva essere verificata e denunciata. Purtroppo il parlamentare
volle far fare “opportune verifiche” trattandosi di una persona incriminata per
mafia, come se ci fosse una legge che legittimi la tortura a seconda del titolo
del reato, appellandosi alla “legalità”!
Il parlamentare non intervenne in compenso, probabilmente facendo
qualche ricerca, mise la pulce nell’orecchio all’amministrazione penitenziaria permettendogli
di “correre ai ripari” onde evitare che le condizioni di C.T. venissero
riscontrate oggettivamente da qualche altro parlamentare o dal garante stesso.
Il garante invece, per come si evince anche dalla relazione, è arrivato “tardi”,
C.T. era stato trasferito, guarda caso il giorno prima, per “osservazione
psichiatrica, fino a miglioramento del quadro clinico”presso il Lorusso-Cutugno
di Torino.
Detenuto C.T. trasferito e cartella clinica penitenziaria
magicamente cancellata dal personale di Voghera il giorno stesso del
trasferimento, quasi a voler cancellare ogni traccia della sua permanenza. Inoltre,
l’autorità del garante è stata completamente ignorata, quasi Voghera avesse un
regolamento e delle norme a se rispetto al resto del territorio italiano. Ma non
ci meravigliamo, nei mesi scorsi abbiamo supportato i detenuti che hanno
denunciato le violazioni delle norme costituzionali e dei diritti minimi dei
detenuti , confermate dalla Garante Provinciale, appellandosi alle massime
cariche dello Stato affinchè cessasse questo stato di cose. Ora una ulteriore
conferma. Noi ci chiediamo il perché. Non è normale che l’ amministrazione
penitenziaria violi persino i suoi stessi regolamenti, l’isolamento per motivi
disciplinari infatti è ammesso per non più di sei mesi, rinnovabile ma non
all’infinito. E allora ci chiediamo quali sono le motivazioni reali che
spingono lo Stato a rischiare così tanto? Quali gli interessi? A chi o cosa
questa persona può fare male? Forse che
una simile situazione confermerebbe che il regime di 41bis e di isolamento è
tortura che può portare anche alla pazzia? Quello che si è operato a Voghera è
stato un maldestro tentativo di cancellare il “corpo del reato” perché tenere
un uomo in queste condizioni è tortura e, probabilmente, non è l’unico caso in
Italia. Ma in Italia se chiedi l’elemosina sei perseguibile penalmente, se
invece torturi un uomo, chiunque esso sia, ti promuovono perché questo reato
semplicemente non esiste, però si pratica e si pratica nelle strutture “legali”
dello Stato, quelle atte a rieducare le persone che hanno sbagliato ed a
risarcire le vittime!
L’unica speranza è che questa persona possa essere
adeguatamente curata, magari anche con una sospensione della pena perché incompatibile
col regime detentivo. Ma anche di questo ne dubitiamo perché C.T. è uno di quei
detenuti cattivi e colpevoli per sempre, un ergastolano ostativo, che non può
sperare in nessuna clemenza, neanche in queste condizioni e neanche dopo aver
subito per anni torture che, purtroppo, non potranno essere cancellate come la
sua cartella clinica.
Associazione Yairaiha Onlus
29 dicembre 2016
Rapporto del Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o
private della libertà personale
Sintesi del
Rapporto sulla detenzione di una singola persona privata
della libertà personale
(Voghera 16 ottobre
2016 – Torino 26 ottobre 2016)
In ottemperanza al proprio mandato di cui all’art. 7 del
d.l. 23 dicembre 2013 n. 146,
convertito nella Legge 21 febbraio 2014 n. 10, modificato
dall’art.1 c.317 della Legge 28
dicembre 2015 n. 208 e in ottemperanza altresì delle
previsioni di cui agli articoli 17-23 del
Protocollo Opzionale ONU alla Convenzione contro la tortura
(OPCAT), ratificato dall’Italia il 3
aprile 2013, la delegazione del Garante Nazionale ha effettuato
sia presso la Casa
circondariale di Voghera che presso la Casa circondariale di
Torino, “Lorusso e Cutugno”,
visite specifiche finalizzate alla verifica delle condizioni
di detenzione e salute del detenuto [
]* a seguito
della segnalazione pervenuta all’Ufficio del Garante Nazionale.
* Come è
prassi, non vengono pubblicati i nomi delle persone private della libertà a cui
il Rapporto fa
riferimento.
Inoltre, in questo caso, trattandosi di un Rapporto relativo alla verifica
delle condizioni di un
singolo
detenuto, viene pubblicata una sintesi del Rapporto inviato all’Amministrazione
penitenziaria,
avendo
alcuni elementi – soprattutto di carattere medico – inclusi nel Rapporto
completo, carattere di
confidenzialità.
Le visite presso gli Istituti sono state destinate
specificamente alla verifica delle condizioni di
vita detentiva della persona detenuta, in ordine alle quali
era stato rappresentato, con
specifica segnalazione all’Ufficio del Garante, il fatto che
lo stesso, sofferente di una “grave
patologia psichica”, conducesse la “detenzione in
isolamento” protratta ininterrottamente da
anni e vivesse attualmente in uno stato di degrado fisico e
materiale.
All’arrivo della delegazione, presso l’Istituto di Voghera,
il detenuto non era presente, in
quando trasferito il giorno precedente presso la Casa
circondariale di Torino “Lorusso e
Cutugno”. Durante la visita, con grande stupore, la
delegazione ha appreso dal medico di turno
che ogni traccia informatica relativa al fascicolo sanitario
del signor [ ] era stata cancellata nel
pomeriggio precedente.
Per questo la delegazione ha deciso di richiedere alla
direttrice e al responsabile sanitario
dell’Istituto di Voghera, in forma scritta, di inviare con
sollecitudine la documentazione
necessaria per l’analisi delle complessive condizioni di
detenzione del signor [ ] negli ultimi
anni.
La delegazione nel riscontrare una cooperazione carente da
parte della Polizia penitenziaria
presente e scarsissima da parte del medico di turno, ha
dovuto prendere atto della mancanza
di informazioni in merito all’ istituzione del Garante
nazionale da parte del personale operante
nella Casa circondariale di Voghera.
In ragione della grave situazione riscontrata il Garante Nazionale
raccomanda alla Direzione
della Casa circondariale:
1. di mettere a effettiva conoscenza di tutto il personale
dell’Istituto la circolare del
Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria del
18.05.2016 n.3671/6121 che ha per
oggetto l’informazione sull’istituzione e sui poteri del
Garante Nazionale e che prescrive il
necessario rapporto di collaborazione dell’Amministrazione
nei confronti dell’Istituzione
di garanzia.
Il Collegio ha avuto conferma del fatto che il detenuto [ ]
durante i periodi detentivi effettuati
nei diversi istituti penitenziari è stato ristretto in
isolamento ininterrottamente dal 6 aprile
2011. Indipendentemente da ogni valutazione circa le motivazioni
delle singole decisioni, il
Garante Nazionale deve sottolineare che il prolungato
isolamento di una persona può
facilmente rientrare in quella definizione di trattamento
contrario al senso di umanità
vietato sia dall’articolo 27 c.3 della Costituzione
italiana, sia dall’articolo 3 della Convenzione
europea per la tutela dei diritti umani e delle libertà
fondamentali (CEDU).
Il Garante Nazionale, al fine di una complessiva valutazione
della gestione del caso nel
periodo di permanenza del signor [ ] presso la Casa
circondariale di Voghera, onde evitare
il ripetersi di situazioni simili, chiede:
2. di avere documentazione circa le informazioni sul caso
fornite dalla Direzione dell’Istituto
alla magistratura di sorveglianza;
3. di ricevere informazione da parte dell’Amministrazione
penitenziaria centrale sul perché
non si sia provveduto nel corso degli anni a una allocazione
del signor [ ] in ambienti più
idonei al suo stato clinico: in particolare, se ciò sia
stato determinato da mancanza di
esauriente informazione da parte delle Autorità responsabili
dell’Istituto o da valutazioni
di altro tipo da parte della Direzione generale dei detenuti
e del trattamento.
Successivamente, la delegazione del Garante, durante la
visita effettuata presso la Casa
circondariale di Torino “Lorusso e Cutugno”, ha incontrato
la persona detenuta [ ] all’interno
della sua stanza detentiva, nel reparto di Osservazione
psichiatrica “Il Sestante”. Il colloquio e
l’incontro con il dirigente sanitario e psichiatrico hanno
reso conferma dei dati clinici
emergenti dalle relazioni fornite.
Le condizioni igieniche della stanza, invece, sono apparse
scadenti e scarse di corredo. Il letto è
allestito esclusivamente con una coperta, senza lenzuolo,
perché, come riferito dagli agenti del
reparto, trattandosi di persona ad alto livello di
sorveglianza viene applicata la cosiddetta
“rimozione”, cioè la privazione di tutto quello che può
essere usato per farsi del male. Il
Garante nazionale, conseguentemente raccomanda:
4. che nel caso qui considerato e in tutti gli altri casi
simili nel territorio nazionale,
l’Amministrazione penitenziaria provveda a fornire gli
Istituti di lenzuola, reperibili in
commercio, di materiale idoneo a evitare un uso autolesivo e
che nessuna persona
detenuta venga tenuta, soprattutto per periodi prolungati,
sistemata nella propria
camera con il solo materasso e coperta;
5. chiede inoltre di ricevere copia delle disposizioni che
governano la cosiddetta
“rimozione”, unitamente a copia dei pareri medici acquisiti
all’atto della loro definizione.
Il dirigente sanitario e psichiatra ha integrato la
documentazione sanitaria già inviata al
Garante illustrando il quadro complessivo della patologia
manifestata dal detenuto. Ha
peraltro precisato che, secondo quanto a lui risulta, il
trasferimento all’Istituto torinese non è
stato disposto ai sensi dell’art.112 Reg. Es. (d.p.r.
230/2000), come invece emerge dal
provvedimento del Dipartimento dell’Amministrazione
penitenziaria, ma per osservazione
“fino a miglioramento del quadro clinico”. Queste
affermazioni confermano le perplessità del
Garante circa l’incongruità di un provvedimento di
assegnazione a una sezione di osservazione
psichiatrica senza un limite temporale fissato. Il Garante
nazionale chiede pertanto che:
6. l’Amministrazione penitenziaria chiarisca la connotazione
legale del provvedimento
adottato e chiarisca altresì l’ipotesi di percorso
trattamentale all’interno del quale tale
provvedimento è stato assunto.
Il Garante, considerando che l’eventuale rientro in un
Istituto come quello di provenienza,
dove al detenuto sarebbero presumibilmente riproposte le
stesse condizioni di isolamento e di
degrado con le quali è stata condotta la precedente vita
detentiva, costituirebbe un’evidente
violazione del diritto del detenuto a ricevere l’assistenza
e la cura sanitaria di cui ha bisogno e,
con ragionevole certezza, aggraverebbe ancora le già
compromesse condizioni di salute
mentale, oltre a ledere senz’altro i parametri essenziali
della dignità della vita detentiva,
raccomanda al Dipartimento dell’Amministrazione
penitenziaria:
7. previa acquisizione della valutazione conclusiva della
Direzione sanitaria della Casa
circondariale di Torino e fatta salva l’eventuale dichiarazione
di incompatibilità con la
detenzione in carcere, di assegnare il signor [ ] in una
struttura dotata di adeguata
articolazione per la salute mentale che ne consenta il
trattamento e il recupero.
Il Garante Nazionale
Mauro Palma
VIOLAZIONI DELLE LEGGI COSTITUZIONALI NEL CARCERE DI VOGHERA
Al Presidente della Repubblica Italiana
e p.c. al Ministro della Giustizia
al Provveditore Regionale
al Magistrato di Sorveglianza di Pavia
all' UFFICIO DEL GARANTE NAZIONALE
al Garante Provinciale di Pavia
al Direttore della CC di Voghera
all'Associazione YAIRAIHA ONLUS
all'Associazione RISTRETTI ORIZZONTI
OGGETTO: VIOLAZIONI DELLE LEGGI COSTITUZIONALI
Egregio sig. Presidente, le inoltriamo la presente per segnalare le numerose violazioni delle leggi costituzionali e di altre leggi vigenti dello Stato che avvengono nella Casa Circondariale di Voghera.
Abbiamo segnalato più volte la questione alle autorità competenti nella salvaguardia dei diritti dei detenuti ma oggi è molto difficile trovare impiegati dello Stato che hanno a cuore la nostra Costituzione e le sue leggi, allora abbiamo pensato di che l'ultimo baluardo di giustizia possiamo trovarlo nel TUTORE della Costituzione, ossia nella S.V. anche se, ad onor del vero, l'ufficio del Garante Nazionale ha preso a cuore questa questione.
Ci troviamo ristretti nella casa circondariale di Voghera, ma preferiremmo trovarci nelle carceri di qualche paese dittatoriale, quantomeno non ci troveremmo di fronte a maschere di democrazia.
La direzione di questo carcere ha attuato un dispositivo assolutista, chiudendo la porta a qualsiasi dialogo con i detenuti. L'unico incontro che si è riusciti ad avere sembrava uno dei processi della santa inquisizione che avrebbe spaventato pure Torquemada. In questo incontro la direzione ci invitava a non rivolgerci più nessun organo istituzionale o associativo a difesa dei nostri diritti perché <<tanto nessuno ci potrà aiutare>>. Come dire che nel carcere di Voghera manca solo la scritta sui cancelli “il lavoro rende liberi”!
La direzione, per mantenere fermo il regime repressivo continua a mantenere la visione di soli 9 canali televisivi (caso unico in tutta la nazione) nonostante le continue richieste e le diverse ordinanze del Magistrato di Sorveglianza di Pavia (la prima del 2011 e la seconda N. SIUS 2014/5976 UDS PAVIA - N. 1989/257 PGCAP TORINO - DECRETO N. 2646/2014). La direzione non prende nemmeno in considerazione le pronunce del MdS, ne la sentenza della Corte Costituzione 135/2013, Presidente Gallo, redattore Silvestri, che ha sancito che non ci può essere censura sui canali televisivi. Ma questa direzione non tiene in considerazione nemmeno le sentenze della Corte Costituzionale. La direzione, inoltre, non fa altro che alimentare questo rapporto “negativo” con noi detenuti andando a revocare ogni beneficio penitenziario, anche acquisito nel tempo, travalicando i margini del potere discrezionale dell'amministrazione penitenziaria che dovrebbe applicarsi sempre entro i “limiti tracciati dalla legge”.
Tutti i detenuti che provengono da altri istituti, reclusi da prima dell'entrata in vigore del DPR 230/2000, avevano acquisito il beneficio della vecchia legge usufruendo di 6 colloqui mensili ed una telefonata settimanale, ma a Voghera, la direzione revoca li stessi violando l'art. 27 c. 4 del DPR 230/2000 (L’osservazione e il trattamento dei detenuti e degli internati devono mantenere i caratteri della continuità in caso di trasferimento in altri istituti) e la sentenza n. 137/1999 della Cort. Cost. che sancisce il divieto assoluto di regresso trattamentale.
Come la S.V. illustrissima può notare la direzione della cc di Voghera è completamente fuori controllo, ignora sistematicamente la Costituzione e le leggi, Ordinamento Penitenziario compreso, andando a vanificare tutto il lavoro svolto in questi anni dal Ministero della Giustizia e dal dott. Santi Consolo per migliorare ed umanizzare le carceri italiane che già non godono di buona reputazione in tutta Europa. Come si può “educare”un detenuto al rispetto delle leggi con la violazione di queste ultime?
Egregio sig. Presidente, trattandosi di violazioni della Costituzione noi riteniamo che lei abbia il potere, oltre al diritto/dovere, di mettere fine a quanto sta succedendo nel carcere di Voghera sia per quanto è stato messo a conoscenza con la presente sia per tutto quello che non stiamo a raccontarle e che con un precedente reclamo, fine agosto c.a., abbiamo già segnalato a tutti gli altri destinatari.
Quello che chiediamo è solo il rispetto della Costituzione e delle Leggi.
SERAFINO LA ROSA, GIUSEPPE RUFFOLO, ALESSANDRO GRECO, FRANCESCO CAMPANA, GENNARO VENERUSO, ABBINANTE FRANCESCO, VINCENZO CANTIELLO, PIETRO PUGLISI, GIANCARLO ANSELMO, ANGELO RANDAZZO, MICHELE BIDOGNETTI, GIOVANNI MIGLIACCIO, ANTONIO MEZZERO, CIRO ARMENTO, ROCCO CHINDAMO, COSIMO GRASSI, GIOVANNI DONATIELLO, SALVATORE CRISTALDI, PACIFICO ESPOSITO, MICHELE MERCADANTE, MASSIMO RIDENTE, DAVIDE RISERBATO.
INTERROGAZIONE AL PARLAMENTO EUROPEO SULLA INCOSTITUZIONALITA DELL ERGASTOLO OSTATIVO
L'interrogazione sull'ergastolo ostativo
presentata dall'on. Eleonora Forenza al Parlamento Europeo (http://www.eleonoraforenza.it/…/interrogazione-sullergasto…/) ha il merito ed il
coraggio di dare voce alle ultime mobilitazioni degli ergastolani italiani che
da anni lottano (spesso inascoltati o, peggio ancora, strumentalizzati per
facili propagande garantiste che poi non trovano riscontro) affinché venga
riconosciuta l'illegittimità di una pena che non lascia nessuna speranza se non
attraverso il ricatto del 58 ter (collaborare, mettendo qualcun altro al
proprio posto, anche in assenza di elementi utili su cui collaborare). Dallo
scorso giugno è in atto uno sciopero collettivo che si è manifestato con
diverse modalità nelle carceri di tutta Italia: rifiuto del vitto, sciopero
dalle attività lavorative, rifiuto dell'ora d'aria e battitura, supportati da
una raccolta firme che, ad oggi, ha superato le 40000 firme, tra cui quella del
Papa, ed ancora continua.
Inoltre gli ergastolani, visto anche
l’immobilismo del Governo nonostante sembrano tutti d’accordo sull’abolizione
dal ministro Orlando al capo del Dap Santi Consolo, hanno rivolto un appello al
CPT affinché si esprima sulle violazioni insite nell'ergastolo comminato ai
sensi del 4 bis che esclude quindi qualsivoglia possibilità di revisione del
processo, di misure alternative e di possibilità di uscita condannando, di
fatto, ad una pena di morte in vita e per tutta la vita.
L'interrogazione è stata presentata sulla
scorta di precedenti sentenze della Corte Europea, in particolare la sentenza
sul caso del leader curdo Ocalan contro la Turchia per la sua condanna all'ergastolo
ostativo. Tale condanna è stata dichiarata incompatibile con la Convenzione EDU
e, a tal proposito la Corte richiama in toto i principi già affermati dalla
Grande Camera nel caso Vinter e altri c. Regno Unito (2013) - secondo
cui, in sintesi estrema, il carcere a vita è incompatibile con la
Convenzione, allorché la legge non preveda meccanismi di revisione della pena
nei casi in cui vengano meno le esigenze che la giustificavano - e
proprio sulla base di questi principi dichiara, all'unanimità, la violazione
dell'art. 3 Cedu rispetto all'ergastolo ostativo inflitto ad Öcalan. I
giudici di Strasburgo, in particolare, ritengono insufficienti sia la
prospettiva di una (possibile) grazia presidenziale in considerazione
dell'età o infermità del detenuto (§ 203) sia quella (eventuale) di
un'amnistia (§ 204).
E gli ergastolani italiani, al pari di
Ocalan, hanno poco da sperare nella grazia presidenziale e meno ancora in una
amnistia.
Ricordiamo che pochi giorni fa, l’attuale
governo ha sacrificato una, seppur parziale, riforma della giustizia elaborata
a seguito degli Stati Generali dell’esecuzione penale, per paura di non reggere
lo scontro contro il giustizialismo dilagante a poche settimane dal referendum
costituzionale che metterebbe nero su bianco la parola fine sulle tutte le
garanzie costituzionali.
L'interrogazione presentata dall’on.
Forenza chiede al Parlamento europeo, quindi, di adottare tutte le misure
possibili affinché questa inumana violazione cessi al più presto, per ridare
dignità ad oltre 1400 persone cui oggi vengono negati i diritti costituzionali
e la speranza di poter riacquistare la
libertà andando contro il tanto decantato principio rieducativo della pena che
non può andare contro il senso di umanità fino ad oggi garantito, seppur non
sempre applicato, dall’art. 27 della Costituzione italiana.
D’altra parte siamo sempre più convinti
che l’unica strada perseguibile per il superamento del fine pena mai sia quella
giurisprudenziale perché la politica non può ammettere il fallimento delle
leggi emergenziali perché sono quelle che gli consentono di sospendere lo Stato
di diritto coprendolo col sepolcro imbiancato della legalità.
Associazione Yairaiha Onlus
APPELLO DEI DETENUTI AL COMITATO EUROPEO PER LA PREVENZIONE DELLA TORTURA SU ERGASTOLO OSTATIVO
IL SEGUENTE APPELLO, FINO AD OGGI, E' STATO INVIATO AL CPT DAI DETENUTI DI MILANO-OPERA, VOGHERA, CATANZARO, PARMA, MASSAMA, ROSSANO, SALUZZO, LIVORNO, SPOLETO AFFINCHE' IL CPT SI ESPRIMA SULL'ILLEGITTIMITA' DELL'ERGASTOLO OSTATIVO
Al Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura
e delle Pene o Trattamenti Inumani o Degradanti
Strasburgo
Palazzo d’Europa
Al Presidente del Comitato Mykola Gnatovskyy
Al Segretario Esecutivo Jeroen Schokkenbroek
e p.c. a tutti i membri del Comitato
Ergastolani “Ostativi” del carcere di
ITALIA
Oggetto: Ergastolo Ostativo, ovvero non pena di morte ma pena fino alla morte.
Illustrissimo Comitato,
noi sottoscritti detenuti, attualmente ristretti nel carcere italiano di .................................... e condannati alla pena dell’ergastolo “ostativo” (ergastolo senza possibilità di riesame della pena), intendiamo portare alla conoscenza delle SS. LL. dell’esistenza in Italia di una pena che non lascia alcuna speranza di poter un giorno, neanche lontanissimo, essere reinseriti nella società.
Questa fattispecie di pena, introdotta in Italia nel 1991 – Legge n. 354 del 26 luglio 1975, art 4Bis Ord. Pen. – modificata in peggio negli anni successivi (ultima modifica aprile 2009), vogliamo sottoporla alla Vostra attenzione sia dal punto di vista giuridico sia da quello umanitario.
Premesso che alcuni di noi, quando eravamo sottoposti al regime di isolamento previsto dall’art. 41 Bis OP, abbiamo avuto modi di incontrare una delegazione del C.P.T. in diversi istituti italiani e di esporre loro la problematica dell’esistenza dell’ergastolo ostativo ma, ad oggi, non ci sono pronunce da parte dell’illustre Comitato in merito alla specifica problematica ed è per questo che sommessamente ci rivolgiamo a Voi, affinché possiate esaminare in concreto questa tipologia di pena in relazione all’ipotesi di violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Come certamente saprete, l’art. 3 della Convenzione vieta qualsiasi forma di tortura, di trattamenti disumani o degradanti e, l’ergastolo ostativo, nella sua configurazione, è in pieno contrasto con tale previsione laddove priva il condannato del diritto alla speranza di vedersi un giorno riesaminare la propria pena.
Ci si chiede se condannare una persona all’ergastolo ostativo non sia di per se da inquadrare nell’ambito di un trattamento disumano e degradante.
A tal proposito, non è fuori luogo citare la sentenza Vinter contro il Regno Unito (9 luglio 20013) in cui la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo riconosce al condannato all’ergastolo il diritto ad un riesame della pena fissando, anche come prima revisione, un termine massimo di 25 anni dalla comminazione della pena, ritenendo tale lasso di tempo ragionevolmente congruo per una ipotesi di evoluzione in positivo del condannato.
Ad abundantiam, si cita una dichiarazione del giudice Ann Power-Ford -componente della Grande Camera riunitasi in relazione al caso Vinter sopra citato- che spiega così la sua votazione con la maggioranza: “Ho votato con la maggioranza in questo caso e desidero aggiungere quanto segue: capisco e condivido molte delle opinioni espresse dal Giudice Villiger a suo parere parzialmente dissenziente. Tuttavia, ciò che ha fatto pendere la bilancia per me a votare con la maggioranza è stata la conferma della Corte, in questa sentenza, che l’art. 3 comprende quello che potrebbe essere descritto come il <>. Esso non va oltre quello. La sentenza riconosce implicitamente che la speranza è un aspetto importante e costitutivo della persona umana. Anche coloro che commettono il più grave dei delitti conservano la loro umanità fondamentale e portano in sé la capacità di cambiare. Anche se la pena detentiva possa essere lunga e meritata, esse mantengono il diritto di sperare che, un giorno, potrebbero aver espiato le loro colpe. Essi non dovrebbero essere privati del tutto di tale speranza. Negare loro l’esperienza di speranza sarebbe come negare un aspetto fondamentale della loro umanità e farlo sarebbe degradante”.
L’obbligo della collaborazione con la giustizia (così come previsto dall’art. 4 bis OP), al fine di avere la speranza di una revisione della pena, pretesa anche dopo 20 o 30 anni di pena sofferta, sancisce l’infallibilità assoluta del giudizio di cognizione dal momento che si stabilisce per legge che un soggetto condannato per determinati reati debba assolutamente essere a conoscenza specifici “altri” fatti delittuosi.
Questa illogica impostazione giuridica da un lato, stride fortemente contro il senso e il buon senso comune, dall’altro contro i decenni di esperienza giuridica che ci insegnano come sia sempre alto il rischio dell’errore giudiziario e quindi della condanna di un innocente. Stride altresì con il nostro codice di procedura penale laddove, proprio in virtù dell’esperienza sopra citata, prevede sempre la possibilità di revisione di sentenze passate in giudicato (artt. 629, 630 e seguenti).
Dunque, anche da questo punto di vista, l’art. 4 bis c. I OP, e di conseguenza l’ergastolo ostativo ad esso collegato, appare in assoluta violazione del diritto di professare la propria innocenza anche dopo sentenze passate in giudicato, come più volte si è espressa la Corte di Cassazione. Altresì, le garanzie e le facoltà che sono previste nelle fasi di giudizio nel mantenere un comportamento processuale, qualunque esso sia, vengono di fatto annullate nella fase di esecuzione della pena appalesando lo spirito liberticida della norma.
Con l’automatismo previsto dall’art. 4 bis c. I OP -“se collabori con la giustizia hai diritto alla speranza, se non collabori tale speranza è negata vita natural durante”- la possibilità di revisione della pena è preclusa per sempre. È sottratta ex lege al Magistrato di Sorveglianza la facoltà di valutare e vagliare ogni singolo individuo condannato al fine di esaminare il percorso trattamentale, in vista di un possibile reinserimento nella società così come previsto dall’art. 27, comma II della Costituzione Italiana.
Tale preclusione è imposta indipendentemente dall’esito del percorso trattamentale, dal mutamento dei propri valori culturali, dalla maturazione esistenziale e psicologica, dalla revisione personale che il condannato possa aver compiuto nel corso dei decenni di espiazione.
A nostro modesto parere tale preclusione appare offensiva nei riguardi della stessa Magistratura di Sorveglianza in quanto, avendo sottratto alla stessa l’attribuzione giurisdizionale, si ha l’impressione di un atto di sfiducia verso la Magistratura e questo, in uno Stato di Diritto, non dovrebbe avere dimora.
Per le ragioni sopra esposte, chiediamo alle SS.LL. illustrissime, di voler approfondire l’argomento e di verificare se, come da noi sostenuto, sia in atto la violazione dell’art. 3 della Convenzione. Chiediamo, pertanto, di volervi pronunciare in merito.
Per una maggiore e più dettagliata verifica, chiediamo di disporre una ispezione nelle sezioni di Alta Sicurezza, sottocircuiti AS1 e AS3, dove siamo detenuti gli oltre 1200 ergastolani ostativi, al fine di avere una diretta cognizione dell’esistenza nel paese di Cesare Beccaria, un tempo culla del Diritto, di una pena disumana che non uccide il condannato ma che lo lascia morire di pena. Non sono pochi i casi in cui decine di ergastolani ostativi ormai anziani, malati, fiaccati nel corpo e nello spirito, da oltre 25 anni detenuti, che sono stati lasciati morire in carcere o dimessi cinicamente a poche ore dalla morte solo per evitare il disbrigo burocratico che comporta la consegna ai familiari ed il trasporto delle salme!
Fiduciosi in una Vostra sollecita calendarizzazione della questione sollevata e con la speranza di avere al più presto un confronto con una Vostra delegazione,
porgiamo distinti e ossequiosi saluti
….............................................., Italia
Seguono firme
SUL DIRITTO DI MANIFESTARE
A distanza di
tredici giorni dall’ inizio nel carcere di Catanzaro la “battitura” dalle 16.00
alle 16.15 continua. Anche se ieri, domenica, i compagni di una sezione si
erano fermati, perché, a quanto è dato di sapere, sabato un Ispettore della
Polizia penitenziaria che si era fatto il giro in tutti i piani del
penitenziario, aveva riferito loro che erano state effettuate le comunicazioni
della manifestazione a tutte le autorità che avevamo chiesto di essere
informate (Direzione, Ufficio di Sorveglianza, Ministro della Giustizia e
Presidente del DAP). Pertanto, secondo lo stesso, non aveva senso continuare,
anche perché adesso erano stati segnalati i loro nomi e la questione poteva
prendere una “piega diversa”. Probabilmente c’ è un equivoco, poiché a noi non
ha espresso tali parole, anche perché si tratta di un ispettore “fresco di
corso” che non può sapere della legittimità di manifestare pacificamente. Sta
di fatto che i compagni si sono preoccupati che potessero essere sanzionati
disciplinarmente….
Anticipiamo che oggi, lunedì, i suddetti compagni di detta
sezione hanno ricominciato a manifestare con la “battitura”. Pare che pian
piano si siano fatti coraggio, pensando che tutto sommato stanno sostenendo
richieste che vanno nello stesso senso delle riforme proposte dal Governo, come
stanno facendo gli studiosi del settore, giudici, operatori penitenziari che si
sono riuniti negli Stati Generali dell’ Esecuzione Penale convocati proprio dal
Ministro della Giustizia. Certo noi non chiediamo nuove leggi ma solo il
rispetto dei principi di diritto già esistenti. L’art. 4-bis OP è
incostituzionale. Punto. L’ ergastolo ostativo giurisprudenziale non può essere
applicato retroattivamente dalla data del 2008. Altro punto. E’ dimostrato
nella tesi di laurea, non con argomenti ideologici, politici ma oggettivamente.
Non c’ è bisogno di nuove leggi ma la loro interpretazione secondo
Costituzione. La manifestazione serve per non unirci al “coro dei silenzi” che
mortificano la Costituzione. Forse è tempo che i Custodi della Carta
Fondamentale non siano solo i Giudici delle Leggi, ma tutti i Cittadini e in
particolare quelli Detenuti. Sanzionati per manifestare pacificamente? Per
esercitare un diritto costituzionalmente “riconosciuto”? Non concesso, ma
riconosciuto, che sta a significare che preesiste allo steso Sato e alla
Costituzione. E’ una bella domanda. Come quella sull’ essere Cittadini o
sudditi. Sudditi, naturalmente, qui la risposta è facile. Specie in carcere
dove i diritti sono silenziati da astratti ed a volte assurdi, paradossali,
“motivi di sicurezza”. Non così scontata, invece è la risposta se in carcere
sopravvive il diritto di “manifestare pacificamente”. Ma come ci possono essere
“sudditi” con dei diritti? Si, la risposta è affermativa. Perché i diritti grazie
alla Costituzione esistono a prescindere dalla consapevolezza di chi dovrebbe
esercitarli. In carcere si fanno tanti corsi di formazione, ma quasi mai quelli
che “informano” ai/sui diritti civili e costituzionali dei detenuti. Meglio, in
alcuni rarissimi casi, si sono anche tenuti. Come qui a Catanzaro. Ma non
affrontammo il tema del diritto di manifestare, protestare in carcere. Se si
tratta di un diritto che sopravvive anche in seguito ad una condanna penale, se
resta inviolabile anche per i condannati, internati e imputati. Tenteremo di
dare una risposta in questa circostanza, considerato che si tratta di un
argomento che interessa tutte le persone private della libertà. Che hanno paura
di rivendicare i propri diritti, in modo pacifico s’ intende. Poiché la
questione non si pone solo a Catanzaro. Non si pone solo tra i compagni del
nostro piano, ma anche tra tanti ergastolani allocati in altri piani. E in
altre carceri. Nell’ ambito della mobilitazione dello “sciopero collettivo
contro l’ ergastolo ostativo” diverse associazioni per i diritti dei detenuti
hanno denunciato impedimenti alla raccolta firme tra i detenuti (perciò
consigliano di farlo tra familiari e amici); la paura dei tanti altri di
aderire alla mobilitazione per non incorrere in sanzioni disciplinari. Da un carcere, un compagno ha scritto: “ molti
compagni detenuti hanno paura anche della loro stessa ombra”. Ma alla fine sono riusciti ad accordarsi a
rifiutare l “vitto del carrello” e destinare tali alimenti alla caritas.
Encomiabile l’ idea. Al momento pare stiano manifestando anche Bolzano e Opera.
Le firme raccolte sono 35 mila (solo quelle passate dall’ ass. Yaraiha onlus,
via Salita Motta, 9- 87100 Cosenza), con l’ adesione di: Unione camere penali,
Sindacati di base, Rifondazione comunista, 99 Posse ecc.
Avere paura per criminali incalliti (almeno sulla carta),
non è una novità. Non hanno torto.
Infatti, se è una paura infondata in termini di diritto, nella realtà non
sempre il diritto riesce ad imporsi e garantirti dalle strumentalizzazioni. E’
facile cadere in provocazioni, oppure essere vittime dell’ “alterazione dei
fatti e motivi” alla base della “protesta” che poi “giustificano” i rapporti
disciplinari. Per questi motivi è assolutamente necessario preavvisare le
autorità per iscritto sui tempi, forme e motivi della protesta o
manifestazione. L’ assenza di consapevolezza dei propri diritti da parte dei
reclusi, molte volte è stata surrogata dall’ intervento del magistrato di
sorveglianza del luogo, ai quali bisogna rivolgersi sempre. In questo modo i giudici conquistano
importanti spazi di legalità anche tra chi è abituato a violarla. Perché
mostrano un “volto” della legge che tutela e non quello che reprime e opprime,
che è abituato a vedere chi transita per le patrie galere. Magari questa può
essere l’ occasione per tentare di dare una risposta che potrà renderci tutti
un po’ più consapevoli dei nostri diritti e doveri. Il diritto di manifestare
liberamente risiede nella libertà di esprimere il proprio pensiero nel quale, per
Emmanuel Kant, risiede il fondamento per l’ emancipazione dell’ uomo, per
uscire da quello “stato di minorità” a cui avevano relegato l’ uomo secoli di
oscurantismo, favorendo quella società guidata dall’ alto. La libertà di
esprimere il proprio pensiero, è riconosciuta universalmente e si trova
posizionata a livello internazionale
nell’ art. 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’ uomo del
1948 e nell’ art. 9 della Convezione per la salvaguardia dei diritti dell’ uomo
e delle libertà fondamentali ( sottoscritta a Roma il 4 novembre 1950), mentre
a livello nazionale la sua più importante espressione si trova all’ art. 21
della Costituzione per il quale “ Tutti hanno diritto di manifestare
liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di
diffusione”, che nella sua lettura combinata con l’ art. 2 Cost. (formazioni
sociali) e art. 18 Cost. (diritto di riunione) ne permette l’ esercizio anche
collettivo-visivo. La manifestazione, infatti, è l’ espressione di un’opinione
apertamente condivisa da un gruppo di persone che riunendosi la dimostrano
visivamente ( o sonoramente). Essa può essere sia pro che contro determinate
politiche economiche o sociali, ed è un efficace mezzo per la promozione di
determinati scopi e di partecipazioni dei cittadini all’ organizzazione sociale
del Paese. Le manifestazioni possono essere di diversi tipi come: radunarsi per
ascoltare un discorso; partecipare ad una marcia, una parata, un corteo che
parte da un luogo per arrivare ad un altro; oppure manifestare rumorosamente,
come il “cacerolazo” che nel linguaggio ispanico indica una forma di protesta o
dissenso che si esprime producendo (con pentole o altro) in spazi pubblici o
privati ( finestre, balconi, giardini) senza necessità di assembramenti o
cortei, e pertanto non necessita di alcuna comunicazione, meglio “ Preavviso di
pubblica manifestazione” alle autorità di pubblica sicurezza, come invece,
richiedono, una marcia, un corteo in Italia-.
Il cacerolazo (come la “battitura” fatta in carcere), è una
forma di manifestazione molto praticata in Sud America ( note quelle di
Capodanno 2004 a Buonos Aires; degli
studenti cileni del 2011 o quella contro Nicolas Maduro a Caracas nel 2013). Per le sue caratteristiche,
disponibilità degli strumenti e di partecipazione, questa forma di protesta si
presta ad avere un’ adesione numerosa, anche perché non richiede uno
spostamento fisico ( può avvenire dal balcone di casa) ed in tal caso può
superare anche eventuali divieti delle Autorità pubbliche ad assembramenti,
marce, cortei. Si è scritto del Preavviso di pubblica manifestazione alle
Autorità di pubblica sicurezza, esso è un atto previsto per manifestare
pubblicamente in Italia dall’ art. 18 del T. U. L. P. S. n. 773/1931, che
richiede sia indirizzato alla Questura o Prefettura del luogo dove si vuole
svolgere la manifestazione con data, luogo, forma e motivi della
manifestazione; alle stesse autorità è poi prevista la Notifica di
volantinaggio ai sensi della L. 374/1939 (nel caso di volantinaggio); e la
Richiesta di concessione di occupazione di suolo pubblico indirizzata al Comune
o Municipalità interessate. Il Questore
ha facoltà di imporre delle prescrizioni ma giustificate e motivate per motivi
di ordine pubblico. Il mancato rispetto di tali prescrizioni non ha rilevanza
penale, è infatti prevista solo una sanzione amministrativa di 516,00 euro. Non
è previsto un reato specifico per i comportamenti tenuti durante la
manifestazione, eccetto per il divieto di travisare il viso, impedendo l’ identificazione.
Allo stesso modo sono vietati l’ uso o possesso di armi, il danneggiamento di
beni privati o pubblici o altri atti di violenza, punibili penalmente. La
manifestazione deve avere scopi ritenuti legittimi dall’ ordinamento. Questo è
il perimetro entro il quale può manifestare liberamente il cittadino. Tanto in
premessa bisognerà ora accertare se il cittadino condannato o detenuto o
internato continua ad avere tale diritto in prigione ovvero ne sia privato in
seguito alla perdita della libertà personale. A tal proposito la Corte
costituzionale (ex multis, nn. 266/2009, 26/1999), ha affermato che la persona
detenuta resta titolare di diritti incomprimibili. L’ idea che la restrizione
della libertà personale possa comportante il disconoscimento delle posizioni
soggettive attraverso un generalizzato assoggettamento all’ organizzazione
penitenziaria è estranea al nostro ordinamento costituzionale, il quale si basa
sul primato della persona e dei suoi diritti. Da tanto ne discende che il
cittadino condannato, imputato o internato conserva gli stessi diritti del
cittadino non soggetto a restrizioni della libertà personale, riguardo a tutti
quei diritti e facoltà non incise dalla condanna o dal provvedimento limitativo
della libertà personale. In forza del principio di libertà negativa ( è
permesso fare tutto quello che non è espressamente vietato) e di libertà
positiva ( lo stato deve garantire l’ esercizio dei diritti) il cittadino
italiano ( e l’ uomo in quanto tale) , gode di un regime di libertà che preesiste
allo Stato che “ si limita a riconoscere e garantire” come diritti inviolabili
dell’ uomo (2 Cost.). tali libertà possono essere limitate solo nel rispetto
della doppia riserva di legge e giurisdizione, nei soli casi previsti dalla
legge e con atto motivato all’ autorità giudiziaria competente. Non può esservi
un divieto generalizzato a “manifestare”. E infatti non esiste.
L’ ordinamento penitenziario nei Principi Direttivi, all’
art.1 comma terzo conferma il principio di libertà negativa, stabilendo: “non
possono essere adottate restrizioni non giustificabili con le esigenze predette
( ordine e disciplina) o, nei confronti degli imputati, non indispensabili a
fini giudiziari”. Tradotto, nel nostro esame, non possono essere posti divieti
o impedimenti ad una manifestazione pacifica dichiarata che si svolge
ordinatamente, per scopi legittimi. Sotto il profilo disciplinare poi, l’
ordinamento penitenziario vieta e sanziona, solo quelle condotte tipizzate dal
Legislatore( artt. 38.1 OP e 77 Reg.Est). Poiché all’ articolo 38.1 OP è
stabilito: “ I detenuti e gli internati non possono essere puniti per un fatto
che non sia espressamente previsto come infrazione del regolamento”. E tra le
infrazioni ex art. 77 DPR 230/2000 le uniche fattispecie che in qualche modo
possono rilevare alla presente analisi, sono quelle previste al primo comma ai
numeri “ 18) partecipazione a disordini o sommosse” e “19) promozione di disordini o sommosse”,
previste dal Legislatore per fronteggiare i casi di rivolte che animarono le
carceri negli anni 70. E delle quali se ne conserva solo un lontano ricordo.
Fattispecie queste ultime nelle quali non possono farsi sussumere i casi di
manifestazioni o proteste pacifiche senza danni a persone, beni mobili,
immobili privati o pubblici. Pertanto possiamo concludere (salvo l’
imponderabile) che il diritto di manifestare pacificamente, in forma
individuale o collettiva, è riconosciuto anche al cittadino privato della
libertà personale (condannato, imputato o internato). Secondo il tipo di
manifestazione è poi necessario anche al detenuto di Preavvisare della
manifestazione/protesta le autorità penitenziarie, in forma scritta con l’
indicazione delle ,modalità, tempi, forme e motivi. In specie se si trattasse
di “occupare” un determinato luogo (es. fermata ai passeggi), ovvero in caso di
“sciopero dei lavoranti” per non creare disservizi. Ed in caso attenersi alle
prescrizioni stabilite dall’ Autorità penitenziaria. Allo stesso modo nel caso
della “battitura” ovvero il “rifiuto del cibo del carrello dell’
Amministrazione” o “sciopero della fame” o “raccolte firme”, è opportuno
preavvisare le Autorità penitenziarie, anche per avere quella collaborazione
dalle Stesse ( principio di libertà positiva) e visibilità che con le
manifestazioni si tende a ottenere per lamentare disuguaglianze, lesioni dei
diritti o per sostenere determinate iniziative private,
parlamentari o governative. La partecipazione attiva dei detenuti alle
iniziative che contribuiscono all’ ampliamento delle libertà, dei diritti
civili, è un merito. E’ un segno di adesione ai valori ordinamentali dello
Stato, che rappresenta essa stessa un’ evoluzione comportamentale, una
maturazione psico-etico-sociale del condannato, a cui le Istituzioni
Penitenziarie, giudiziarie e la stessa Società civile teleologicamente e
coralmente sono volte con l’ azione rieducativa- trattamentale.
Catanzaro, giugno 2016
(Claudio Conte)
Firma Contro L'Ergastolo
Proposta di iniziativa popolare
per l’abolizione della pena dell’ergastolo (art.22 Codice Penale)
La nostra Costituzione stabilisce:
Articolo 27- Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
Articolo 50 - Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alla Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità.
L’ergastolo è più atroce che qualsiasi
altra pena perché ti ammazza lasciandoti vivo ed è una pena molto più
lunga, dolorosa e disumana, della normale pena di morte. Spesso un
ergastolano, un uomo ombra, pensa di essere morto pur essendo vivo,
perché vive una vita senza vita. Nessun essere umano dovrebbe tenere un
altro uomo chiuso in una gabbia per tutta la vita. Ad una persona puoi
levare la libertà, ma non lo puoi fare per sempre, per questo
l’ergastolo, “La Pena di Morte Viva”, è più atroce e inumana di tutte
le altri morti.
Poi in Italia esiste l’ergastolo ostativo ai benefici penitenziari (art.
4 bis O.P.) che esclude l’accesso alle misure alternative al carcere,
rendendo questa pena un effettivo “fine pena mai” e t’impone di
scegliere fra due mali: o stai dentro fino alla morte o metti un altro
al posto tuo.
E ci vuole tanta disumanità e cattiveria per far marcire una persona in
cella per sempre, perché quando non si ha nessuna speranza è come non
avere più vita. Continuare a tenere dentro una persona quando non è più
necessario è un crimine contro l’umanità. Ogni persona dovrebbe avere
diritto ad una speranza e per tutti ce n’è una, ma non per gli uomini
ombra.
Se tu sei d’accordo che un ergastolano
debba uscire perché lo merita e non perché usa la legge per uscire dal
carcere e che una pena senza fine è una vera e propria tortura che
umilia la giustizia, la vita e Dio,
se tu pensi che un uomo non possa essere
considerato cattivo e colpevole per sempre e che una pena per essere
giusta debba avere un inizio e una fine, perché una condanna che non
finisce mai non potrà mai rieducare nessuno,
se tu credi che dopo tanti anni di
carcere non si punisca più quell’uomo che ha commesso il crimine, ma si
finisca per punire un’altra persona che con quel crimine non c’entra più
nulla, perché la persona è cambiata, e che il perdono faccia più male
della vendetta, perché il perdono costringe un uomo a non trovare dentro
di sé nessuna giustificazione per quello che ha fatto,
se tu sai che in Italia ci sono giovani
ergastolani che al momento del loro arresto erano adolescenti e che ora
invecchieranno e moriranno in carcere -senza nessun’altra possibilità di
rimediare al male che hanno fatto- e che solo in Italia, non in nessun
altro Paese del mondo, esiste la pena dell’ergastolo ostativo,
se tu sei d’accordo con tutto questo,
lascia la tua adesione a questa Proposta di iniziativa popolare per
l’abolizione della pena dell’ergastolo
Vai alla firma della proposta
Vai alla lista dei firmatari
http://www.carmelomusumeci.com/pg.base.php?id=12&cat=11&lang=
GENOVA NON E' FINITA
G8Genova 2001 non è finita! dieci, nessun@, trecentomila
APPELLO ALLA SOCIETÀ CIVILE E AL MONDO DELLA CULTURA
La gestione dell’ordine pubblico nei giorni del G8 genovese del
luglio del 2001, rappresenta una ferita ancora oggi aperta nella storia
recente della repubblica italiana.
Dieci anni dopo l’omicidio di Carlo Giuliani, la “macelleria
messicana” avvenuta nella scuola Diaz, le torture nella caserma di
Bolzaneto e dalle violenze e dai pestaggi nelle strade genovesi, non
solo non sono stati individuati i responsabili, ma chi gestì l’ordine
pubblico a Genova ha condotto una brillante carriera, come Gianni De
Gennaro, da poco nominato Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.
Mentre lo Stato assolve se stesso da quella che Amnesty International
ha definito “la più grande sospensione dei diritti democratici in un
paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”, il prossimo 13
luglio dieci persone rischiano di diventare i capri espiatori e vedersi
confermare, in Cassazione, una condanna a cento anni di carcere
complessivi, in nome di un reato, “devastazione e saccheggio”, che
rappresenta uno dei tanti detriti giuridici, figli del codice penale
fascista, il cosiddetto Codice Rocco.
Un reato concepito nel chiaro intento, tutto politico, di perseguire
chi si opponeva al regime fascista. Oggi viene utilizzato ipotizzando
una “compartecipazione psichica”, anche quando non sussiste associazione
vera e propria tra le persone imputate. In questo modo si lascia alla
completa discrezionalità politica degli inquirenti e dei giudici il
compito di decidere se applicarlo o meno.
E’ inaccettabile che, a ottant’anni di distanza, questa aberrazione
giuridica rimanga nel nostro ordinamento e venga usata per condannare
eventi di piazza così importanti, che hanno coinvolto centinaia di
migliaia di persone, come le mobilitazioni contro il G8 a Genova nel
2001.
Non possiamo permettere che dopo dieci anni Genova finisca così, per
questo facciamo appello al mondo della cultura, dello spettacolo, ai
cittadini e alla società civile a far sentire la propria voce firmando
questo appello che chiede l’annullamento della condanna per devastazione
e saccheggio per tutti gli imputati e le imputate.
Per una battaglia che riguarda la libertà di tutte e tutti.
Assemblea di supporto ai e alle 10 di Genova 2001
http://www.10x100.it/?page_id=19
Detenuto romeno si impicca a Vibo Valentia
Un detenuto di
30 anni, di origine romena, si è suicidato, questa mattina, intorno alle
ore 5, nel bagno della cella del carcere di Vibo Valentia, dove si
trovava ristretto. L’uomo, C. S. Nicolescu, doveva scontare 13 anni per
reati contro la persona ed il patrimonio. Poco tempo fa aveva tentato
l’evasione dalla Casa di Reclusione di Rossano (Cs).
A darne notizia
è Gennarino De Fazio, della direzione nazionale della Uil-Pa
penitenziari. Inutili i soccorsi immediati della Polizia penitenziaria e
del personale medico del carcere. Il detenuto, dopo essersi
attorcigliato attorno al collo un nodo scorsoio ricavato con le lenzuola
in dotazione ed averne legato l’estremità all’inferriata della
finestra, si è lanciato dal termosifone per imprimere maggiore slancio e
forza alla stretta letale.
"Personalmente
- dice De Fazio - ho ormai perso il conto del numero di suicidi che
continuano spaventosamente a perpetrarsi nelle nostre patrie galere e
che fanno assumere al dato i connotati di un bollettino di guerra. Fra
sovrappopolamento detentivo, ristrettezze economiche, spending review a
senso unico fatte in casa e depauperamento degli organici, l’utenza e
gli operatori sono coloro che ci rimettono, mentre al centro si continua
a teorizzare ed a sperperare.
È solo di
qualche giorno addietro - aggiunge - infatti la notizia che la Calabria
dopo il provveditore part-time da condividere ora con questa ora con
quell’altra regione da più di due anni, dovrà riscoprire anche i
direttori a servizio ridottissimo”. Il sindacalista sottolinea che il
dirigente della casa circondariale di Vibo Valentia, Mario Antonio
Galati, è stato inviato in servizio di missione per almeno tre giorni a
settimana (“ma verosimilmente - aggiunge - saranno 4 o 5”) nella nuova
struttura penitenziaria di Tempio Pausania.
Così - aggiunge
De Fazio - il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha
conseguito almeno tre risultati davvero “lusinghieri”: ha sottratto una
direzione certa, costante ed esclusiva al carcere vibonese, ha
assicurato una guida intermittente alla nuova struttura penitenziaria di
Tempio Pausania e dovrà sostenere i costi per l’indennità di missione,
compresi i trasferimenti aerei, per il Direttore e gli autisti. Tanto -
ironizza - si sa che Vibo Valentia e Tempio Pausania sono ad un tiro di
schioppo.
Dunque -
conclude il sindacalista - mentre a Roma si teorizzano la vigilanza
dinamica ed i nuovi circuiti penitenziari, in Calabria la Polizia
penitenziaria, sempre più abbandonata a se stessa, ricorre all’ormai
sperimentatissima arte dell’arrangiarsi chiedendosi di nuovo se e come
si riuscirà a superare l’estate, ma, soprattutto, quante vite dovranno
ancora spegnersi prima che si accenda un faro efficace sull’universo
carcerario e precipuamente su quello calabrese”.
Tamburino (Dap): riattivata unità monitoraggio suicidi
Nel 2000 era
stata costituita una unità di monitoraggio dei suicidi in carcere. Oggi
viene riattivata e tra pochi giorni daremo inizio ad una verifica caso
per caso”. Così Giovanni Tamburino, direttore del Dipartimento
dell’Amministrazione Penitenziaria, a margine della visita nel carcere
di Marassi, accanto al ministro della Giustizia, Paola Severino.
Invitato da Tamburino a partecipare alla prima riunione, il
Guardasigilli ha risposto che “certamente presenzierò”.
fonte: Agi
Il rapporto di Antigone: nelle carceri sovraffolamento e degrado.
Presentato l’ottavo
rapporto dell’associazione Antigone. Ogni 5 giorni si toglie la vita un
detenuto. Nelle prigioni un recluso ogni mille si suicida, all’esterno
solo una persona ogni 20 mila. Dall’inizio del 2011 si contano già 154
morti, di cui 53 per suicidio
Paolo Persichetti
Liberazione 29 ottobre 2011
All’ex pm antiterrorismo Franco Ionta, oggi capo dell’amministrazione
penitenziaria, non è piaciuto l’ottavo rapporto sulla condizione della
detenzione, intitolato “Prigioni malate”, presentato ieri
dall’associazione Antigone. Invitato alla presentazione del volume, il
massimo responsabile delle carceri si è eretto a «coscienza critica» di
chi, come Antigone, denuncia l’insostenibile situazione delle prigioni.
Un singolare esercizio di “critica della critica” che sarebbe stato più
utile rivolgere alla tragica quotidianità della realtà carceraria.
Dietro alla valanga di cifre che il rapporto elenca emerge una
situazione già ampiamente nota: siamo il Paese con il maggior tasso di
sovraffollamento carcerario in Europa dopo la Serbia mentre i nostri
tassi di criminalità sono scavalcati da Francia e Spagna. Antigone cita i
dati comparativi rilevati dal Consiglio d’Europa e da Eurostat.
Attualmente per ogni 100 posti disponibili ci sono 47 detenuti
eccedenti.
Gli istituti di pena sono oramai enormi lazzaretti, degli ospizi per
derelitti, vaste discariche dove viene confinato ogni dolore e malessere
sociale, nelle quali si ammassano umiliati e offesi, vite rottamate,
sfigati senza speranza. Nel sistema penitenziario, quelle che con un
eufemismo sociologico vengono definite «nuove povertà» ammontano oramai a
circa l’80% della popolazione reclusa.
Una parte della popolazione è predestinata a convivere con la
reclusione, è questo il dato strutturale della politica penitenziaria.
Guarda caso questa porzione di popolazione è sempre la stessa: un terzo
degli attuali 67.429 incarcerati sono stranieri mentre nel corso di un
intero anno hanno fatto ingresso in cella ben 84.641 persone. Il profilo
classico è quello del giovane privo d’istruzione e con problematiche
esistenziali legate alla tossicodipendenza. Un dato che rende uniche le
carceri italiane rispetto alla situazione europea. Una buona parte dei
reclusi proviene dall’Italia meridionale. Non a caso la Puglia risulta
la regione più sovraffollata con un tasso del 183%. Chi viene dal Sud
non ha titoli di studio, appartiene ai ceti sociali più bassi. Chi
arriva dai paesi d’emigrazione vede aumentare, molto di più che nel
passato, la probabilità di finire imprigionato. Cifre che indicano come
il carcere rinvii ad uno degli aspetti più crudi della discriminazione
di classe mentre il richiamo alla legalità è la macchina ideologica che
legittima e riproduce questa dominazione.
La misure alternative funzionano a macchia di leopardo rasentando un
sistema che assomiglia ad un specie di feudalesimo giudiziario: a parità
di reato attribuito, pena comminata, percorso penitenziario svolto, il
trattamento riservato dai tribunali di sorveglianza assomiglia alla
ruota della fortuna. La Cassa delle ammende, riservata per statuto al
finanziamento delle attività trattamentali esterne, è stata stornata per
finanziare nuove carceri e infrastrutture. Il Dap spende appena 4 euro a
detenuto per tre pasti giornalieri, confidando nelle loro tasche per
l’integrazione dei generi alimentari tramite il sopravvitto. Solo che il
lavoro scarseggia e le mercedi sono state ridotte. Non esistono appalti
trasparenti per le ditte fornitrici, ma un’attribuzione mafiosa
concessa per «licitazione privata». In altre parole, la gara non è
aperta a tutti. «Questo sistema – denuncia Antigone – ha prodotto e
continua a produrre un’oligarchia di fornitori di pasti a crudo priva di
qualsiasi controllo e basata sugli introiti per le ditte appaltatrici
derivanti dal sopravvitto». In Italia – secondo quanto si legge nel
rapporto – sono due le ditte a spadroneggiare in questo settore: «la
Arturo Berselli & C. spa e la Seap spa». La prima attiva,
direttamente o attraverso società legate, in oltre 40 istituti; la
seconda presente in 26 istituti.
Che le prigioni fossero una purulenta sentina della società è stato
scritto, detto e ribadito fino alla nausea. Un’ovvietà che suona come
una vuota retorica dell’indignazione, non più udibile da chi vi è
costretto a trascorrere periodi sempre più lunghi della propria
esistenza. Secondo Vittorio Antonini, coordinatore dell’associazione
Papillon: «Dopo anni di denunce non è il più il momento di spiegare a
partiti di maggioranza e di opposizione, o addirittura al governo,
quanto sia drammatica la realtà nelle carceri. Questa fase è finita. Si
tratta invece di imporre a tutti concreti e immediati atti di
responsabilità prima che le carceri scoppino. Per quel che ci riguarda –
conclude – continueremo a rivolgerci alla base elettorale di tutti i
partiti per spiegare quanto sia criminogeno il comportamento dei loro
eletti».
NO ISOL - rompere l'isolamento
Questo comunicato è frutto del dibattito fra tutti i 12 detenuti della sezione isolamento. E' il risultato di un percorso fatto di tanti piccoli passi. C'è da superare un certo modo di essere auto-castrante che si racchiude in alcuni modi di dire: "saper fare la galera", che può anche essere salutare se si riferisce alla capacità fisica e mentale per affrontarla, ma diventa estremamente negativa se è intesa nel "fatti la galera" come accettazione e passività figlia di una disaffezione ai comportamenti collettivi e alla possibilità di conquistarsi le proprie istanze e bisogni. Perfino il semplice gesto di apporre una piccola firma ad un appello non era cosa scontata, perché qui tutto ruota intorno alla individualizzazione della pena e ad un misto di benefici, punizione e burocrazia. A questo si aggiunge la difficoltà di rapporto fra etnie diverse.
Le visite dei consiglieri regionali (Eleonora Artesio e Fabrizio Biole che ringrazio) sono servite per far capire che ci può essere attenzione fuori. Servono soprattutto per portare alla luce le contraddizioni esistenti.
Ultima nota: due perquisizioni in una settimana. La prima martedì 28 febbraio ore 07.30 viene perquisita la mia cella. Venerdì 2 marzo ore 7.30 perquisita la sezione, 30 guardie, 5 per cella, metaldetector. 15 minuti. Io vengo chiuso nella doccia (la prossimo volta porto accappatoio e sapone), tutti gli altri nel corridoio che porta all'aria.
Forza Luca, spero in una rapida guarigione.
Un abbraccio, Giorgio
****************
Alla gentile attenzione degli Organi di Informazione
Siamo i detenuti della sezione “isolamento” del carcere di Saluzzo e vorremmo portarvi a conoscenza della situazione in cui siamo costretti a vivere.
Siamo tutti imputati in attesa di giudizio (quindi solamente indagati) e nonostante questo siamo rinchiusi in una sezione di isolamento.
La direzione del carcere sostiene che noi (siamo 12 detenuti) non siamo in regime di isolamento dal momento che in cella siamo in due (alcune volte anche tre). La stessa direzione si dimentica tuttavia di dire che questa situazione è dovuta solo al sovraffollamento.
Ogni cella dispone di un proprio cortile per la permanenza all'aria. Un cortile grande 6 metri x 2 metri e 80 centimetri, con un muro di 5/6 metri di altezza, che in autunno, inverno e in buona parte della primavera, non vede nemmeno il passaggio di un raggio di sole.
Ci sono 6 celle per 6 cortili. Chi scende all'aria viene segnato sul registro (ora di uscita/ora di rientro) e può solo andare all'aria che corrisponde alla sua cella. Strano paradosso: facciamo socialità dalle ore 17 alle ore 19 stando insieme in un piccolo corridoio, ma all'aria no. In cortile dobbiamo stare divisi ognuno nella sua gabbia. Le gabbie degli animali hanno almeno le reti e le sbarre, mentre qui c'è solo un alto muro di cemento. Se in uno spazio simile ci fosse in animale con un peso superiore ai 15 kg, si arrabbierebbe persino la Protezione Animale.
Uno di noi ha visto decine di arie in giro per l'Italia, ma mai nessuna così. Questi “cortili” sono solitamente usati per i detenuti soggetti al 41bis. In una sezione vicina alla nostra, ci sono 6 detenuti in regime di isolamento speciale che hanno gli stessi spazi e cortili.
La Direzione si giustifica dicendo che questa è una casa di reclusione (penale) e non una casa circondariale. Per salire nelle 6 sezioni del carcere bisogna essere “definitivi”. Lì ci sono laboratori, le attività in comune, la palestra, l'area per giocare a pallone.
Per noi no. Eppure alcuni di noi indagati stanno qui anche un anno in carcerazione preventiva in attesa del processo. L'unica concessione che ci viene fatta è di andare a messa con una sezione di alta sorveglianza.
Nessuno di noi è qui per aver subito una sanzione disciplinare, eppure siamo esclusi da tutte le attività ricreative e sportive che l'ordinamento penitenziario prevede.
Non ci lamentiamo per le nostre questioni personali ma riteniamo che si stiano violando i diritti e la dignità di noi detenuti.
Ci chiediamo chi sia e cosa faccia il garante dei detenuti.
Concludendo, consegneremo questa lettera ai nostri avvocati con cui intendiamo fare un esposto alla Procura e invitiamo le forze politiche e sociali a denunciare questa insostenibile situazione.
Vi ringraziamo anticipatamente.
Firme dei 12 detenuti
Fabio G.
Daniele G.
Giorgio R.
Gianpietro F.
Younos O.
Illi E.
Giuseppe M.
Andrei V.
Reoouanne G.
Beppe M.
Giacomo C.
Miraie N.
intervista a Loic Wacquant; carceri strapiene ma solo 3% detenuti per reati gravi
di Susanna Marietti Il Manifesto, 23 maggio 2011 Gli Stati di oggi, in Europa come al di là dell’oceano, vivono di un paradosso. Sono loro stessi a creare quella marginalità alla quale rispondono con il carcere”. Il sociologo francese Loic Wacquant - l’allievo di Pierre Bourdieu che in libri tradotti in decine di lingue ci ha raccontato la globalizzazione del nuovo senso comune punitivo - ci spiega l’utilizzo del sistema penale nelle nostre democrazie. Venerdì ha aperto lui i lavori della seconda giornata del convegno che Antigone ha organizzato in occasione dei propri venti anni di vita. Nella Sala del Refettorio della camera dei - “non ho mai parlato in una sala così bella”, ci dice mentre scatta fotografie tutto intorno - gli chiediamo perché nelle ultime decadi gli Stati Uniti d’America, dove Wacquant insegna alla University of California di Berkeley, abbiano visto un’esplosione che pare inarrestabile del numero dei detenuti. “Quel che è certo è che tutto ciò c’entra assai poco con il controllo del crimine. Il sistema penale è d’altra parte uno strumento ben poco efficiente in questa direzione. Negli Stati Uniti, ma certo non solo, meno della metà dei reati gravi arriva alle orecchie delle forze di polizia, e quelli che ottengono una sentenza sono tanti meno ancora. Penalmente non si riesce a rispondere a più del 2 o 3 per cento dei crimini seri”. E allora tutta questa espansione dell’uso delle carceri, che anche in Europa sperimentiamo, non produce risultati? Eccome se ne produce. Ma non nella lotta alla criminalità. Sono altre le funzioni che si demandano al sistema penale. Quali? In questo i sociologi si dividono tra chi segue la tradizione marxista sostenendo che la prigione svolga un ruolo materiale di controllo e chi segue la tradizione che si ispira a Durkheim sostenendo che svolga invece un ruolo simbolico. Io credo che per comprendere il sistema delle pene le due tradizioni vadano tenute assieme. Il carcere oggi viene usato sicuramente per eseguire due compiti materiali: quello di piegare la parte reticente della classe lavoratrice, disciplinare il nuovo proletariato alle tendenze del mercato, e quello di togliere dalla circolazione le persone “inutili”, coloro che neanche nel mercato lavorativo del precariato potrebbero entrare: i senza casa, i malati di mente che altrimenti lo Stato dovrebbe preoccuparsi di curare. E quanto al ruolo simbolico? Il carcere serve per riaffermare l’autorità dello Stato. In questo ha una fortissima carica simbolica. Dicono che l’opinione pubblica chiede sicurezza. È per questo che i detenuti aumentano? Sì, certo, ma in realtà è una sicurezza sociale quella di cui c’è davvero bisogno. Le vite sono incerte perché il lavoro è sempre più precario, la povertà aumenta a causa di politiche economiche scellerate e di un welfare ridotto all’osso. A queste nuove forme di povertà le democrazie di oggi rispondono con le prigioni. Non è cambiato niente negli ultimi cinquecento anni. In che senso? La prigione aveva queste stesse funzioni all’inizio della sua storia, nel XVI secolo. Serviva a ripulire le strade. L’istituzione carceraria è nata come risposta a delle forme di povertà. E oggi si risponde allo stesso modo contro i “nuovi poveri”. Cosa dobbiamo fare per interrompere questa crescita nell’uso del carcere? Come possiamo destituirlo dal suo ruolo simbolico e di gestione delle marginalità e restituirgli a pieno titolo la sola lotta al crimine? Innanzitutto evitando di fare quello che si fa oggi, quando le politiche penali vengono modulate momento per momento sull’emozione causata da un singolo episodio di cronaca. Le politiche economiche non rispondono alla chiusura di una singola fabbrica. Perché il sistema penale dovrebbe star dietro a un singolo crimine? Solo perché gli strumenti mediatici gli danno tanto spazio? E poi? E poi bisogna lavorare sulla lunga distanza. Bisogna farsi carico della marginalità. Badate che io non parlo di inclusi e di esclusi, ma di “marginali”. Nessuno sta fuori dal sistema: può starne ai margini, ma sono tutti inclusi. È il sistema stesso che li colloca ai margini. E allora bisogna uscire dal paradosso di cui parlavo prima. Lo Stato deve riaffermare la propria missione economica e sociale e diventare un generatore di autentica sicurezza. |
Profili costituzionali dell'ergastolo ostativi e benefici penitenziari
Con la tesi "Profili costituzionali in tema di ergastolo ostativo e benefici penitenziari" si ė laureato all'interno del carcere di Siano Claudio Conte. Una soddisfazione, sicuramente, ma a meta' visto che non ha potuto godere appieno questo traguardo per via dell'eccessiva burocratizzazione del sistema carcerario e di una magistratura che applica rigidamente le norme mortificando l'impegno di Claudio e la Costituzione stessa.
Nella tesi vengono affrontati lucidamente i meccanismi perversi insiti in una pena che rischia di diventare realmente perpetua condannando un uomo alla morte bianca. Tesi che pubblicheremo su richiesta del dott. Claudio Conte e di cui consigliamo la lettura a tutti gli uomini di legge o presunta tale.
Associazione Yairaiha Onlus
MASSAMA: RIPARTE LA LOTTA
Dopo le rassicurazioni che erano state date ai detenuti del carcere di Massama (Oristano) nelle settimane scorse, oggi hanno ripreso la mobilitazione attraverso la battitura delle sbarre per contestare l'immobilismo dell'amministrazione penitenziaria a fronte delle legittime richieste avanzate. Sovraffollamento, ritardi nella consegna e spedizione della posta, limitazioni dei colloqui con i familiari e tanto altro ancora.
Da oggi hanno ripreso la battitura e non escludono altre forme di protesta come lo sciopero del vitto, del lavoro e tutto quanto è loro consentito per far sentire la propria voce.
Quello che i detenuti chiedono è di poter scontare la propria pena con dignità e con una possibilità reale di recupero e reinserimento ma se alla privazione della libertà viene aggiunta la privazione dei diritti fondamentali qualsiasi sforzo riparativo diventa inutile, vanificando non solo il dettato costituzionale dell'art. 27 ma anche la possibilità di recupero reale. Idealmente ci uniamo alla protesta dei detenuti di Massama affinchè chi di competenza ponga fine a questo stato di cose.
Associazione Yairaiha Onlus
IL GARANTE NAZIONALE INCONTRA L'ASSOCIAZIONE YAIRAIHA ONLUS
Un incontro molto proficuo quello avuto con la delegazione dell’Ufficio del Garante Nazionale delle persone private della libertà -composta dal Prof. Mauro Palma, Emilia Rossi e Daniela de Robert- che ha voluto incontrare l’associazione per i diritti dei detenuti Yairaiha Onlus e i familiari di Michele Rotella, deceduto lo scorso 26 febbraio mentre si trovava ristretto presso il carcere di Siano a seguito di una infezione da Clostridium Difficilis sottovalutata dal personale sanitario del carcere.
Tra gli elementi emersi dalla narrazione dei familiari due hanno colpito in particolare l’attenzione dei Garanti: l’intervento tardivo nel predisporre il ricovero in ospedale e la procedura di comunicazione del ricovero ai familiari da parte dell’amministrazione penitenziaria, avvenuta a distanza di due giorni dallo stesso e quando ormai stava per morire. Queste stesse modalità vengono confermate anche dalla storia del sig. Verde che a distanza di un mese circa viene portato in ospedale dopo sette mesi di sofferenze e dove gli verrà diagnosticato un tumore con diverse metastasi in fase, ormai, terminale.
Abbiamo poi segnalato una serie di questioni di carattere generale, opportunamente documentate e testimoniate, sulle carenze e discriminazioni che investono i detenuti che si trovano a scontare la pena a Catanzaro che vanno dal diritto (spesso negato) alla salute all’eccesso di discrezionalità della magistratura di sorveglianza che rigetta puntualmente la prevalenza delle richieste, anche quelle di necessità gravi finanche a persone che sono quasi a scadenza pena. E’ stato il caso di Antonio che a sei mesi dalla libertà si è visto rigettare la richiesta di permesso per poter partecipare al funerale del padre, o di Massimo che non ha potuto dare l’ultimo saluto alla madre morente o di Claudio a cui è stata rigettata la richiesta di discutere la tesi di laurea dopo 27 anni di carcere e tanti altri casi ancora, raccolti in un dossier che verrà presentato al Garante nazionale con l’obiettivo di superare un elemento di fortissima discriminazione rispetto alle persone che hanno la “fortuna” di scontare la pena in altre città d’Italia.
Permessi che la sentenza 15.953 della Corte di Cassazione stabilisce si debbano concedere anche ai detenuti sottoposti al regime di carcere duro <<anche i detenuti sottoposti a regime di 41 bis hanno diritto unirsi al dolore familiare, in caso di lutti, risolvendosi la sua espressa volontà di pregare sulla tomba di un congiunto, giacchè fatto idoneo a umanizzare la pena in espiazione e a contribuire alla sua funzione rieducativa>>.
Cogliamo l’occasione per ringraziare pubblicamente i Garanti nazionali che a pochissimo tempo dall’insediamento hanno iniziato il loro difficile lavoro, proprio in Calabria accogliendo anche le nostre segnalazioni e richieste, sperando che si riesca ad intervenire concretamente affinché scontare la pena in Calabria non debba rappresentare una pena accessoria ulteriore.
Associazione Yairaiha Onlus
Detenuto del carcere di Siano si deve laureare e il Magistrato di Sorveglianza rigetta richiesta
Da
alcuni giorni Claudio C. detenuto presso il carcere di Siano è entrato in
sciopero della fame per far valere le proprie ragioni contro il rigetto del
magistrato di sorveglianza della richiesta formulata dallo stesso per poter
discutere la tesi di laurea in giurisprudenza presso l'Università Magna Grecia
il prossimo 21 aprile.
Ora
ci chiediamo come è possibile che un uomo che sta scontando la propria pena per
reati commessi quasi trent'anni fa cercando di far proprio il dettato
costituzionale del carattere rieducativo del carcere con un percorso
riabilitativo confermato ed elogiato da tutto il personale penitenziario, dal
Vescovo (che dovrebbe presenziare alla seduta di laurea) e dallo stesso
Tribunale di Sorveglianza di Catanzaro in altra ordinanza, debba vedersi
rigettata la richiesta di poter discutere la propria tesi laurea che, se si
considerano le scarse opportunità di attività effettivamente risocializzanti e
rieducative inframurarie, rappresenta sicuramente uno dei traguardi più alti
che un detenuto può raggiungere durante la propria carcerazione sotto il
profilo rieducativo.
Tanto
più che il rigetto dell'istanza non si basa su relazioni negative degli organi
di polizia o dell'area educativa ma
viene formulato da quella magistratura di sorveglianza che da mandato dovrebbe
“vigilare sull’esecuzione della pena nel
rispetto dei diritti dei detenuti esaminando periodicamente il protrarsi della
pretesa punitiva (sentenza n. 204/74 della
Corte Costituzionale) dove si riconosce l'attività della magistratura di
sorveglianza ponendo il principio basilare secondo cui la magistratura di
sorveglianza non compie altro che il riesame del protrarsi della pretesa
punitiva. In questa sentenza troviamo l'affermazione di un principio, costruito
come diritto soggettivo del condannato a vedere riesaminare, durante la
esecuzione della pena, nei tempi e modi stabiliti dalla legge ordinaria, se la
parte di pena espiata abbia già assolto positivamente o meno al suo fine
rieducativo. Nella sentenza costituzionale si costruisce, in modo esplicito, il
rapporto esecutivo penale come quello in cui lo stato afferma la sua pretesa
punitiva e il condannato ha però il diritto soggettivo che si è descritto,
nato, come la sentenza chiarisce, dall'obbligo tassativo, per il legislatore, di
tenere non solo presenti "le finalità rieducative della pena ma,
soprattutto, di predisporre tutti i mezzi idonei a realizzarle e le forme atte
a garantirle".
Sebbene
il Magistrato di Sorveglianza disponga di ampia discrezionalità, come ha più
volte sottolineato Alessandro Margara, ex Presidente del Tribunale di
Sorveglianza di Firenze e tra i maggiori esperti della realtà penitenziaria
italiana, <<le decisioni non
possono basarsi solo su dati aritmetici come pena inflitta, pena espiata e
altri dati rigidi perchè verrebbe meno il fine stesso della sua attività che è
quello di seguire i percorsi individuali e dare risposte agli stessi>>.
E ancora <<Le ragioni sostanziali che si affiancano a quelle di
legittimità costituzionale si trovano nelle maggiori garanzie di difesa degli
interessati e di oggettività e indipendenza che l'intervento giudiziario
assicura. E' vero che anche il magistrato di sorveglianza è
"coinvolto" nella gestione delle esecuzioni penali che esamina e
decide, ma questo "coinvolgimento" deve essere sempre visto come
gestione dei mezzi per il raggiungimento del fine riabilitativo della pena,
cioè un coinvolgimento strettamente necessario alla funzione. Inoltre le
caratteristiche di giudiziarietà e di giurisdizionalità della sua attività garantiscono
un tasso di oggettività maggiore di quello che può essere proprio degli
organismi penitenziari.
Tra il giudizio in sede di cognizione e quello in sede di
esecuzione della pena sussiste una differenza significativa, rappresentata
dall'oggetto, che è, nella cognizione, un fatto e il rapporto con quel fatto di
una persona e in caso affermativo l' inflizione di una pena, mentre, nella
esecuzione, l'oggetto è la situazione di quella persona, prima e dopo i fatti
per i quali è stata condannata, e la evoluzione del suo percorso penitenziario
ed esistenziale. Margara connota la valutazione compiuta dal magistrato di
sorveglianza nell'ambito della soggettività perché devia da una verifica
oggettiva dei fatti, concentrandosi sulla persona e sul suo percorso.>>
Nel
processo di sorveglianza la componente
principale è rappresentata dal risultato del lavoro degli operatori
penitenziari e dalle informazioni rese da organi esterni al carcere, come
organi di polizia e servizi, pubblici o privati, del territorio.
Sull'esercizio
della discrezionalità di ciascun magistrato di sorveglianza esplicano efficacia
anche le "idee" e i "sentimenti". Per evitare il rischio di
un condizionamento ideologico è importante, come sottolinea Alessandro Margara,
rimanere fedeli alle "idee della legge".
L'esecuzione
della pena deve essere, secondo il precetto costituzionale dell'art. 27, lo
strumento della risocializzazione di tali persone dopo il reato e la condanna.
Essa deve, quindi, servire ai condannati per esprimersi come persone libere e
riassorbire le diversità rispetto agli altri, diversità che in tanti momenti
hanno caratterizzato la loro vita. Solo ciò, secondo questa seconda posizione,
può dare eguaglianza.
I
criteri fissati dalla legge per regolare la discrezionalità devono essere
integrati con qualcosa di ulteriore, cioè "dati e valori". Questi
"dati e valori" si desumono attraverso l'osservazione e il
trattamento penitenziario e la risposta allo stesso dell'interessato. Si
preoccupa del percorso riabilitativo del soggetto seguendone l'evoluzione e
dando le risposte a tale evoluzione. Quindi gli elementi di merito su cui
basare l'accoglimento o il respingimento di una istanza si devono basare
prevalentemente sugli elementi che emergono dalle relazioni penitenziarie,
dalle valutazioni psicologiche, dalla relazione che il magistrato stabilisce
con il detenuto seguendone il percorso riabilitativo.
Abbiamo
richiamato alcuni dei principi fondanti della magistratura di sorveglianza
perchè non riusciamo a capire la motivazione posta a base del rigetto.
Tecnicamente non la discutiamo ma senz'altro il provvedimento richiamato non
tiene conto del percorso di Claudio che è esemplare in quanto, dopo ben 27 anni
di carcere, raggiungere un obiettivo importante (che ha presupposto anni e anni
di studi e sacrifici, specialmente se si considerano le condizioni di per se
limitanti e mortificanti di un percorso accademico condotto in carcere) quale
la laurea, essere mortificato da un rigetto dell'organo che dovrebbe favorire e
valutare positivamente tali percorsi va a vanificare non solo gli sforzi
personali ma anche e soprattutto il dettato costituzionale dell'ormai quasi
dimenticato art. 27 che stabilisce il recupero del condannato e un trattamento
non contrario al senso di umanità. Questo rigetto porta Claudio il
detenuto/laureando, ad iniziare uno sciopero della fame totale per denunciare
l'insensibilità e per chiedere anche all'opinione pubblica che senso ha avuto
seguire i percorsi “rieducativi” in carcere per 27 anni se poi non si ha la
possibilità di vedere concretizzati i propri sforzi? Tra le motivazioni del
rigetto leggiamo che “tale evento (la laurea) non investe direttamente i
familiari del detenuto, ma è un fatto che riguarda esclusivamente la vita del
detenuto medesimo” rinnegando anche un'altra delle funzioni della
magistratura di sorveglianza che è quella di favorire la risocializzazione e il
mantenimento delle relazioni con i propri affetti.
Riteniamo
tale rigetto un grave pregiudizio nei confronti di Claudio che in altri luoghi
non si sarebbe verificato perché esiste tutta una letteratura in merito alla
concessione di permessi di necessità anche agli ergastolani c.d. “ostativi” per
non pregiudicare completamente la possibilità dei percorsi trattamentali.
Questo rigetto conferma che la dignità della persona e l'umanizzazione della
pena non dipendono dalle leggi o dal percorso di ravvedimento del reo, ma dal
luogo e dal tempo in cui il detenuto si trova ad espiare la condanna.
Associazione
Yairaiha Onlus
LETTERA DALL'INFERNO DEL CARCERE DI MASSAMA
Dopo decine di richieste rimaste inascoltate da parte dell'amministrazione penitenziaria i detenuti del carcere di Massama, da giorni in agitazione, scrivono una lettera aperta agli organi competenti per avere riconosciuti i propri diritti.
-----------
I detenuti sottoscrittori del presente documento, ristretti nelle sezioni AS1-AS3 del carcere di Massama-Oristano, a seguito delle richieste avanzate al Direttore negli ultimi sei mesi, ricche di buone aspettative e propositi al fine di migliorare la vivibilità interna di detenzione, purtroppo ancora oggi non si hanno avuto risposte, ma addirittura si è registrato via via un peggioramento della situazione.
A causa dell’assenza permanente del Direttore e della mancanza di autorevolezza decisionale e concreta del Commissario e Vicecommissario, tutte queste circostanze che si sono venute a creare aggravano la vivibilità interna della sezione detentiva, così da costringerci a ricorrere in questa protesta pacifica iniziale, consistente nello sciopero del vitto dell’amministrazione iniziata il 5 marzo e che continuerà con questo tenore per tutto il mese corrente nell’attesa di avere risposte su ciò che abbiamo fatto presente alla Direzione.
Con l’entrata del nuovo mese di aprile la protesta sarà integrata con lo sciopero, astenendoci dall’acquisto spesa del sopravvitto e con la sospensione delle attività lavorative prestate dai detenuti.
Si procederà anche alla battitura delle inferriate per tre volte al giorno, riservandoci ulteriori iniziative di protesta qualora non ci giungessero ai problemi che di seguito esponiamo:
Blocco del flusso dei detenuti in arrivo:
La capienza totale del carcere di Massama è di 246 posti letto. Ogni sezione è composta di 21 celle detentive di cui una è adibita per detenuto disabile ed un’altra è stata convertita in saletta hobby. Ogni cella detentiva può ospitare al massimo due persone detenute secondo i parametri progettuali e rispondenti alle normative della CEDU. La Direzione in modo fraudolento ed illecito ha posto una terza branda per ospitarvi il terzo detenuto.
Continuità di trattamento:
Viene escluso il trattamento delle carceri di provenienza perché il Direttore ha una visione restrittiva e punitiva ancorata ad una mentalità ottocentesca, quando ancora non esisteva l’art.27 della Costituzione. Inoltre si verifica che quando si riunisce il G.O.T. il Direttore (senza conoscere e mai visto il detenuto) ed il Commissario, a prescindere dall’equipe trattamentale, esprimono sempre parere negativo.
Colloqui familiari:
gli orari dei colloqui visivi con i familiari sono regolamentati in alcuni giorni dalle ore 8.15 alle ore 13.15 e in altri dalle ore 13.15 alle ore 17.15. In questo modo viene impedito di poter consumare sei ore di colloquio visivo con i familiari in un’unica soluzione e nella stessa giornata.
Per garantire la fruizione delle sei ore di colloquio continuato, sarebbe opportuno integrare in alcuni giorni della settimana l’orario dalle ore 8.00 alle ore 16.00 senza interruzione. Questo perché il 90% dei detenuti ivi ristretti provengono dalle regioni Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, oltre ad un’esigua percentuale di stranieri. E’ da tenere presente che la frequenza dei colloqui visivi hanno cadenza molto dilatata nel tempo, ogni tre mesi i più fortunati. I familiari per organizzare il viaggio del colloquio devono sostenere un esborso economico non indifferente, ecco perché è opportuno offrire la possibilità di consumare le sei ore di colloquio visivo con i familiari nella stessa giornata, evitando il pernottamento per il giorno seguente, con ulteriore aggravio di spesa economica a carico dei familiari.
Un altro aspetto che riguarda il colloquio visivo con i familiari è attinente l’ingresso della quarta persona-familiare. Cioè, nel caso in cui si presentano quattro familiari all’ingresso, possono entrare soltanto tre e non è permesso lo scambio durante il colloquio facendo entrare il quarto familiare.
Telefonate familiari.
Anche in questo caso si registra una regressione trattamentale, in quanto chi proviene da altri istituti ed usufruiva di una telefonata settimanale, qui si è ritrovato con quattro mensili e chi ne aveva quattro mensili si è ritrovato con due mensili. Per recuperare la quinta telefonata mensile e chi le due telefonate mensili si è obbligati ad inoltrare apposita richiesta con modalità straordinaria alla discrezionalità del Direttore, che a volte concede ed altre no, anche in questo caso si subisce una regressione del diritto acquisito.
Stampante e computer.
I detenuti autorizzati all’uso e alla detenzione del pc in cella, qualora hanno necessità di stampare i file e le ricerche prodotte nei loro pc devono rivolgersi ad un ispettore della Polizia Penitenziaria preposto alle operazioni di stampa, il quale non è sempre disponibile, a causa dell’eccessivo carico di lavoro, in tempi accettabili.
Teniamo conto che a volte per una stampa trascorre anche una settimana, nelle migliori delle ipotesi, al fine di evitare questo disservizio che provoca inevitabilmente nervosismo e ritardo nei lavori che prepara e produce il detenuto, si è proposto più volte alla Direzione e all’Ufficio Comando di sistemare in un apposito locale della sezione detentiva una stampante messa a disposizione dall’Amministrazione Penitenziaria o in alternativa di autorizzare l’uso della stampante personale di cui il detenuto è già in possesso e depositata in magazzino. Per di più vi è un altro particolare che incide pesantemente sulle spese economiche del detenuto ossia: ogni foglio stampato dall’Amministrazione ci costa 0, 26 centesimi, quindi mille fogli costano 260,00 euro, mentre con la stampante personale la stampa di mille fogli verrebbe a costare circa 60.00, è evidente il risparmio non trascurabile a favore del detenuto oltre all’abbattimento dei tempi di attesa per la stampa documentale.
Viene anche impedita la facoltà del detenuto di effettuare fotocopie di documenti, ordinanze e sentenze di carattere generale e nazionale, utili come giurisprudenza e a sostegno della propria difesa. Addirittura subiamo un’indebita forma di censura illegale da parte della Direzione violando il diritto alla difesa perché sono documenti e atti in libera circolazione e quindi di dominio pubblico.
Comunicazione domandine.
Quando inoltriamo richieste attraverso il mod. 393 Amm. Pen. (la classica domandina) o istanze rivolte alla Direzione, non riceviamo nessuna comunicazione sia nel senso positivo che in quello negativo.
Nel caso in cui chiediamo copia della motivazione del rigetto delle domandine o delle istanze non ci vengono prodotte. La risposta la si ottiene solo ed esclusivamente tramite l’agente di sezione su nostra esplicita richiesta e dopo aver insistito per più volte e più giorni. Inoltre molte domandine che si avanzano si disperdono.
Colloqui con le nuove tecnologie.
Ai sensi della Circolare Ministeriale del 2 novembre 2015 n. 0366755, concernente i colloqui tramite internet e via Skype, si sollecita la Direzione di approntare le postazioni telematiche facilitando così l’effettuazione dei colloqui con i familiari per tutti coloro che sono lontani dal luogo di residenza dei familiari.
Ricezione pacchi.
Si sollecita l’intervento per garantire la consegna dei pacchi postali inviati dai familiari che, nonostante siano spediti con il servizio celere 1 e celere 3, ci vengono consegnati anche dopo 15 giorni e non si comprendono le ragioni di tali ritardi.
Fruizione palestra.
Attivazione della sala palestra del carcere in modo da consentire ai detenuti di accedervi e svolgere normalmente le attività fisiche.
Si chiede di autorizzare l’accesso in Istituto delle associazioni di volontariato per iniziative sociali, teatrali e scolastiche.
Mancanza di visite ispettive del Magistrato di Sorveglianza.
Il Magistrato di Sorveglianza non concede udienze ai detenuti e nemmeno opera le periodiche visite ispettive nel carcere per tutelare le garanzie del detenuto.
Non viene consegnata regolarmente la posta in arrivo, ma ogni due o tre giorni e quella destinata ai familiari parte in ritardo e spesso non arriva a destinazione. Poiché siamo lontani dai familiari, l’unico contatto affettivo è rappresentato dalla corrispondenza, per questo è importante prestare più attenzione e cura su questo punto.
Rivolgiamo il presente documento alle V.V.S.S. per portarvi a conoscenza della situazione in cui viviamo e di cui lamentiamo i giusti interventi risolutivi per permettere una migliore e accettabile vivibilità.
Allo stesso tempo vi investiamo secondo le rispettive competenze affinché ognuno intervenga per la risoluzione dei problemi sopra elencati.
Distinti saluti.
Con osservanza,
Sezione A.S.1
Laudani Giuseppe, Salerno Pietro, Fontanella Catello, Serino Matteo, Ercolano Aldo, Pulvirenti Salvatore,Savino Carmine,Coppola Giuseppe,Sarno Costantino,Zara Alfredo,Palmeri Paolo,Martino Vito,Chindano Antonio,Perna Francesco,De Feo Pasquale,Anastasi Aniello,Casano Salvatore,Messina Salvatore,Trigila Giuseppe,Lombardi Giovanni,De Michele Fabio,Marchese Giuseppe,Sesta Filippo,Ganci Stefano,Nastasi Antonio,Papalia Domenico, Zavattieri Annunziato, Randone Raffaele,Fiandaca Salvatore,Abbruzzese Armando,Pepe Damiano,Di Giacomo Giovanni,Calasso Antonio,Torino Luigi,Rannesi Girolamo
Reparto A.S.3 sezione 1°B
Gligora Francesco,Batzella Niveo,Iannaco Antonio, Barbato Francesco, Benedetti Renzo, Emanuele Italiano, Brunno Sebastiano, Marino Antonino, Alonio Paolo, Platania Giuseppe, Palumbo Antonio, Bruni Gianfranco, Vallone Francesco, Pistillo Francesco, Amore Arturo, Antonuccio Giuseppe A., Parisi Domenico, Scivoli Vincenzo, Andretti Salvatore, Tedesco Gennaro, Solazzo Nicola, Montani Vincenzo, Esposito Umberto, De Marino Ciro, Zarrillo Pasquale, Pugliese Giovanni, Giuseppe Medici, Bruzzaniti Leone, De Tranz Oronzo, Montefrancesco Giovanni,
Altamura Raffaele, Trimboli Rocco, Russo Domenico, Marcianò Alessandro, Strangio Francesco, Nesci Bruno,
Di Mauro Michele, Rossi…(nome illeggibile), Annis Fabrizio, Giordano Gaetano, Tula Francesco, Manalari Vincenzo.
Reparto A.S.3 Sezione 2°B
Garau Renato, Tafani Petrit, Luam Kubazecaj, Di Martino Giorgio, Devita Francesco, Tilia Carmelo, Aprile Natale,
Costa Francesco, Cuscinà Francesco, Rama Juma, Antonio Faedda, Manca Giovanni Maria, D’Agostino Antonio,
Pandolfi Giuseppe, De Maio Sabino, Rizzo Massimo,Borzi Gaetano, Bruno Andrea, Bosco Antonino, C………Cataldo (nome illeggibile), Ladu Marcello, Leo Gaetano, Crisafulli Francesco, Basile Salvatore, Bocaldo Giuseppe, Orlando Pasquale, Ferlenda Rocco, Varcese Massimo, Riccardi Giuseppe, Porcì Domenico (nome poco chiaro), Federico Dario, Pesacane Giuseppe, Morelli Giuseppe, Cioffi Catello, Acciarino Pasquale, Fezza Luigi, Nome illeggibile,
Hiari Jlli, Bejo Dine, Cavallo Antonino, Fichera Massimo, Musumeci Daniele, Crisafulli Francesco, Roncaldo Giuseppe, Basile Salvatore, Bayrar Jsmail
Reparto A.S.3 Sezione 1°A
Crisafulli Mario, Triscari Antonino, Rapisarda Giovanni, Cagnetti Claudio, Privitera Carmelo, Gioffrè Vincenzo, Trudu Mario, Franco Giovanni, Volonnino Angelo, Di Matteo Francesco, Maglia Salvatore, Bontempo S.Rosario, Ilir Kosiu,
Liu Hua Yi, Hu Xi Pian, Sansone Catello, Salvatore Francesco, Falcone Pietro, Esposito Emilio, Cataldo Domenico,
……….Felice (nome illeggibile), Zarnoun Abdelhadi, Boumediane Mohamed, Di Gaetano Antonio, Capone Emilio,
Rimmaudo Giovanni, Greco Emanuele, Picceri Orazio, Attanasio Salvatore, Di Salvatore Aniello, Medda Massimiliano. Nadjimi Hassan, Ciriello Antonio, Ciriello Vincenzo, Antonucci Esterino, Ibba Leonardo, Filippelli Nicodemo, Crivaro Francesco, Troiano Eduardo, Zucaro Diego, Laraspata Cosimo, Diomede Nicola, Iamonte Antonino, Monteleone Vincenzo, Narduzzi Paolo, Zitello Roberto, Marchi Filippo
Reparto A.S.3 sezione 2°A
De Filippis Pasquale, Guercia Salvatore, Borrelli Emanuele, Covone Antonio, Biascolena Francesco, Moccia Salvatore, D’Amato Giuseppe, Baldino Salvatore, …Michele (nome illeggibile), Russo Gennaro, Miceli Salvatore,
Bufalini Ignazio, Di Gregorio Gioacchino, Arcobelli Guglielmo, De Falco… (nome poco chiaro), Andrianò Albano, Rò Giovanni Vincenzo, Aspri Benedetto, ……………….Ciro (nome illeggibile), Afelba Carmine (nome poco chiaro), Ariosto Nunzio, Jorio Ciro, Di Gennaro Josuè, Amato Giacomo Salvatore, Errante Raffaele, Bianco Pasqualino, Cava Bernardo, Seidina Fausto (nome poco chiaro), Formisano Daniele, Provenzano Giuseppe, Barba Francesco,
Valle Fortunato, Xu En Yi, Sciacca Vincenzo, S………..Alfredo (nome illeggibile), Madino Mario, Sammaritano Nunzio,
Paoletti Franco,Nicosia Antonio, Lentini Nicola,Barca Francesco, Pardo Calogero, Pepi Salvatore, Esposito Antonio,
Avallone Vittorio
ANCORA MALASANITA' NEL CARCERE DI SIANO
“Se errare è umano, perseverare è diabolico” diceva un
vecchio adagio. E così che a distanza di 22 giorni dalla morte del signor
Michele Rotella siamo costretti a dover denunciare l’ennesimo caso di
malasanità carceraria, disumanità e violazioni dei diritti umani nel carcere di
Siano. In una lunga lettera la signora Marta racconta le storia di suo marito
Antonio, 57 anni, detenuto ininterrottamente da 11 anni a Catanzaro. Da oltre 7
mesi accusava forti dolori all’addome e alla schiena, viene visitato dai medici
del carcere e viene liquidito con pasticche e lavaggi antidolorifici ma senza
una vera e propria diagnosi. Questa terapia, nonostante l’acuirsi dei dolori
diventati ormai ininterrotti, è proseguita fino ad un mese fa fino a quando,
quindi, non è intervenuta la famiglia che ha “suggerito” ai medici carcerari
una gastroscopia. Purtroppo, visti i tempi biblici della sanità pubblica, la sua famiglia è stata costretta a prenotare
in una struttura privata l’esame
diagnostico. L’esito è negativo, ma nonostante questo le condizioni continuano
a peggiorare. Dopo 15 giorni sviene in carcere, completamente giallo in faccia
e, solo grazie alla rivolta degli altri detenuti viene portato in ospedale dove
lo ricoverano per sospetto tumore al pancreas, da Catanzaro ne dispongono il
trasferimento a Reggio Calabria per carenza di posti. Per i medici del carcere
non era necessario. I familiari vengono avvisati del ricovero solo al colloquio
mensile. “una volta arrivati a Reggio
troviamo un uomo malato, rinchiuso in una cella e abbandonato a se stesso”,
senza assistenza alcuna perché il personale è limitato”. La richiesta di
poterlo assistere viene rigirata dal Magistrato di Sorveglianza alla direzione
penitenziaria e quest’ultima concede altre tre ore extra oltre alle 4 ordinarie
di colloquio. Ma le condizioni del sig. Antonio peggiorano e proprio oggi i
medici confermano il tumore al pancreas, con la compromissione delle vie
biliari del fegato e con diverse metastasi. Non c’è più nulla da fare. È
terminale. La signora Marta sta aspettando che la magistratura di sorveglianza
disponga la scarcerazioneper farlo morire a casa.
Oltre a tutte le violazioni dei diritti umani,
dell’ordinamento penitenziario e della costituzione che si vedranno in seguito
e in opportuna sede, l’aspetto più aberrante e disumano di questa storia e che,
nonostante sia terminale non viene
permesso ai familiari, alla moglie in particolare di assistere il marito in
questa lenta e disumana agonia.
Adesso magari il direttore generale dell’asp di Catanzaro
uscirà pubblicamente con la difesa d’ufficio dell’area sanitaria di Siano, la
direttrice magari dichiarerà che il sig. Antonio sta andando a morire a casa
sua e che quindi non si può parlare di morti in carcere, probabilmente nei
piani alti troveranno le giustificazioni più astruse per autoassolvere un
sistema di per sé violento e fuorilegge, che oltre alla libertà ti nega la
possibilità di curarti prima e di morire umanamente poi.
Ricordiamo a lor signori che anche i condannati a morte
hanno diritto ad esprimere l’ultimo desiderio, pertanto chiediamo
pubblicamente, a tutti quanti di competenza,
che la signora Marta possa assistere il marito in attesa che venga
disposta la scarcerazione. E che il ministero della saluta disponga
immediatamente un’ispezione nel Carcere di Siano. Un morto e un malato
terminale in 10 giorni sono veramente troppi.
Associazione Yairaiha Onlus
- Al Presidente della Repubblica
Sergio Mattarella
- al Ministro della Giustizia
Andrea Orlando
- al Ministro della Salute
Beatrice Lorenzin
- al Provveditore dell'Amministrazione Penitenziaria – Calabria
Salvatore Acerra
- alla Direttrice della C.C. Di Catanzaro
Angela Paravati
- al Presidente del Tribunale di Sorveglianza
Catanzaro
- al Garante per i diritti dei detenuti
Mauro Palma
All’on. Federica Dieni
All’on. Luigi Manconi
All’on. Eleonora Forenza
Oggetto: Richiesta per la signora Marta Puca moglie del signor Antonio Verde detenuto presso la casa circondariale di Catanzaro, ed attualmente ricoverato presso gli ospedali riuniti di Reggio Calabria con una diagnosi di tumore al pancreas e varie metastasi allo stadio terminale
Premesso che il signor Antonio Verde, 57 anni è detenuto ininterrottamente da 11 anni a Catanzaro e che da oltre 7 mesi accusava forti dolori all’addome e alla schiena, è stato visitato dai medici del carcere ed ogni volta è stato liquidato con pasticche e lavaggi antidolorifici ma senza una vera e propria diagnosi. Questa terapia, nonostante l’acuirsi dei dolori diventati ormai persistenti, è proseguita fino ad un mese fa fino a quando, quindi, non è intervenuta la famiglia che ha “suggerito” ai medici carcerari una gastroscopia. Purtroppo, visti i tempi biblici della sanità pubblica, la sua famiglia è stata costretta a prenotare in una struttura privata l’esame diagnostico. L’esito è negativo, ma nonostante questo le condizioni continuano a peggiorare. Dopo 15 giorni sviene in carcere, completamente giallo in faccia e, solo grazie alle proteste degli altri detenuti viene portato in ospedale dove lo ricoverano per sospetto tumore al pancreas. Dall’ospedale di Catanzaro viene dispongono il trasferimento a Reggio Calabria per carenza di posti. Per i medici del carcere non era necessario. I familiari vengono avvisati del ricovero solo al colloquio mensile. La signora Puca ci scrive che “una volta arrivati a Reggio troviamo un uomo malato, rinchiuso in una cella e abbandonato a se stesso”, senza assistenza alcuna perché il personale è limitato”. La richiesta di poterlo assistere viene rigirata dal Magistrato di Sorveglianza alla direzione penitenziaria e quest’ultima concede altre tre ore extra oltre alle 4 ordinarie di colloquio. Ma le condizioni del sig. Antonio sono peggiorate e proprio oggi i medici hanno confermato che si tratta di tumore al pancreas, con la compromissione delle vie biliari del fegato e con diverse metastasi. Non operabile, non curabile, è terminale. Sicuramente 7 mesi fa avrebbero potuto tentare di curarlo ma oggi, purtroppo, non più.
La signora Marta Puca, in attesa che la magistratura di sorveglianza disponga l’eventuale scarcerazione, richiesta dalla direzione sanitaria di Reggio perché non c’è più niente da fare per salvarlo, chiede di poter assistere il proprio congiunto presso l’ospedale di Reggio Calabria.
Contestualmente, visti e considerati ben due casi, a brevissima distanza l’uno dall’altro, di evidente malfunzionamento e superficialità dell’area sanitaria del carcere di Siano, non ritengono le SS.LL. quantomeno opportuna una ispezione congiunta dei Ministeri di salute e giustizia al fine di appurare mancanze e tutelare la salute della popolazione detenuta?
Cordiali saluti
Cosenza, 18 marzo 2016
Associazione Yairaiha Onlus
PREVENIRE E' MEGLIO CHE CURARE
Apprendiamo dall'ansa che l'ASP di Catanzaro smentisce il rischio epidemia all'interno della casa circondariale di Catanzaro e che l'area sanitaria della stessa “continuerà a vigilare con particolare attenzione, come ha sempre fatto, per tutelare il diritto alla salute dei cittadini detenuti”. Sarà sicuramente vero che al momento non si è registrato nessun altro episodio ma non capiamo come si possa escludere il pericolo di un'epidemia o comunque di contagio, visto e considerato che
a) non si conosce neanche il tempo medio di incubazione del batterio del clostridium difficile;
b) le spore del batterio sono altamente resistenti ai comuni disinfettanti e sono sempre più frequenti i casi di epidemie e contagio nelle strutture comunitarie (come attestano diverse fonti scientifiche, mediche ed i nostri consulenti sanitari);
c) il sig. Rotella, (stando alla testimonianza del figlio e dell'Avv, Favazzo, stava già male quando è stato trasferito dal carcere messinese a quello catanzarese) durante l'ultimo colloquio con i familiari avvenuto il 20 febbraio scorso (quindi 6 giorni prima della morte), versava già in uno stato di debilitazione avanzata ed aveva difficoltà a stare in piedi. É rimasto in queste condizioni, con cure sommarie per un'altra settimana fino a quando non è stato portato in ospedale a seguito delle “sollecitazioni” fatte dagli altri detenuti al personale penitenziario. Troppo tardi però, ormai non c'era più niente da fare, infatti è morto nel giro di poche ore.
Ne deduciamo quindi che se l'area sanitaria del carcere avesse valutato con la dovuta scrupolosità e attenzione le condizioni del sig. Rotella e fosse stato portato in ospedale per tempo debito probabilmente sarebbe ancora vivo. Inoltre, stando alle fonti mediche circa la pericolosità del clostridium difficile, nell'interesse e nella tutela dei detenuti, dei familiari, del personale e di quanti ogni giorno sono a contatto con i detenuti, vorremmo capire, pertanto, quali sono le misure di prevenzione messe in atto. Riteniamo, pertanto, che questa delicata e grave situazione non possa e non debba essere liquidata con una semplice nota in cui viene data qualche rassicurazione ma debbono essere poste in essere tutte le misure necessarie onde evitare che i rischi insiti nel clostridium difficile si diffondano. E non per lanciare allarmi “eccessivi” ma solo per scongiurare il pericolo di un'epidemia. Confidiamo molto nell'attenzione che l'on. Dieni e l'eurodeputata Eleonora Forenza, assieme al Garante nazionale dei diritti dei detenuti, Prof. Mauro Palma, stanno riservando al caso per far si che i diritti delle persone detenute vengano effettivamente tutelati. Non vorremmo, domani, dover scrivere di un altro sig. Michele Rotella, di anni 75, morto per malasanità carceraria. Prevenire è meglio che curare.
Associazione Yairaiha Onlus
Associazione Fuori dall'ombra
PER L'ASP DI CATANZARO NESSUN RISCHIO EPIDEMIA
Carcere di Catanzaro. L' Asp
smentisce epidemia.
Necessario sorvegliare e
intervenire
ASP) – Catanzaro, 4 marzo 2016 - In riferimento alle
notizie apparse su alcuni mezzi di informazione, riferite a una presunta
epidemia nella Casa Circondariale “Ugo Caridi” di Catanzaro, interviene il
Direttore generale dell’ASP di Catanzaro, dott. Giuseppe Perri, che precisa
quanto segue:
“L’allarme lanciato dall’associazione Yairaiha Onlus è certamente eccessivo.
Nella Casa Circondariale “Ugo Caridi” di Catanzaro non è, infatti, in atto
alcuna epidemia. La morte del paziente, per “arresto cardiocircolatorio e shock
settico da Clostridium difficile”, avvenuta dopo il ricovero nell’ospedale
“Pugliese”, non ha provocato nessuna preoccupazione all’interno della Casa
Circondariale, non essendosi verificata tra gli attuali ospiti alcuna
condizione clinica che faccia pensare ad una diffusione dell’infezione. Il caso
rimane pertanto isolato. Pur tuttavia l’Azienda Sanitaria Provinciale di
Catanzaro nel momento in cui è venuta a conoscenza del decesso, ha subito
attivato tutte le misure preventive che i casi del genere richiedono,
attraverso il nostro Dipartimento di Prevenzione.
L’area sanitaria della Casa Circondariale, comunque, continuerà a vigilare con
particolare attenzione, così come ha sempre fatto, per garantire la tutela
della salute dei detenuti.”
MORTE MICHELE ROTELLA A SIANO: LETTERA APERTA ALLE ISTITUZIONI SUL RISCHIO EPIDEMIA DA Clostridium Difficile
- Al Presidente della Repubblica
Sergio
Mattarella
- al Ministro della Giustizia
Andrea
Orlando
- al Ministro della Salute
Beatrice
Lorenzin
- al Provveditore
dell'Amministrazione Penitenziaria – Calabria
Salvatore
Acerra
- alla Direttrice della C.C. Di
Catanzaro
Angela
Paravati
- al Garante per i diritti dei
detenuti
Mauro Palma
Oggetto: prevenzione rischio epidemia “Clostridium
Difficile” nella Casa Circondariale di Siano a seguito della morte del sig.
Michele Rotella
A seguito della morte del sig. Michele Rotella, avvenuta
presso l'ospedale di Catanzaro dove è stato trasportato d'urgenza la sera del
27 febbraio dal carcere di Siano dove si trovava ristretto da alcune settimane,
in qualità di Associazione per i diritti dei detenuti, siamo molto preoccupati
del possibile rischio di epidemia che potrebbe verificarsi all'interno della
struttura detentiva di Siano. Detta preoccupazione trova ragione nella
patologia che pare abbia portato al decesso improvviso del detenuto in oggetto.
Negli ultimi giorni il sig. Rotella accusava i malori tipici delle enteriti ma,
evidentemente, è stata sottovalutata la gravità del problema. Dai primi
accertamenti effettuati nel nosocomio catanzarese, risulta essere deceduto per clostridium difficilis, un batterio purtroppo
molto pericoloso e resistente che, stando alle fonti mediche consultate, negli
ultimi anni sta registrando “un
aumento della frequenza, oltre che della gravità, delle Infezioni da
Clostridium Difficile (ICD o CDI, Clostridium Difficile Infections, o CDAD,
Clostridium Difficile Associated Disease) sia in ambiente intra- che
extra-ospedaliero, associate ad una elevata probabilità di recidiva dopo il
trattamento. Le cause dell’incremento di incidenza e di severità delle CDI non
sono del tutto chiare e sono tuttora oggetto di analisi.
Si tratta di un batterio, gram-positivo,
anaerobio e sporigeno (ovvero capace di sporulare, di generare spore). Le spore
sono dotate di una membrana particolarmente resistente, sia alle escursioni
termiche che all'attacco chimico dei comuni disinfettanti.”
Le diverse fonti mediche consultate invitano
a non trascurare assolutamente questo batterio ed il potenziale epidemologico
che esprime soprattutto in ambiti comunitari e il carcere è assolutamente un
ambiente comunitario.
Considerato che la persona infetta è la fonte
primaria di veicolazione del batterio e che l'ambiente la fonte secondaria,
onde evitare il pericolo concreto di una epidemia di CD
CHIEDIAMO
che venga effettuato uno screening di tutta
la popolazione detenuta e che, contestualmente, venga effettuata opportuna
disinfestazione della struttura carceraria di Siano al fine di tutelare la
salute dei detenuti ristretti e del personale operante.
Certi
che la presente richiesta troverà la giusta attenzione vogliate gradire i
nostri più cordiali saluti
Cosenza,
29 febbraio 2016
Associazione
Yairaiha Onlus
Associazione Fuori dall'Ombra
http://www.medicitalia.it/minforma/gastroenterologia-e-endoscopia-digestiva/1884-clostridium-diarrea-colite-antibiotici-pseudomembranosa-facciamo-punto.html?refresh_ce
http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=24717
I SUBSONICA A SOSTEGNO DELLE LOTTE SOCIALI
I SUBSONICA A SOSTEGNO DELLE LOTTE SOCIALI
Poter contare sulla collaborazione e sul sostegno di un gruppo musicale per una associazione che si occupa di tematiche difficili come la nostra è un vantaggio di non poco conto. Negli anni passati abbiamo collaborato con i 99 Posse i quali editarono "Morire tutti i giorni", contenuta nell'album "Cattivi Guagliuni", rielaborando la Ballata dell'ergastolano di Carmelo Musumeci. Oggi ripartiamo con questa data "speciale" dei Subsonica a sostegno delle lotte sociali, dai diritti dei detenuti alla lotta per la casa passando per le lotte ambientali, che l'area urbana di Cosenza esprime. Non era scontato, ma ce l'abbiamo fatta!
Trattare di carcere e diritti dei detenuti non è facile, ci si scontra quotidianamente con un sistema violento di per se, che priva migliaia di persone non solo della libertà ma anche degli affetti e della dignità umana andando contro tutti i principi che dovrebbero tutelare l'essere umano. Un sistema che è ulteriormente abbrutito dalla barbarie di uomini e donne senza scrupoli che trattano la popolazione detenuta peggio delle bestie impedendo, di fatto, anche il dettato rieducativo recitato dalla costituzione.
Quotidianamente nelle patrie galere avvengono episodi di abusi e violenze, errori di persona ed ingiuste detenzioni, privazioni ulteriori e spesso abnormi che possono portare al suicidio o alla pazzia i soggetti più fragili psicologicamente ma solo raramente sussistono o si creano le condizioni per creare "Il caso" degno di attenzione mediatica. Quello che si sta scatenando nelle ultime settimane sul "caso" Rachid o gli uleriori sviluppi sul "caso" Cucchi sono eccezioni che confermano le "regole" non scritte, ma vigenti, nel sistema carcerario. Gli ostacoli da superare sono molteplici primo fra tutti la censura a cui spesso viene sottoposta la corrispondenza (anche se non riferita a detenuti con limitazioni), la scarsità della figura del garante dei diritti in tutte le regioni e la limitatezza dei poteri di controllo, la paura di punizioni ulteriori per i detenuti che decidono di mettersi in gioco e denunciano gli abusi. Un sistema perverso che oltre alla pena data dai giudici costringe a subire il sadismo delle cosiddette "mele marce".
Quello che i/le volontari/ie dell'associozione fanno per i detenuti avviene spesso in sordina, anche e soprattutto per una questione di privacy, solo le lotte collettive vengono riportate e diffuse a mezzo stampa. Il concerto dei Subsonica diventa così pretesto per poter parlare di carcere, diritti negati e utopie possibili che continueremo a perseguire per un mondo senza galere ed una società di liberi ed eguali. Grazie Subsonica, grazie Auditorium Popolare. LIBERI TUTTI!
Associazione Yairaiha Onlus
"LEZIONI DI VITA CARCERARIA"
Le registrazioni fatte da Rachid ne carcere di Parma ci restituiscono la dimensione delle carceri. Un sistema fatto di abusi, violenze, torture, dis-educazione e impunità. Il volto violento di uno Stato che continua a trincerarsi dietro la maschera della legalità. Ora sta alla società libera non lasciare solo Rachid e soprattutto ripensare il sistema sanzionatorio che non può più essere nutrito dalla barbarie del carcere.
http://www.video.mediaset.it/video/iene/puntata/viviani-“lezioni-di-vita-carceraria”_589805.html
CARCERE E TORTURA
Carcere e tortura - dalla salute alla libertà negata, è stato un momento di confronto pubblico su alcuni degli aspetti più inquietanti legati all'istituzione carceraria. In particolare si è discusso delle diverse forme di vessazioni e torture che i detenuti sono costretti a subire spesso in solitudine e privi delle garanzie costituzionali. Si è discusso della mancata applicazione delle misure alternative al carcere e dei finti provvedimenti decongestionanti. Delle leggi liberticide ed emergenziali varate negli ultimi 30 anni che hanno reso l'istituzione carceraria la discarica degli esclusi dai processi economici e sociali di una società che va sempre più americanizzandosi nonchè il deterrente per annientare le lotte sociali a difesa del proprio territorio e del proprio futuro. Punire i poveri, direbbe Loic Waquant, e i non allineati, aggiungiamo noi, di fronte a quanto sta avvenendo nel sistema socio-repressivo italiano. Emerge quindi il profilo di uno Stato Penale che dispiega la terrificante macchina repressiva e che utilizza tutto quanto è in suo potere: dai media, che abilmente supportano le esigenze securitarie in nome della “legalità” al 41bis, vero e proprio strumento di tortura, nato per sconfiggere le criminalità organizzate ed il terrorismo esteso, oggi, ai militanti che difendono i propri territori dalle devastazioni capitalistiche. Assieme all'abusato concetto di legalità è emerso quello di leggittimità. Chiaramente, non sempre ciò che è considerato illegale è anche illeggittimo (un uomo che ruba per fame o spaccia per mancanza di alternative ad esempio), d'altra parte, non sempre quello che è legale (solo perchè deciso dal parlamento) è leggittimo. E' leggittimo sovrastare la volontà delle popolazioni in nome degli interessi delle lobby di potere? A nostro avviso no, mentre d'altro canto è leggettimo difendere il proprio territorio ed il proprio futuro ma viene fatto passare sia mediaticamente sia penalmente come reato. Bisogna tenere ben presente che il sistema penale protegge non tanto gli interessi e l'incolumità del Popolo quanto quelli di una o più Classi e “gruppi” sociali predominanti. Quindi il carcere diventa la discarica sociale che ben rappresenta l'iniquità di uno Stato forte con i deboli e debole con i forti.
Durante il dibattito sono state approfonditi alcuni aspetti riconducibili al concetto di tortura individuando nella mancanza di cure adeguate uno tra i fattori vessatori più ricorrenti e comuni nella totalità della popolazione ristretta. Ampio spazio è stato dato ai dispositivi del 41 e del 14 bis, all'ergastolo, la pena della morte viva -come l'ha definita il nostro Carmelo Musumeci, ergastolano ostativo. Preziose ed accorate le testimonianze di alcuni familiari che hanno avuto il coraggio e l'umiltà di descrivere le sofferenze e le vessazioni continue che sono costretti a subire: un'ora di colloquio al mese attraverso un vetro che, ogni volta, neanche sanno se faranno...i trasferimenti continui senza nessuna comunicazione..ieri era a Pianosa, domani a Viterbo e poi lo ritrovano a Spoleto, poi ancora a Novara e così via fino ad una fine che non è segnata da nessuna parte. Pacchi concessi ma riportati indietro per qualche cavillo assurdo, flessioni e perquisizioni anali anche a donne e uomini anziani, a bambini. E poi nessun orologio. Nel 41 non sono ammessi orologi, neanche a muro, quindi i 60 minuti possono finire prima...Le torture nella tortura, per anni. Un calvario. L'ergastolo. Un dispositivo che segna la fine di un uomo il giorno in cui varca le soglie del carcere . La pena della morte viva che sconfessa l'articolo 27 della costituzione ed ogni ragionevole diritto umano, quello a redimersi e a pentirsi umanamente ed interiormente e non ai sensi del 58 ter dell'ordinamento penitenziario (i benefici, altrimenti negati, in cambio della delazione scambiando con un altro la propria prigionia).
Introduzione del reato di tortura e abolizione dell'ergastolo, sono le due campagne lanciate rispettivamente dai familiari delle vittime di Stato e dagli ergastolani ostativi e supportate dagli organizzatori del dibattito assieme ad altre forze politiche e sociali, per segnare un' inversione di tendenza in un paese che dispiega l'apparato repressivo e penale per rispondere alle varie emergenze che ha creato. Non è sicuramente un passaggio rivoluzionario ma un primo passo verso un processo di depenalizzazione e decarcerazione. Probabilmente la società e lo Stato italiani non sono ancora pronti ad elaborare ed adottare teorie abolizioniste sui modelli proposti da Hulsman o dalla Davis, o sui modelli delle comunità chiapaneche -viste anche le leggi liberticide che vengono varate e l'uso massiccio della carcerazione-, ma riteniamo utile avviare una riflessione per riuscire a costruire percorsi che ci liberino della necessità del carcere nella società e, soprattutto, che ci liberino del carcere e di tutte le istituzioni totali.
CARCERE E TORTURA
| Venerdì 14 settembre h. 18.00 c/o piazza dei pesci (centro storico cosenza)
Assemblea pubblica su: CARCERE E TORTURA dalla salute alla libertà negata
ne discutiamo con:
Laura Corradi docente di genere, salute e ambiente. dip. sociologia e scienze politiche - unical Sandra Berardi - cpoa rialzo Italo Di sabato - osservatorio sulla repressione
modera Claudio Dionesalvi - giornalista |
Carcere e tortura - dalla salute alla libertà negata, vuole essere un momento di confronto pubblico su alcuni degli aspetti più inquietanti legati all'istituzione carceraria. Quello che emerge dai numeri, a cominciare dagli oltre 66.000 detenuti a finire ai morti dall'inizio dell'anno fino ad oggi, ben 109 di cui 42 suicidi, è allarmante non tanto per una mera questione di sovraffollamento quanto per l’ipertrofia penale dello stato italiano che risponde con il carcere alle ingiustizie sociali. Il ricorso massivo alla reclusione di fasce sociali sempre più larghe, l'allargamento dei comportamenti che vengono classificati e perseguiti come crimini, la mancanza di politiche riabilitative reali e la mancata applicazione delle misure alternative sono tra le cause principali della drammatica situazione carceraria. Migranti, tossicodipendenti ed esclusi che vivono ai margini della “legalità”, costituiscono la percentuale più alta dei reclusi. Reclusione fine a se stessa che ha come unico scopo quello di punire e privare decine di migliaia di uomini, donne e accidentalmente bambini, della libertà in uno Stato che considera la carcerazione quale unico sistema di risarcimento delle "vittime" per i danni subiti e quale unico deterrente per evitare la recidiva. Il carcere-discarica è il non luogo che meglio rappresenta l'iniquità di uno Stato forte con i deboli e debole con i forti. Alcune vicende, in particolare, danno la misura di una Giustizia Ingiusta e di uno Stato che si autoassolve e che diventa complice di violenze, abusi ed efferati omicidi commessi da chi, invece, dovrebbe tutelare l'inolumità pubblica e garantire pari diritti e dignità a tutti i cittadini. Almeno sulla carta. Da Carlo Giuliani a Gregorio Durante, passando per Marcello Lonzi, Stefano Chucchi, Gabriele Sandri, Federico Aldovrandi, Giuseppe Uva, Mastrogiovanni, giusto per fare qualche esempio, ci siamo trovati, impotenti di fronte torture ed omicidi di Stato rimasti impuniti, prescritti, archiviati o al massimo lievi condanne per “eccesso di difesa”. Le situazioni sono differenti: dalle piazze alle carceri, dai fermi di polizia alle caserme dei carabinieri, ma hanno in comune l'essersi ritrovati in mano allo Stato e da questi torturati e uccisi. Ed in Italia il reato di tortura non esiste creando un vulnus giuridico a danno dei cittadini che per qualsiasi motivo si possano trovare nelle mani delle forze dell'ordine. L'appello lanciato dai familiari delle vittime di Stato per l'introduzione del reato di tortura è finalizzato a fornire almeno uno strumento di difesa contro la licenza di uccidere che tacitamente viene garantita ai vari corpi di polizia. È tortura lasciare un detenuto gravemente ammalato in carcere o, peggio ancora, in 41 bis che di per se è un regime di tortura che colpisce non solo il condannato ma viene esteso anche ai familiari. È tortura lasciare un uomo a marcire in galera fino alla morte con una condanna all'ergastolo. I condannati alla pena della morte viva, condannati che non hanno nessuna possibilità di uscire dal carcere se non da morti oppure mettendo un altro al posto loro collaborando. L'ergastolo è una condanna perpetua che viola il principio costituzionale della rieducazione considerando il condannato colpevole per sempre con fine pena mai. Se non è tortura questa! La campagna per l'abolizione dell'ergastolo, lanciata da Carmelo Musumeci e sostenuta da diversi soggetti della cultura, dell'associazionismo, della politica e da tantissimi cittadini comuni, mette un tassello importante verso un processo generale di depenalizzazione e di cancellazione dello Stato penale vigente che, dall'epoca fascista ad oggi, si è andato configurando grazie alle modifiche apportate da vari governi al Codice Rocco. Modifiche che, anziché liberarci dal codice fascista, hanno avuto la capacità di comprimere ulteriormente le libertà e di inasprire il regime carcerario.
An appeal for the suspension of sentence towards old and seriously ill prisoners
To Pope Francis
To the President of the
Republic Sergio Mattarella
To the Justice Minister
Alfonso Bonafede
To the Health Minister
Roberto Speranza
To the Head of the
Penitentiary Administration Franco Bsentini
To the National Ombudsman
To the members of
Parliament
To the Head of the Civil
Defence Angelo Borrelli
In view of the dramatic health
emergency that is touching all the population, we think that the
preventive measures took by the Governement are inadequate for the
prisoners. Infact, if Covid-19 spreads into the prisons, it will
endanger the health of 61.000 people. Moreover, almost the 50% of
people who are in jail is between 40 and 80 years old; over the 70%
is affected by chronic illnesses and their immune system is damaged.
Regarding these elements, if Covid-19 spreads into prisons, it will
be an unchecked disaster.
Keeping down and forbidding visits
with family members or voluntary workers’ entry, don’t prevent
any risk of infection. On the contrary, this situation has given rise
to fear, panic and insecurity among prisoners, their families and
penitentiary staff, who must run a regular service.
Prisons are public places, overcrowded
and unsafe. Everyday penitentiary staff’s entry could pose a threat
for prisoners’ healt, since it could carry the virus. For this
reason, the Governement mustn’t forget that prisoners are citizens
too and their rights, especially the right to healthcare, are
guaranteed from our Constitution.
We ask to the Government to suspend
suddenly the sentence for old and ill prisoners and also ask to the
Parliament to grant urgently amnisty for all the people in jail.
4th March 2020.
Ancora violenze nelle carceri
Dopo
le rivolte dei giorni scorsi, alle segnalazioni giornaliere relative
alla quotidianità detentiva in cui si riscontra un’ «economia
dei diritti sospesi»
si aggiungono, numerose, quelle
concernenti i pestaggi, violenze e
umiliazioni subite dai detenuti trasferiti dagli Istituti di Foggia,
Modena, Rieti e Melfi che vanno ad aggravare ulteriormente il
bilancio iniziale di 13 detenuti morti per cause ancora da
verificare. Dal carcere di Voghera abbiamo ricevuto le voci univoche
di un violento pestaggio a seguito della richiesta da parte dei
detenuti di poter tranquillizzare i familiari telefonicamente dopo
che è diventato ufficiale il caso di contagio nella settima sezione
e la messa in quarantena dei compagni di cella dell’uomo ricoverato
al San Paolo.
A
darne testimonianza alla nostra Associazione sono, con grande
preoccupazione da noi condivisa, i famigliari dei ristretti, quasi
tutti meridionali. Riportiamo una delle tante testimonianze
registrate: “ieri sera sono saliti un grosso numero di agenti
penitenziari provvisti di manganelli ed hanno iniziato ad inveire
contro di noi detenuti che eravamo spaventati in quanto avevano
portato via 4 detenuti con la febbre. Abbiamo richiesto di poter
effettuare il tampone per riscontrare un’eventuale positività al
covid-19. Si sono accaniti 4 agenti penitenziari su di me con i
manganelli, percosse su tutto il corpo...”.
Al
clima surreale che stiamo vivendo fatto di ansie e paure collettive,
vissute individualmente in una condizione di isolamento forzato, per
alcuni familiari si è aggiunto l’incubo della sparizione del
proprio caro. Molti infatti ancora non hanno ricevuto alcuna
comunicazione in merito alla nuova destinazione e allo stato di
salute del proprio congiunto sebbene siano passati già 8-10 giorni,
né riescono ad avere informazioni dall’istituto di provenienza e
agli avvocati non viene risposto neanche tramite pec.
Nonostante
attualmente non disponiamo di alcuno strumento per poter accertare la
veridicità delle segnalazioni, chiediamo a gran voce che venga fatta
luce su quanto sta accadendo nelle carceri.
La
nostra richiesta è tanto più urgente in un momento in cui viene
vietato l’ingresso in carcere alle associazioni, ai familiari e, in
alcuni casi, anche ai legali, come misura per fronteggiare
l’emergenza sanitaria e limitare i contagi all’interno degli
Istituti.
Anche
con riferimento a quest’ultimo aspetto, non possiamo nascondere la
nostra inquietudine: l’aggiornamento delle notizie da parte
dell’Amministrazione Penitenziaria sembra andare a rilento rispetto
all’aumento dei contagi. Sono diverse, infatti, le denunce di
famigliari di detenuti risultati positivi al virus a Lecce, Piacenza,
Voghera, Saluzzo, Melfi, Rieti, Milano Opera, Pavia, che lamentano
l’assenza di interventi sanitari tempestivi ed efficaci. Non si può
disconoscere, infatti, che l’epidemia di COVID-19 interviene su un
terreno, quello della sanità all’interno dei penitenziari, già al
collasso per le patologie più comuni che, al pari di quanto avvenuto
in materia di sanità pubblica su tutto il territorio nazionale, ha
risentito dei pesanti tagli. Alla mancanza di interventi migliorativi
negli anni precedenti, si aggiungono gli inadeguati e insufficienti
provvedimenti presi in un momento emergenziale qual è quello
attuale. Fuori dagli istituti si può mettere anche l’esercito per
contenere le eventuali, prossime, rivolte ma non ci risulta essere
attrezzato per impedire la diffusione del Covid19.
Ricordiamo che è
all’indirizzo emergenzacarcere@gmail.com
è possibile effettuare segnalazioni sia
in merito all'attuale situazione igienico sanitaria nelle carceri (ed
in particolare alle reali misure di prevenzione adottate a fronte
dell'estendersi dell'epidemia di COVID-19), sia con riguardo ad abusi
e trattamenti inumani e degradanti perpetrati nei confronti dei
detenuti a seguito delle rivolte carcerarie dei giorni scorsi,
richiedendo la relativa assistenza legale.
Associazione
Yairaiha Onlus 20 marzo 2020
IL CARCERE STA PRESENTANDO IL CONTO
L’urlo di
disperazione dei detenuti è partito sabato pomeriggio da Salerno e
l’effetto domino non ha tardato ad innescarsi. Da Milano a Palermo
le carceri sono in rivolta con un bilancio pesantissimo, provvisorio,
di 7 morti nel carcere di Modena, di cui 4 trasferiti agonizzanti, o
già cadaveri, in altre carceri e 3 detenuti morti nel carcere di
Rieti ieri sera. Oscure cause e dinamiche, ma è evidentemente
anomala la ricostruzione ufficiale che i 7 detenuti si sarebbero
impossessati di ingenti quantitativi di metadone nell’infermeria e
siano morti di overdose. Ancor più strano è il fatto che un
soggetto in overdose venga trasferito in un altro carcere anziché
essere soccorso e portato in ospedale. Carrarmati a Palermo; e in
tutta Italia le carceri presidiate dai reparti celeri e
dall’esercito. Italia 2020 o Cile 1973?
L’intero
arco istituzionale sta accampando alibi invocando il pugno di ferro e
il ripristino della legalità. La “società civile” condanna
fermamente le violenze facendo emergere l’incapacità di leggere
quanto sta avvenendo nelle galere. I professionisti della dietrologia
hanno già pronto il refrain dei centri sociali e degli
anarcoinsurrezionalisti dietro le rivolte dei detenuti. Resteranno
delusi perché i detenuti stanno facendo tutto da soli: al loro
fianco e sotto le carceri in questi giorni ci sono i familiari a
sbattere in faccia ai tutori della legalità i certificati di
incompatibilità carceraria e a chiedere di poter curare a casa, al
sicuro, il proprio familiare. Chiedono amnistia, indulto, sicurezza e
dignità. È una umanità stanca quella delle galere (familiari e
detenuti) che fino ad ora ha sopportato la violazione sistematica e
quotidiana dei propri diritti. La prevalenza dei giornalisti, come un
tripudio di tromboni, a perenne caccia dello scoop, tratta della
polveriera carceraria ora che è esplosa senza far trasparire nemmeno
un piccolo dubbio sulla ricostruzione sommaria della morte di 10
uomini. Prove tecniche di regime egregiamente superate. Solo in pochi
hanno cercato di ricostruire i fatti facendo informazione.
61.230
persone ammassate in 47 mila posti rappresentano il fallimento di uno
Stato che non è più tale e che forse non lo è mai stato. Uno stato
che per questa umanità non ha mai attuato la Costituzione né prima,
da liberi, né dopo, da detenuti. E neanche ora in piena emergenza
pandemica. Le uniche misure che questo governo è riuscito ad
immaginare per i detenuti vanno ancora nella direzione del castigo:
sospensione dei colloqui, delle attività e delle semilibertà.
Seguendo la logica di questo governo, per rendere il carcere un
ambiente impermeabile al virus, avrebbero dovuto blindare anche
agenti e personale all’interno, invece no, hanno sospeso solo
l’ingresso dei familiari. Senza valutarne efficacia ed effetti. Un
provvedimento che accanto alla paura di contagio diventa la classica
goccia che fa traboccare il vaso.
Mentre
l’Iran concede 'permessi' a circa 70.000 detenuti per contenere
la diffusione del coronavirus, la civilissima Italia pensa di
arginare il problema chiudendo i rapporti con l’esterno,
probabilmente con l’obiettivo di tenere nascosti gli inevitabili
contagi e i decessi connessi, e lasciare mano libera ai reparti
speciali di reprimere il disagio usando il pugno di ferro.
Quello che
da più parti si sta chiedendo a questo governo è un atto dovuto per
il ripristino della “legalità” a partire dall’applicazione
dell’art. 47 della Costituzione (la sospensione della pena per i
detenuti gravemente ammalati, non solo per i notabili), la
sostituzione della misura per i condannati a pene lievi e a quanti
sono vicini al fine pena.
Ma le
risposte non vanno in questa direzione. E il peso di 10 morti
accertati, una ventina di detenuti gravemente feriti, tra cui due in
coma, i trasferimenti scriteriati da un carcere all’altro in piena
emergenza coronavirus con il rischio concreto di contagio, diverse
carceri devastate, sono responsabilità diretta dell’incapacità
del governo di attuare la Costituzione ed usare il buonsenso.
10 morti
sono una strage. E non si può ammantare con il ripristino della
legalità! Non si può ignorare quanto sta succedendo né, tanto
meno, liquidare le rivolte come atti criminali. Al vostro immobilismo
e chiacchiericcio da bar i detenuti hanno risposto mettendosi in
gioco, rischiando, ancora una volta, sulla propria pelle. Chiunque in
una tale situazione reagirebbe. Chiunque di fronte alla paura di una
lenta e dolorosa agonia in un luogo angusto e senza alcun tipo di
assistenza medica tenterebbe di fuggire. Chiunque in preda
all’angoscia di andare incontro a morte certa e senza la
possibilità di poter salutare i propri cari per un ultima volta,
penserebbe alla rivolta. Di cosa vi stupite? Sono forse da
condannare? E no è troppo semplice, caro ministro Bonafede, caro
governo, cari benpensanti! Come scriveva Voltaire “Il grado di
civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle proprie
carceri”. E queste rappresentano la barbarie. Se la politica fosse
realmente fedele al dettato costituzionale mai come ora dovrebbe
adoperarsi per una amnistia immediata e generalizzata.
10 marzo
2020 Associazione Yairaiha Onlus
VIRUS DIETRO LE SBARRE
di
Sandra Berardi*, 3 maggio 2020
Negli
ultimi due mesi la vita di tutti noi è cambiata profondamente.
All'ansia per il futuro si è sommata la paura di un nemico
invisibile, invadente e mortale; e alle paure si sono aggiunte le
misure di contenimento contro la diffusione del virus, attraverso
l'imposizione del distanziamento sociale, il divieto di spostamenti
immotivati, la cura particolare dell'igiene e l'adozione di
dispositivi di protezione individuale. Misure legittime forse,
certamente consigliabili, ma sicuramente insufficienti a contenere la
diffusione della paura del
contagio. Apparentemente l'Italia per due mesi si è fermata, tranne
per ciò che riguarda le “attività indispensabili” e i luoghi di
comunità forzate quali ospedali, RSA e carceri. La narrazione
ufficiale attorno al rischio covid19 nelle carceri si è avvitata su
due, tre, questioni, ovviamente di tipo securitario ed
“emergenzialistico”, ma distanti dal nocciolo delle priorità
effettive in fase di emergenza sanitaria.
Posto che il
diritto alla salute è l'unico che la nostra Costituzione sancisce
quale diritto
fondamentale,
il ministero preposto alla gestione della popolazione detenuta
avrebbe dovuto mettere in campo ogni misura necessaria affinché la
stessa popolazione venisse messa al riparo dal rischio contagio. E
questo non è stato. Il covid19 si è affacciato nelle carceri
attraverso i media e in forma di allarme, in una situazione già di
per sé al collasso, con oltre 61.000 persone recluse (a fronte di
47.000 posti effettivi) in condizioni di degrado e sovraffollamento.
Allarme e paure, con la sospensione dei colloqui il 7 marzo, si sono
trasformati in rabbia. Rabbia che è esplosa con le rivolte dello
stesso mese di marzo. Un bilancio tragico di 14 detenuti morti, per
cause ovviamente da chiarire, e centinaia di feriti. Il bollettino
dei morti che si allungava di ora in ora: 3, 4, 5, morti; forse 6,
infine 14. Una Caporetto delle carceri italiane, mentre il ministro
si affrettava a bollare come “atti criminali” le rivolte nate
dalla paura di fare la fine dei topi in gabbia. A soccorso della
incapacità del ministro Bonafede, e del Dap, di gestire una
situazione delicatissima come quella profilatasi già prima del 9
marzo, che avrebbe necessitato di un immediato provvedimento
deflattivo, si levano gli scudi degli amanti del complottismo: si fa
strada, e si accredita, l'ipotesi di una regia “occulta” dietro
le rivolte. Regia che viene dapprima imputata ai grossi boss, poi
agli anarchici e ai centri sociali per arrivare, infine, ad una
alleanza anarco-mafiosa finalizzata alla “scarcerazione” di 3
detenuti in 41 bis con la “scusa” di essere gravemente ammalati.
Mi chiedo come mai non abbiano ancora pensato agli jihadisti. A
questo punto l'equazione sarebbe facilissima, vista l'origine araba
di 10 dei 14 morti. Sarebbe stato ancora più facile giustificarne la
morte come gesto “kamikaze”, e magari 4 soli morti di metadone
sarebbero risultati anche più credibili.
Seguono a ruota gli
umori dell'opposizione al governo, che invoca l'uso dell'esercito e
dei droni a presidio delle carceri; e quelli di una certa antimafia
di professione che tuona contro qualsiasi provvedimento “svuota
carceri” suggerendo al ministro di adibire a galere d'emergenza le
caserme dismesse, ritenendo le carceri il luogo più sicuro per
evitare il contagio. Voci amplificate dai media e dalla carta
stampata, e capaci di annullare voci ben più autorevoli che andavano
in direzione ostinata e contraria a difesa del diritto alla salute e
alla vita. Per non dire dell’altra narrazione strampalata per cui
le mafie sarebbero dietro le reti di solidarietà che sul territorio
nazionale si sono attivate per dare risposte concrete alla crisi
imposta dal lockdown.
Ma è con la sostituzione o sospensione
della pena - da detentiva a domiciliare - a tre detenuti in 41bis con
gravi patologie che l'indignazione dell'antimafia forcaiola, buona
per tutte le stagioni, irrompe nel dibattito pubblico e politico
(omettendo di dire che Bonura avrebbe terminato la sua condanna fra 8
mesi e che Zagaria fra 5 mesi tornerà in carcere) rimuovendo, di
fatto, le priorità reali di questo particolare momento storico e
spostando, strumentalmente, l'ordine del discorso sulla “classica”
emergenza-mafia; emergenza che però, con buona pace dei nostalgici,
non è, o meglio non è più. La mafia stragista oggi non esiste.
Come ci hanno insegnato Falcone e Borsellino “la mafia e lo stato
sono due poteri che si contendono il controllo dello stesso
territorio: o si fanno la guerra, o si mettono d'accordo.” Ed oggi
bombe non ne esplodono più.
I protagonisti sopravvissuti di
quella stagione sono prevalentemente anziani e da circa 30 anni in
carcere. Le mafie (intese
come alleanze tra diversi poteri) invece, nel frattempo si sono
riorganizzate. Oggi le mafie che contano pagano regolarmente le tasse
(non vandalizzano scuole) e raramente vengono perseguite. Eppure si
continua ad agitare lo spettro della mafia che fu, quella tutta
coppola e lupara, attraverso la difesa del 41bis elevato a simulacro
dell'antimafia dura e pura; lo scontro in atto tra politica e
magistratura è la rappresentazione plastica di un gioco di potere
che nulla apporta alla lotta contro il crimine. È, piuttosto, un
rigirare il coltello nella piaga, quasi a voler riaprire
periodicamente quella ferita a fronte della quale tutto il resto
scompare. Scompaiono così 14 morti; scompaiono centinaia di
massacrati; scompare la gestione criminogena dell'istituzione
carceraria, che dovrebbe invece rieducare e giammai torturare;
scompare il divieto di ingerenza tra poteri dello stato atto a
scongiurare derive autoritarie: il “commissariamento” circolare
dell'antimafia sul ministero della giustizia, e di questo sulla
magistratura di sorveglianza, sembra prefigurare l'instaurazione di
uno stato assolutistico con la concentrazione dei poteri in un'unica
figura; scompare l'emergenza pandemica; scompare la sanità
dissanguata; scompare la crisi economica e sociale in atto e quella
che verrà; scompare la Costituzione; scompare il senso di
umanità.
E nel frattempo, abbandonata la speranza del
diritto, ogni giorno che passa si allunga la lista di intere sezioni
messe in isolamento, di detenuti, agenti, cappellani morti per
covid19, contagiati, trasferiti, dimenticati. Eppure lo stato è
chiamato a fare giustizia, non vendetta: e i detenuti hanno piena la
consapevolezza di essere soggetti portatori di diritti che vengono
sistematicamente calpestati in nome dell'ormai sempreverde
emergenza-mafia; emergenza che, a ben guardare, è lontana nel tempo
e nella storia ma sempre utile a limitare diritti dei cittadini e
doveri delle istituzioni.
*Sandra
Berardi è la coordinatrice nazionale di Yairaiha Onlus, da anni
attiva sul fronte dei detenuti
www.palermo-grad.com
LA CRISI VISTA DAL SUD
SULL INDIGNAZIONE PELOSA DEI SOLITI PROFESSIONISTI DELL ANTIMAFIA
“Se
al simbolo della bilancia si sostituisse quello delle manette come
alcuni fanatici dell'antimafia in cuor loro desiderano saremmo
perduti irrimediabilmente, come nemmeno il fascismo c'è riuscito”.
L. Sciascia
Alla
notizia della sostituzione della pena ad un detenuto in 41bis per
motivi di salute e a 9 mesi dal fine pena, in Italia si è levato il
solito coro massmediatico di indignazione pelosa, che stigmatizza
l’operato del magistrato di sorveglianza che ha adottato il
provvedimento.
Con
un copione già visto all’indomani delle pronunce della Cedu e
della Corte Costituzionale su ergastolo ostativo e sulla parziale
incostituzionalità del 4 bis, i professionisti dell’antimafia
cercano di impressionare l’opinione pubblica attraverso slogan
suggestivi come “lo Stato si piega alla mafia”, “la mafia ha
vinto!”, “presto libera l’intera cupola” e , dulcis in fundo,
l’immagine di Falcone e Borsellino con la scritta a caratteri
cubitali “boss mafiosi al 41bis liberati, li state uccidendo di
nuovo”.
Ora
mi chiedo come sia possibile che chi ha studiato (alcuni hanno anche
collaborato con i due magistrati) il pensiero e l'operato di Falcone
e Borsellino, non sappiano che erano due uomini di Stato che
credevano profondamente nella Costituzione, nello Stato di Diritto e
in quel (oramai) vilipeso articolo 27 che vuole le pene mai disumane
e sempre rieducative? Falcone
e Borsellino hanno introdotto il 41bis come strumento eccezionale e
temporaneo per fronteggiare, appunto, una emergenza. Mai e poi mai
avrebbero voluto che divenisse stabile e perpetuo per gli assegnati a
quel circuito.
Ci sono persone che si trovano in 41 bis da ben 28 anni e non hanno
mai intrapreso nessun percorso rieducativo o di mediazione: qual è
il senso della loro detenzione? Lo
Stato dovrebbe applicare la giustizia non praticare la vendetta ed
una pena fine a se stessa, limitata alla segregazione del corpo, non
ha altra funzione oltre a quella vendicativa.
Su questo aspetto, e forse si stupiranno gli estensori delle
invettive, la figlia minore di Paolo Borsellino, Fiammetta, alcuni
mesi fa durante due diversi incontri organizzati a Cosenza e
Catanzaro, ha espresso la sua contrarietà all'esistenza del 41bis e
dell'ergastolo ostativo in quanto contrari al dettato Costituzionale,
ed ha espresso forti critiche alla organizzazione penitenziaria
italiana tesa prevalentemente alla funzione sanzionatoria; ha anche
avviato, e in tempi non sospetti, incontri di mediazione con i
fratelli Graviano e si sta battendo affinché le istituzioni si
assumano le responsabilità in merito al vergognoso DEPISTAGGIO (DI
STATO) SULLA STRAGE DI VIA D'AMELIO. Depistaggio
che, oltre ad aver inquinato le prove, costò 17 anni in 41bis a 10
uomini innocenti per via delle dichiarazioni costruite a tavolino (da
uomini e donne dello stato) e messe in bocca a Scarantino.
Anche lei amica dei mafiosi? O vogliamo considerare collusi tutti i
magistrati che applicano le leggi e le garanzie Costituzionali? Dice
bene Laura Longo, ex presidente del Tribunale di Sorveglianza de
L’Aquila, quando afferma che “per fare il magistrato di
sorveglianza occorre coraggio”. E in un corsivo in risposta alle
esternazioni eversive di certi magistrati, politici e funzionari
afferma: “Quando i magistrati di sorveglianza fanno il loro dovere
applicando le leggi dello Stato, lo stesso Stato prende le distanze
trincerandosi dietro all'autonomia del potere giudiziario e
fomentando la gogna mediatica. Peccato
che l'autonomia del magistrato di sorveglianza non sia ricordata né
rispettata, tutte le volte che dolosamente il DAP,
che dell'esecutivo è diramazione, non
esegue i provvedimenti giurisdizionali a tutela dei reclusi,
emessi ex art, 35 O.P. o i permessi di necessità ex art. 30. E' una
storia che i magistrati di sorveglianza conoscono bene, e che vivono
sulla propria pelle, ogni volta che non cedono al ricatto e
all'intimidazione. (…) Vorrei
ricordare che il differimento della pena per condizioni di salute
incompatibili con il regime carcerario, che può concedersi con le
forme della detenzione domiciliare, non soggiace alle preclusioni
previste dall'art. 4 bis.
Ma evidentemente è troppo pretendere dai politici e dal ministro
della giustizia, conoscenza e rispetto della legge e della
magistratura. É solo una piccola riflessione e non merita altro che
di essere raccolta da chi condivide il valore della Giustizia.
Esprimo massima solidarietà al magistrato di sorveglianza messo alla
gogna e grande stima per il suo coraggio. Perché
è bene dirlo, per essere un bravo magistrato di sorveglianza non
basta conoscere bene leggi e costituzione, ne’ avere sensibilità
umana, occorre anche coraggio e tanto, per rendersi senza timore
garanti dei diritti inalienabili delle persone recluse, come quello
della salute, ed applicare la legge senza distinzioni e
condizionamenti esterni.
Occorre avere anche la pazienza, la forza, la tenacia e soprattutto
una grande passione, per resistere agli attacchi mediatici e alle
indecorose ispezioni ministeriali. Ma se si hanno queste qualità è
una funzione destinata a trasformare, non solo coloro la cui vita
vita si ha in consegna, ma noi stessi che quella vita abbiamo
salvato, proteggendo la salute e la speranza."
A
questo triste ed eversivo teatrino fanno da cornice i difensori dei
familiari delle vittime; ed anche rispetto ai familiari delle vittime
di mafia credo che alcuni, quelli che non si sono piegati alla logica
vendicativa e giustizialista, siano fari illuminanti in questo
marasma di manettari: è sempre Fiammetta, a proposito di chi si erge
a paladino dei familiari delle vittime disse: "parlare in nome
delle vittime della mafia è sbagliato, perché ognuno ha la propria
identità, pensieri e vissuti".
Si
rammenta che le corti internazionali e l'Onu hanno dichiarato la
detenzione continuata in 41bis equivalente a tortura. A tal proposito
Vincenzo Scalia, ci ricorda “che
il 41 bis sia lesivo dei diritti umani, è stato sancito in più
sedi, nazionali e internazionali. Anche per i mafiosi. I quali
continuano ad essere cittadini italiani, o comunque soggetti titolari
di diritti.
E poi, non mi pare che il 41 bis abbia portato alla sconfitta totale
delle mafie. Piuttosto ha spostato il problema da Cosa Nostra a
camorra e ndrangheta. E ad altri gruppi. E poi, da comuni cittadini,
non vi sorge il dubbio che se a un boss danno il 41 bis a voi
potrebbe andare anche peggio?! O c'è un problema di cattiva
coscienza? Io ci penserei. Senza, nel frattempo, protestare perché
un individuo detenuto, ancorché mafioso, sta usufruendo dei suoi
diritti. Perché lo stato democratico è questo. O volete fare la
rivoluzione...?”
Questo
governo dovrebbe avere il coraggio di emanare una amnistia in virtù
della emergenza sanitaria in atto, come stanno facendo tutti gli
stati, anche quelli a noi noti come dittature, ma si dubita che tra
le fila dell’attuale maggioranza e opposizione vi sia la statura
politica di fare una scelta del genere né, tanto meno, possiamo
contare in una opinione pubblica che, oramai, assuefatta al tintinnar
di manette, tanto caro ai travagliati giornali, ha dimenticato la
lezione di Sciascia: “Se
al simbolo della bilancia si sostituisse quello delle manette come
alcuni fanatici dell'antimafia in cuor loro desiderano saremmo
perduti irrimediabilmente, come nemmeno il fascismo c'è riuscito.”
Sandra
Berardi – Associazione Yairaiha Onlus
A Foggia mio figlio e gli altri detenuti picchiati e trasferiti dopo la rivolta
È il racconto drammatico di episodi che sarebbero accaduti nel carcere di Foggia nei giorni successivi ai disordini
Tutti abbiamo ancora impresse le immagini della rivolta avvenuta al carcere di Foggia e la conseguente evasione di massa. Una evasione, tra l’altro, che tuttora lascia dei punti interrogativi. Dopo quell’evento qualcosa sarebbe accaduto. Tante, troppe, testimonianze si sono accavallate di presunti pestaggi che diversi reclusi avrebbero ricevuto come atto di ritorsione. La rete emergenza carcere composta dalle associazioni Yairaiha Onlus, Bianca Guidetti Serra, Legal Team, Osservatorio Repressione e LasciateCIEntrare, ha raccolto diverse testimonianze e ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica. Si tratta di testimonianze dei familiari di alcuni detenuti presso la Casa circondariale di Foggia prima dell’intervenuto trasferimento in seguito alla rivolta. Sono ben sette le testimonianze e vale la pena riportarle tutte.
« In data 8/ 03/ 2020 mio figlio, detenuto fino al 12/ 03 presso la Casa circondariale di Foggia durante la chiamata, mi ha riferito quanto segue: a seguito delle manifestazioni di protesta messe in atto da parte di numerosi detenuti impauriti a causa dell’allarme Coronavirus, il giorno della rivolta sono entrati in 5 o 6, incappucciati e con manganelli. I detenuti sono stati massacrati di botte, trasferiti solo con ciabatte e pigiama e tenuti in isolamento per i successivi 6/ 7 giorni. Solo dopo una settimana i detenuti hanno ricevuto i loro oggetti personali », riferisce la madre del detenuto, trasferito al carcere di Viterbo.
Poi c’è la moglie di un altro recluso. Una testimonianza che combacia con quella precedente, ma con l’aggiunta che la presunta azione violenta sarebbe addirittura continuata nel carcere viterbese: « Il giorno del trasferimento, il 12/ 03/ 2020, durante la notte, mentre si trovava presso la Casa circondariale di Foggia, le guardie esterne sono entrate in cella e hanno pestato i detenuti. Successivamente al trasferimento non ho più ricevuto notizie. Dopo dieci giorni, durante una chiamata, mio marito mi ha riferito che ci sono state altre violenze all’interno del carcere di Viterbo ».
Nell’esposto viene riportata la testimonianza della sorella di un altro detenuto, trasferito in seguito alla rivolta al carcere di Vibo Valentia. « In data 9 marzo mio fratello, durante la telefonata, mi ha riferito quanto segue: in piena notte è stato picchiato a manganellate e portato via in pigiama e ciabatte per essere trasferito in un’altra struttura, dopo la rivolta fatta alcuni giorni prima ». Sempre la sorella del detenuto ha proseguito con una riflessione accorata: «Premetto che i detenuti sono esseri umani e non meritano trattamenti disumani, come quelli subiti. Se hanno sbagliato è per un motivo valido. La paura per il C orona virus e la sospensione dei colloqui con i parenti hanno generato il panico. Hanno percepito il pericolo mortale del virus e non potendo avere più notizie si sono allarmati ed è subentrato il caos ».
Nell’esposto in Procura si aggiunge anche la testimonianza di un’altra madre di un detenuto, ora recluso nel carcere di Catanzaro: « In data 9 marzo mio figlio, durante la telefonata, mi ha riferito quanto segue: di essere stato picchiato a manganellate su tutto il corpo, specialmente sulle gambe e portato al carcere di Catanzaro senza avere la possibilità di prendere il vestiario o il minimo indispensabile ». C’è poi un’altra testimonianza, questa volta della moglie di un detenuto che addirittura sarebbe un invalido. « ll 20/ 03/ 2020 durante la telefonata con mio marito – testimonia la donna – ho avvertito la sua sofferenza, accusava dolori alle costole e mi ha riferito di aver sbattuto da qualche parte. Lui è invalido al 100% e non potrebbe mai muoversi con violenza dal momento che è in carrozzina. Sono certa che lui non può parlare liberamente. Infatti, successivamente mi ha riferito che la prima lettera che avrebbe voluto inviarmi dopo il massacro successo a Foggia gli è stata strappata. Gli ho detto di farsi portare al pronto soccorso ma non lo fanno perché altrimenti andrebbe in quarantena. Io voglio vederci chiaro! ». Il padre di un detenuto ha riferito ancora che il figlio gli avrebbe detto di essere stato trasferito, in piena notte, senza alcun vestito, aggiungendo che sarebbe stato picchiato.
L’ultima testimonianza è davvero emblematica. In questo caso, il detenuto, vittima di un presunto pestaggio, non avrebbe nemmeno partecipato alla rivolta del carcere di Foggia. Infatti non è tra coloro che ha subito un trasferimento. Alla sorella avrebbe raccontato, con una telefonata e una lettera, l’accaduto: « Oltre allo spavento anche le mazzate mi sono preso dalla polizia, in questi giorni ho avuto un attacco di ansia, la notte non dormo più, ho tanta paura, io che non ho fatto niente le ho prese. Ci hanno sequestrato tutti i viveri, siamo stati giorni senza caffè, sigarette, detersivi, cibo. Ci hanno levato tutto! ».
Sono tutte testimonianze, molto drammatiche, che rimangono tali. Sarà la Procura ad accertare quanto sia effettivamente avvenuto e, nel caso, ad esercitare un’azione penale nei confronti dei responsabili di eventuali reati. Rimangono sullo sfondo le diverse testimonianze che coincidono perfettamente.
CERCANDO IL CARCERE NELLA COSTITUZIONE
Cercando il carcere nella Costituzione (*)
Tra grovigli di circolari: viaggio nei circuiti di Alta Sicurezza d’Italia.
Sandra Berardi
Carcere, tossicodipendenze e ostatività.
Lisa Sorrentino
La prigione: non si tratta di riformarla ma di estinguerla.
Elisabetta Della Corte
La fase storica e politica che stiamo attraversando impone una riflessione adeguata che metta in discussione il paradigma securitario che, dal secondo dopo guerra in poi, ha assunto centralità economica nella governace globale dilatandosi nel discorso pubblico in misura inversamente proporzionale alla contrazione delle garanzie sociali, necessarie al raggiungimento del benessere e della sicurezza di una comunità. Il significato della parola “sicurezza” dalle origini ai giorni nostri, nel mercato politico mondiale è stato modificato e plasmato a seconda delle occorrenze; dalla sicurezza intesa quale protezione e benessere individuali e collettivi, con l’aumentare della crisi economica e del divario sociale, l’accento è stato spostato sul piano dell’ordine pubblico producendo periodicamente “nuove emergenze”, leggi speciali e, in tempi più recenti, i c.d. “pacchetti sicurezza” che profilano le nuove -e ben determinate- “tipologie criminali”, sospendono lo stato di diritto e vanno ad alimentare la fabbrica penale e penitenziaria.
In questo breve e affatto esaustivo lavoro, si è cercato di analizzare alcuni particolari dispositivi che mettono tra parentesi i diritti inviolabili dell’uomo e i dettati costituzionali, in un’ottica securitaria che non corrisponde affatto alla sicurezza sociale né alla prevenzione del crimine.
Proveremo, invece, a far emergere come l’apparato penale e penitenziario sia stato adattato alle esigenze di mercato e di governo dell’insicurezza sociale costruendo attorno ad emergenze artatamente propagandate, una serie di dispositivi che ben poco hanno a che fare con l’art. 27 della Costituzione il cui unico obiettivo è mettere al centro dell’azione punitiva, che non contempla la reclusione né lo sfruttamento della manodopera, il recupero dell’individuo.
Infine l’invito ad una riflessione collettiva sul senso del carcere oggi: è veramente necessario col carico di barbarie, mostrificazione e disumanità che genera?
Yairaiha Onlus
Tra grovigli di circolari: viaggio nei circuiti di Alta Sicurezza d’Italia
Sandra Berardi
Negli ultimi tre anni, assieme all’on. Eleonora Forenza, abbiamo avviato un percorso conoscitivo delle condizioni di detenzione dei prigionieri assegnati alle sezioni di Alta Sicurezza, suddivise in sottocircuiti denominati 41bis, AS1, AS2 e AS3, e situate in alcuni istituti penitenziari1.
Gli istituti ispezionati alla data di chiusura del presente lavoro sono: Bari, Spoleto, Sulmona, Parma, Arghillà, Rebibbia NC, Siano, Milano Opera e Voghera2.
L’attenzione maggiore è stata posta alle condizioni di detenzione nelle sezioni di Alta Sicurezza per constatare quanto segnalato dai detenuti che si rivolgono all’associazione Yairaiha e all’ufficio parlamentare. Una lettura sommaria derubricherebbe a semplici lamentele questioni che invece, incardinate e srotolate nel labirinto di norme (su tutte il 4bis dell’ordinamento penitenziario e la L. 279/2002(3) e contraddittorie disposizioni amministrative che regolano il sistema carcerario, narrano dell’arbitrarietà, dell’illegittimità e, perché no? dell’incostituzionalità dei circuiti oggi denominati di Alta Sicurezza che comprendono le sezioni di 41bis e i circuiti di AS1 e AS2 (ex Elevato Indice di Vigilanza) e AS3.
Per trovare il bandolo della matassa
I circuiti ex EIV sono stati istituiti con circolare DAP n. 3479 del 9.7.1998 con l’obiettivo di separare i detenuti di particolare spessore criminale e gli ex 41bis dai detenuti di alta e media sicurezza. A seguito di diversi pronunciamenti della Corte europea4 e di seguenti atti di sindacato ispettivo e interrogazioni parlamentari5 il DAP, con la circolare 3619/6069 del 21 aprile 2009, riformula la denominazione dei circuiti EIV suddividendo l’Alta Sicurezza in tre sottocircuiti e assegnando gli ex EIV ai circuiti AS1 e AS2, per “superare la sua denominazione foriera di fraintendimenti, evitando che essa possa far pensare, sia pure solo in via teorica ad osservatori esterni, ad una condizione maggiormente afflittiva”, ribadendo al tempo stesso che “La gestione dei detenuti ed internati che, allo stato, sono inseriti nel circuito E.I.V. per le ragioni esposte, continuerà ad essere di esclusiva competenza dipartimentale. Continuerà per tanto ad essere onere delle direzioni segnalare il comportamento di tali detenuti ed internati, che verranno di conseguenza gestiti dalla direzione generale dei detenuti e del trattamento.6”
Con un artificio linguistico, quindi, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria aggira la sentenza della Corte europea, lasciando intatto il dispositivo discriminatorio dei circuiti ex EIV per cui l’Italia era stata condannata. Nella circolare di riforma del 2009 viene richiamata la contraddittoria7 circolare DAP n. 20/2007 che da un lato stabilisce l’imprescindibilità dal dettato costituzionale della pena (rieducazione e trattamento non contrario al senso di umanità) mentre, dall’altro mette tra parentesi la Costituzione e determina l’esclusione dal “trattamento” e dai benefici penitenziari i detenuti classificati “socialmente pericolosi” e pertanto collocati in Alta Sicurezza, condannati per i delitti di cui al 416bis, 291ter, 575, 628 terzo c. 629 sec. C., 609 bis, quater, e octies del c.p. e 73 del DPR 309/1990, e in base a quanto disposto dall’art. 4bis O.P., ad eccezione di chi collabora con la giustizia ai sensi dell’art. 58ter OP e/o dell’art. 16-nonies L.82/91.
Sia la circolare del 2007, sia quella del 2009, nonostante la sentenza della Corte europea sopra richiamata, ribadiscono che la gestione dei detenuti assegnati a tali circuiti rimane di competenza del DAP (organo amministrativo) in stretta collaborazione con le Direzioni distrettuali antimafia (organi investigativi), in aperta violazione della Costituzione, della legge penitenziaria e delle convenzioni internazionali.
Nel labirinto
Senza la puntuale e preziosa corrispondenza, corredata da atti attestanti il labirinto giuridico creato dalla sovrapposizione di diverse leggi e circolari che violano sistematicamente la gerarchia delle fonti, non sarebbe stato possibile risalire ai meccanismi che determinano l’ostatività nel limbo dell’Alta sicurezza. Attraverso le ispezioni parlamentari, preziosissimo strumento di inchiesta oggi pressoché dimenticato, si possono toccare con mano gli effetti del c.d. “trattamento differenziato” sui detenuti.
La condizione cui sono relegate le persone detenute nelle sezioni di Alta Sicurezza è lontanissima dal dettato Costituzionale dell’art. 27 e dalle convenzioni internazionali. Se il compito dell’istituzione carceraria è quello di rieducare chi ha commesso un reato, di restituirlo al futuro consapevole degli errori commessi, di ricucire lo strappo con la società, si può tranquillamente affermare che in Italia questa istituzione ha fallito.
Migliaia di persone in attesa forzata senza prospettiva alcuna, in uno stato di totale alienazione. Nessuna speranza per il futuro, in particolar modo per chi non ha un fine pena: gli ergastolani8. E fu proprio il “diritto alla speranza” negato che, nel 2013, portò la Corte europea a condannare l’Inghilterra per averlo violato e negato9, attraverso un dispositivo di ostatività molto simile a quello italiano10.
I circuiti penitenziari regolati dal 4bis OP e dal groviglio delle successive leggi, circolari presidenziali, ministeriali e dipartimentali, li potremmo raffigurare come un gigantesco gioco dell’oca dove il rischio di non arrivare mai alla casella 63 è elevato. Quello che abbiamo riscontrato sono le gravissime carenze sanitarie che, in alcuni casi, hanno determinato –e determinano- la morte delle persone costrette a scontare la condanna in strutture che dovrebbero porre alla base della propria mission il rispetto della Costituzione e delle Leggi che chi ha commesso un reato ha violato. E il diritto alla salute dovrebbe essere universalmente garantito a tutti e tutte senza distinzione alcuna. Ma nei circuiti di Alta Sicurezza si diventa ostativi anche al diritto alla salute.
Abbiamo ascoltato e annotato le storie di persone visibilmente sofferenti fisicamente e psicologicamente, tossicodipendenti cui è preclusa la possibilità delle strutture di recupero, confuse da massicce dosi di psicofarmaci, che non sanno se e quando potranno curarsi, che non sanno più a chi rivolgere istanze e reclami perché sembra cadere tutto nel vuoto. Relazione di sintesi che non vengono chiuse da decenni, magistratura di sorveglianza che non risponde, impossibilità ad ottenere permessi, diritto allo studio ostacolato, trasferimenti inspiegabili con conseguente interruzione dei, seppur minimi, percorsi intrapresi in precedenza.
Per chi è detenuto in questi circuiti le uniche attività consentite sono il passeggio o, in alternativa, la saletta per due ore al giorno. Il resto del tempo è alienazione e inazione per ben 22 ore al giorno. Nessuna attività trattamentale, nessuna attività formativa, i percorsi di studio sono sistematicamente negati o, laddove concessi, ostacolati. Il magistrato di sorveglianza, largamente assente, si è trasformato in giudice di quarto grado, abdicando il proprio ruolo di garanzia sull’esecuzione penale allo spirito giustizialista che ha infettato la società e messo tra parentesi Costituzione e diritti umani. L’area educativa, programmaticamente carente (l’80% delle risorse attribuite al dipartimento penitenziario è diretto ai reparti di polizia penitenziaria e sicurezza), nonostante gli sforzi, non riesce ad assolvere al proprio compito. Uno dei leit motiv di tutte le ispezioni sin qui fatte, è la mancata chiusura delle relazioni di sintesi per i detenuti in Alta Sicurezza senza la quale è persino inutile chiedere un permesso di necessità (teoricamente riconosciuto anche ai detenuti in regime di 41bis (11)). Da qui ne deriva il prolungamento spropositato della permanenza nei circuiti di alta sicurezza.
Fornire asetticamente i numeri (12) dei condannati, dei giudicabili, degli ergastolani, dei tossicodipendenti, dei malati psichici, restituendo dati statistici già presenti dettagliatamente sul sito del DAP, non renderebbe l’istantanea di una mano in cancrena causata da un intervento sommario e dalla convalescenza in cameroni da 6 in assenza di adeguate condizioni igieniche; non renderebbero l’angoscia di un padre che non è preoccupato per l’imminente intervento oncologico che dovrà affrontare ma pensa alla sua bambina, nata con una malformazione al cuore, che non può affrontare il viaggio dalla Calabria a Milano, e che prima “quando dipendeva dal Magistrato di sorveglianza di Cagliari”, era autorizzato ad andare a trovare ed ora non più perché “dipende da quello di Milano”, e il suo orientamento è diverso”(13); non restituirei l’ansia di un uomo che perde il respiro nel sonno e da due mesi aspetta che il nucleo di valutazione decida se autorizzare o meno la maschera per l’ossigeno; non si riuscirebbe ad immaginare un uomo al 19° intervento oncologico, costretto su una branda della sez. 41bis nonostante i sanitari ne chiedano la sospensione della pena per motivi di salute e il parere della direzione del carcere sia favorevole: dipende dal Ministero; non restituirei il ricordo commosso che i compagni di cella ci hanno donato di un uomo14 lasciato morire tra dolori lancinanti a cui i sanitari del carcere, “a vista”, avevano diagnosticato coliche renali, mentre aveva tutti gli organi in metastasi, e la cura prescritta consisteva in una “partita a briscola che passava tutto” o una tachipirina. Ad agosto 2017 gli avevano diagnosticato sei mesi di vita. La pena gli viene immediatamente sospesa. Un mese dopo, il 29 settembre il funerale. Aveva 48 anni. Si chiamava Francesco M. e non figura nelle statistiche dei morti in carcere.
Il cappio dell’ostatività
Dal momento che una persona viene condannata ad una pena definitiva, viene presa in carico dall’amministrazione penitenziaria e gli organi deputati a svolgere l’osservazione scientifica (art. 28 del DPR 230/2000, regolamento di esecuzione penitenziaria) per valutare i cambiamenti maturati in fase di esecuzione della pena di norma sono: équipe di osservazione e trattamento, indicata all’art. 29 c. 2 del regolamento, e il Gruppo di Osservazione e Trattamento (istituito con circolare del 9/10/2003 sulle aree educative). La metodologia da utilizzare per l’osservazione scientifica è definita all’art. 27. Gli elementi che dovrebbero determinare la progressiva fuoriuscita dal circuito penitenziario sono dati da una serie di fattori: comportamento intramurario, partecipazione alle attività rieducative, ravvedimento in merito alle condotte devianti e ai percorsi criminali. Nel caso specifico di detenuti “classificati” A.S., quindi condannati perché appartenenti ad organizzazioni criminali, eversive o terroristiche, il regolamento non vale più perché si è automaticamente esclusi a priori dalle attività e dai benefici. Si assume la qualifica di “ostativi”.
L’esclusione dalle attività e dai benefici, e quindi dalla possibilità concreta di intraprendere un percorso qualitativamente efficace, nel rispetto delle finalità rieducative della pena, determina un processo di “cristallizzazione” della personalità del recluso che rimane ferma per sempre al momento della condanna. Anche dopo il carcere. Una pena così concepita serve solo a recludere le persone senza prospettargli null’altro che di “pagare” il proprio reato alla società con l’annullamento psico-fisico e l’ozio forzato tra ferro e cemento. Nessun accompagnamento alla compren114
sione del male commesso, al “ravvedimento”, nessuna utilità ne “retribuzione” verso le vittime di reato, nessun paracadute sociale all’eventuale uscita dal carcere. Gli unici elementi che possono far sperare nella fuoriuscita dai circuiti di Alta Sicurezza (declassificazione) e, di conseguenza, l’accesso ai benefici penitenziari (o superamento dell’ostatività), specialmente per i condannati all’ergastolo, sono determinati esclusivamente dalla possibilità di riuscire a vedersi riconosciuta la c.d. “inesigibilità della collaborazione”(15), dimostrando la rescissione di ogni collegamento con le organizzazioni di cui si faceva parte, oppure dal ricatto della “collaborazione totale” con la giustizia, mettendo qualcun altro al proprio posto e i familiari in pericolo.
In assenza di una normativa organica in materia penitenziaria, muoversi tra le innumerevoli leggi, decreti presidenziali e ministeriali, circolari e disposizioni dell’ultima ora (non sempre in linea con la Costituzione) è diventato, oramai, un vero e proprio percorso a ostacoli esasperato dall’eccesso di potere discrezionale delle singole direzioni, dei singoli magistrati di sorveglianza e degli organi investigativi il cui parere è vincolante e spesso è frutto di “copia e incolla” da un fascicolo all’altro piuttosto che verifica, oggettiva e soggettiva, dell’attualità dei collegamenti con le organizzazioni cui appartenevano.
Trovare l’uscita
Nell’ultimo anno la Corte Costituzionale (16), la Corte di Cassazione(17) e la Corte europea dei diritti umani (18) hanno emesso importanti sentenze e pronunciamenti che scalfiscono la sacralità del 4bis OP e ne ridisegnano i confini che non possono travalicare quelli dati dalla Costituzione della Repubblica. Nelle due recenti sentenze richiamate alla nota 17, la Cassazione ribadisce che la collaborazione con la giustizia deve essere resa spontaneamente e non richiesta dagli organi investigativi; che l’inesigibilità della collaborazione deve verificarsi sui reati per cui si è già riportata condanna e non richiesta dagli investigatori su altre, generiche e pretestuose, inchieste in atto, offrendo una chiarissima distinzione tra la collaborazione totale e l’inesigibilità della collaborazione; infine gli ermellini ribadiscono alla magistratura di sorveglianza il proprio ruolo che è quello di esprimere una valutazione sui fatti ostativi in fase di esecuzione della pena oggetto del procedimento di sorveglianza e non su altre ipotesi di reato sulle quali non ha alcuna competenza.
La Suprema Corte di Cassazione (19) ha avuto finanche il coraggio di sollevare dubbi di costituzionalità sul 4bis co. 1 nella parte in cui non prevede la possibilità di accesso ai benefici penitenziari, in questo caso sulla richiesta di un permesso premio avanzata da un ergastolano in assenza del requisito della collaborazione o della collaborazione impossibile, la Cassazione ha dichiarato “rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale” perché “non solo viola l’articolo 27 della Costituzione, ma anche le recenti sentenze della Corte Europea dei diritti umani”, secondo cui – nei casi di condanna all’ergastolo – l’assenza di strumenti giuridici certi – che possano portare dopo almeno 25 anni, e valorizzando il percorso rieducativo del detenuto, a un riesame della condanna e dunque alla libertà del detenuto – concretizza la violazione dell’articolo 3 della Cedu”.
Altro aspetto importante che viene sottolineato dai giudici della Cassazione è “che la volontà di non collaborare con la giustizia non coincida sempre con la volontà di rimanere collegati con la criminalità organizzata di appartenenza, ma con la volontà di difendere la propria incolumità e dei propri familiari o con l’evidente difficoltà morale di dover accusare un proprio congiunto. Quindi, – visti gli artt. 3 e 27 della Costituzione – ha dichiarato fondato il ricorso, trasmettendo gli atti alla Corte Costituzionale”.
Inoltre ci sono due ricorsi dichiarati ricevibili dalla Cedu (Viola e Ruggieri) che, se dovessero concludersi positivamente, potrebbero contribuire a ridefinire i perimetri costituzionali dell’esecuzione penale ai sensi del famigerato 4bis.
Note a margine
In Italia l’emergenzialismo elevato a sistema, ha prodotto, e continua a produrre, una ipetrofia della legislazione penale e penitenziaria, in nome di surrettizie emergenze criminali artatamente alimentate. A sostegno di quanto affermato si possono analizzare i dati relativi ai fenomeni criminali disponibili sul sito della Direzione Investigativa Antimafia (20). Seppur impensabile affrontare in questa sede una analisi approfondita di questo aspetto strettamente correlato alla massimizzazione delle politiche penali, invito chi legge a confrontare i dati e a porsi qualche domanda in merito alla effettiva funzione dei dispositivi coercitivi e punitivi sin qua affrontati. Due sono, a mio avviso, i dati e i quesiti che emergono con forza: il primo sulla pretesa funzione ed efficacia del regime di 41bis mentre, il secondo, fa emergere chiaramente il paradigma securitario e penalistico che i governi hanno assunto negli ultimi venti anni. Ulteriormente questi dati dovranno essere letti nel quadro più generale delle politiche sociali ed economiche. Gli elementi che emergono sono molteplici: a fronte di un calo sostanziale della quantità e qualità dei reati abbiamo un inasprimento delle pene ed un aumento delle fattispecie di reati.
1) Molte persone, presunti “capi” di organizzazioni, si trovano in 41bis da circa 25 anni mentre nelle relazioni della DIA risultano ancora essere al comando del proprio gruppo criminale. Da questa riflessione la prima domanda: se il 41bis serve ad interrompere i collegamenti con i gruppi di appartenenza e ad evitare che i “capi” impartiscano ordini, com’è possibile che questi continuino a farlo nonostante il 41bis?
2) se i reati comuni sono in calo e il potere militare della criminalità organizzata è stato pressoché annientato, perché si continuano ad ampliare e moltiplicare le fattispecie penali, ad inasprire i regimi penitenziari e a voler costruire nuove carceri?
Ai posteri l’ardua sentenza
Il carcere è lo specchio dei tempi che stiamo vivendo. Degrado e abbandono, indifferenza ed emarginazione. Alienazione. Dentro come fuori. Le responsabilità sono sistemiche ma non si riesce ad individuare chi, tra i tanti attori coinvolti nella farraginosa macchina penale, se ne debba assumere onere e responsabilità. Uno scaricabarile. L’umanità reclusa è stata trasformata in numeri da cancellare, assieme all’art. 27 svuotato, oramai, del suo onere a garanzia e tutela della dignità anche di coloro che sbagliano. Le leggi sono state immaginate e concepite per superare la vendetta individuale di fronte ai torti subìti; alle pene, attenzione, non al carcere, nelle intenzioni dei padri costituenti è stato dato il compito ri-educare le persone che i torti hanno commesso. Un compito difficile quello che l’articolo 27 (21) la Costituzione assegna allo Stato perché deve non solo dare gli strumenti per il superamento della mentalità deviante, ma deve anche, e soprattutto, rimuovere gli ostacoli sociali, economici e culturali che hanno permesso la devianza (22).
Leggiamola la Costituzione, scopriremo che… il carcere non è previsto. In nessun articolo.
Carcere, tossicodipendenze e ostatività
Lisa Sorrentino
La grave carenza e soprattutto l’inadeguatezza dei servizi assistenziali sono il prodotto di scelte di potere estremamente precise. Il fallimento delle politiche di risocializzazione genera, infatti, un fenomeno di proliferazione della repressione penale di tipo forte e contestualmente porta a rivalutare le esigenze di difesa sociale su cui da sempre hanno tratto linfa vitale le legislazioni di emergenza che diventano, inevitabilmente, la risposta migliore alle diverse situazioni di allarme sociale.
Attraverso questo meccanismo ben calcolato, il sistema penitenziario è legittimato ad attuare metodiche fortemente coercitive ed antisociali per eliminare dall’ordinaria vita sociale un segmento consistente di persone che possono potenzialmente generare dei problemi. Così facendo, in altri termini, si appagano i bisogni emotivi di una società indotta a credere nella repressione come unica soluzione possibile. Del resto, non è un mistero che il passaggio storico verso sistemi punitivi razionali e certi si sia da tempo palesato come un percorso obbligato, studiato e sperimentato ai soli fini della conservazione del potere. In questo senso, tutto è necessariamente funzionale ad accentuare le funzioni di controllo a discapito di quelle finalizzate ad un adeguato reinserimento sociale. Non vi è da stupirsi, difatti, se i rapporti delle amministrazioni penitenziarie continuino ad essere una burocratica raccolta di dati che si guardano bene dall’indagare su quanti abusi ci sono nelle nostre carceri, su quali e quante sindromi psichiche e fisiche di “prigionizzazione” vengono riscontrate nelle infermerie dei penitenziari. limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
14.706 dei 57.608 detenuti al 31/12/2017 sono tossicodipendenti. Il 25,53% del totale (23). A ciò si aggiunge che tra i detenuti si segnalano tassi di consumo di stupefacenti nell’arco della vita più alti di quelli riscontrati tra la popolazione generale e modelli di consumo molto più dannosi (24).
Purtroppo dai dati ufficiali sappiamo poco di più ma da un’analisi critica delle statistiche riportate è evidente la diretta correlazione esistente tra gli elevati tassi di cancerizzazione e i crescenti processi di criminalizzazione e di repressione che accompagnano le modifiche del quadro normativo di riferimento.
Continuando a mantenere alto l’impatto penale nei confronti dei reati di droga si è reso,di fatto, fallimentare il riscorso alle alternative terapeutiche prospettate dall’ordinamento penitenziario. Le alternative così come prospettate non hanno mai avuto un vero e proprio effetto deflattivo sul carcere ma hanno solo contribuito a rafforzare la perversa spirale carcere, controllo e contenimento. In questo modo il concetto di rieducazione è stato di fatto smascherato del suo valore idealistico e si è palesato come strumento utile a legittimare la privazione della libertà.
Al dramma-della-droga la comunità terapeutica ha dato una risposta ineccepibile. Partendo dal presupposto che il consumatore di droghe (anzi, di droga), fin tanto che non sarà completamente disintossicato, sarà privo di soggettività e quindi di diritti, sarà trattato come una non-persona, così come tradizionalmente è stato considerato il malato di mente (25). Sull’onda del dramma della droga, si reintroduce nel dibattito la necessità di un’istituzione totale a carattere coercitivo. Difatti, i programmi terapeutici alternativi al carcere, continuano ancora oggi, il più delle volte, a relegare il tossico – detenuto all’interno di un elemento morale in cui si trova in conflitto con se stesso e con quanto lo circonda, all’interno di un ambiente in cui, lungi dall’essere protetto, sarà conservato in una perenne inquietudine, minacciato dalla Legge e dalla Colpa (26).
L’interesse e la lotta di chi rivendica il rispetto della dignità della persona come valore fondante ha, nella relazione tossicodipendenze-carcere, una serie di obiettivi tra loro correlati. Diventa preminente continuare a rivendicare l’inadeguatezza delle istituzioni totali sulla base dell’indiscusso paradigma della dipendenza come malattia, mantenendo alta l’attenzione verso i programmi terapeutico –correzionali di sistema. In ultimo, ma non per importanza, il difficile obiettivo di riuscire a garantire per tutti i detenuti con problemi di tossicodipendenza la medesima possibilità di appellarsi all’inviolabilità dell’art. 32 della nostra Costituzione e di esercitare con dignità il proprio diritto alla salute. Chi si è macchiato di quei delitti elencati nell’ordinamento penitenziario all’art. 4 bis rischia, difatti, di assistere impotente ad un abuso istituzionalizzato. Il tossicodipendente “socialmente pericoloso”, non ha riconosciuta la stessa possibilità di usufruire di un programma di recupero presso una comunità terapeutica (27). Il carattere ostativo del titolo di reato costituisce una vera e propria presunzione assoluta prevista dal legislatore che ha ritenuto a priori che per determinate ipotesi criminose ricorrano “presuntivamente” sempre e comunque esigenze cautelari di eccezionale rilevanza.
La prigione: non si tratta di riformarla ma di estinguerla
Elisabetta Della Corte
Come si può immaginare, chi intende avviare un lavoro di ricerca sulle condizioni carcerarie e in particolare sul tema del lavoro carcerario s’imbatterà in una serie di difficoltà e d’inevitabili lacune conoscitive; troverà dati quantitativi non sempre attendibili e poche ricerche qualitative su aspetti centrali, come l’alienazione, che includano le testimonianze dei detenuti. Le difficoltà dell’esperienza carceraria di migliaia di persone, la disumana condizione di reclusi, di rado esce dai margini dell’interesse e del discorso pubblico e quando ciò accade, quando si rompe la soglia dell’invisibilizzazione, è per casi che destano clamore per la loro brutalità- come è avvenuto, ad esempio, di recente, con il caso di Stefano Cucchi, morto per i pestaggi subiti dalle guardie penitenziarie.
Spiega, infatti, Angela Davis nel suo libro Aboliamo le Prigioni?, un testo che ha fatto scuola sul tema spinoso del carcere e la necessità di abolirlo- considerandolo obsoleto - così come accade oramai per vecchie pratiche del passato oggi quasi del tutto scomparse, si pensi alla pena di morte o allo schiavismo. La Davis analizza le trasformazioni del sistema penitenziario dall’Illuminismo, con quel radicarsi di un’apparente naturalezza del carcere cosa che rende ‘’estremamente difficile immaginare di poterne fare a meno’’. … Il carcere… è considerato un elemento inevitabile e permanente della nostra vita sociale. I più rimangono sorpresi nel sentire che anche il movimento per l’abolizione delle prigioni ha una lunga storia, risalente addirittura alla comparsa del carcere come principale forma di punizione ... Molti sono già arrivati alla conclusione che la pena di morte è una forma antiquata di punizione che viola i principi basilari dei diritti umani. Penso che sia venuto il momento di incoraggiare un dibattito analogo sul carcere’’.
‘’Le prigioni sono diventate buchi neri in cui vengono depositati i detriti del capitalismo contemporaneo’’. Ed anche per questo che, analizzando l’andamento crescente della ‘’popolazione carceraria’’, la Davis, così come altri autori, ad esempio Loic Waquant28, focalizza l’attenzione sulle correlazioni tra le trasformazioni del sistema capitalistico e quello carcerario; la deindustrializzazione dell’economia degli anni ’80 e l’aumento delle carceri e dei detenuti sotto la presidenza Reagan in America. ‘’L’incarcerazione in massa- spiega la Davis, genera profitti divorando al tempo stesso il patrimonio pubblico, e tende perciò a riprodurre proprio quelle condizioni che portano la gente in prigione’’(p.23).
In sintesi, l’espansione del sistema penitenziario va analizzato all’interno dei processi di trasformazione economico-politiche, la mutazione del welfare in workfare, i cambiamenti del mercato del lavoro, l’aumento della povertà e degli esclusi, infine l’assottigliarsi delle misure di contrasto alla povertà.
L’espansione del sistema carcerario in Italia
Il governo neoliberale ‘’dell’insicurezza sociale’’, dagli anni ’70 in poi del secolo scorso, non solo in Italia, ha prodotto un numero crescente di detenuti.
Brevemente riportiamo pochi dati che possono essere utili per inquadrare a grandi linee di cosa si compone oggi l’apparato ‘’carcerario-industriale’’ del nostro paese. Stando alle informazioni fornite dal Ministero della Giustizia (31 agosto 2018) in una rete di 190 strutture penitenziarie sono recluse 59.803 persone (tra queste 20.189 sono migranti e 2.585 donne), quasi 9000 in più rispetto ai posti disponibili, cosa che rende le condizioni di vita degradanti. Già 2009, proprio perché il sovraffollamento costringeva i detenuti a vivere in condizioni disumane e degradanti,la Corte Europea,dopo il ricorso di Izet Sulejmonovic29 recluso a Rebibbia, ha sanzionato l’Italia per la violazione al divieto di usare ‘’trattamenti inumani e degradanti’’; nel 2013, di nuovo, con la sentenza Torreggiani, La Corte Europea ha, ancora una volta, condannato il governo italiano per il mancato rispetto della dignità umana, ed in particolare per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani.
Negli ultimi dieci anni sono morte nelle carceri italiane 2.899 persone, la metà di questi morti si sono tolti la vita impiccandosi (Rapporto Antigone30).
I costi dell’apparato industriale carcerario
Il carcere ci costa, stando ai dati del bilancio preventivo per il 2018, 2.9miliardi di euro, di cui l’80% assorbito dalle spese per il personale penitenziario e civile. Se si divide la spesa annuale, di poco meno di tre miliardi, per il numero di detenuti si arriverebbe ad una spesa giornaliera di circa 300 euro, così come sosteneva Salvini, ma i dati a disposizione sono scivolosi, altre fonti stimano 137 euro giornalieri (Associazione Antigone) e se si guarda ai dati del 2013 del Ministero della Giustizia, la spesa giornaliera di sostentamento era meno di 10 euro al giorno per detenuto. In sintesi a fronte di una spesa consistente sono poche le risorse che direttamente riguardano i detenuti, la maggior parte, infatti, copre le spese per il servizio di sorveglianza delle guardie carcerarie.
La rete della produzione carceraria
In Italia, come si accennava,la popolazione carceraria è distribuita in circa 190 strutture che spesso sono anche stabilimenti produttivi—essi si alimentano del lavoro dei reclusi non solo per le attività di gestione interna (assistenza socio-sanitaria o piantone che dir si voglia, pulizie, lavori domestici, e lavorazioni industriali per uso interno come mobili, letti, scaffali, sedie, tavoli, federe, coperte e tute, ma anche servizi come lo smistamento della posta, etc.), ma anche per lavori per conto terzi, cioè per imprese e cooperative che esternalizzano quote di lavoro e produzione dall’azienda al carcere gestendo le lavorazioni all’interno. Tutto questo anche grazie agli sgravi contributivi e ai crediti d’imposta introdotti dalla legge Smuraglia: la legge 193/2000 che garantisce importanti facilitazioni per ‘’fare impresa’’ usando il lavoro dei detenuti31. Sono circa un migliaio i detenuti coinvolti dalle imprese con le agevolazioni Smuraglia.
Un esempio è quello di Callipo, il noto imprenditore calabrese del tonno, che dal 2016, nel picco produttivo natalizio, fa ricorso ad alcuni lavoratori del Penitenziario di Vibo, 7 persone, per confezionare i pacchetti regalo con i prodotti che l’azienda commercializza per le festività natalizie. A Napoli, invece, nella sezione femminile del Carcere di Poggioreale, alcune donne lavorano per Marinella, noto artigiano napoletano per confezionare cravatte per il corpo penitenziario dello stato e per regali di lusso. La Mutti spa, per la produzione e il confezionamento delle conserve di pomodoro, invece, ha siglato un protocollo d’intesa con la casa circondariale di Carinola. Il ciclo produttivo prevede la coltivazione dei pomodori nei campi a disposizione della casa circondariale e la trasformazione e il confezionamento in carcere.
Quasi ogni carcere ha la sua quota di produzione, e con la recente ristrutturazione anche una maggiore specializzazione, ad esempio nel carcere di Lecce c’è la falegnameria, in quello di Trani la sartoria, in quello di Ivrea la tipografia, ed ancora a Napoli a Poggioreale la falegnameria, mentre a Siracusa tessitoria e sartoria come a accade anche a Rebibbia a Roma etc. Stando ai dati ufficiali sul lavoro in carcere- riportati nella Relazione al parlamento sullo svolgimento da parte dei detenuti di attività lavorative o corsi di formazione professionale per qualifiche richieste da esigenze territoriali -- sono circa 19.000 i detenuti che lavorano. La maggior parte è impegnata in lavori per il funzionamento delle carceri e solo poco più di duemila quelli impiegati da aziende e cooperative.
Nella logica del sistema penale e penitenziario, “il lavoro all’interno degli istituti è ritenuto dall’ordinamento penitenziario l’elemento fondamentale per dare concreta attuazione al dettato costituzionale, che assegna alla pena una funzione rieducativa e l’amministrazione penitenziaria è costantemente impegnata ad offrire nuove opportunità lavorative per la popolazione detenuta”(32).
Ma al di là della retorica, in realtà le opportunità maggiori sembrano riguardare più l’aumento dei margini di sfruttamento dei lavoratori detenuti, e quindi la riduzione dei costi di produzione con la compressione dei salari in violazione a quanto stabilito dai Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro (CCNL) di settore – spiega un detenuto- e l’uso spregiudicato di lavoratori a basso costo, non sindacalizzati, flessibili rispetto alle esigenze produttive e che, last but not least, non possono scappare.
Proprio sulla questione dei salari, i giudici del lavoro hanno accolto i ricorsi dei detenuti che chiedevano le differenze retributive maturate e l’adeguamento retributivo a quanto sancito dal CCNL di settore e l’Amministrazione penitenziaria si è trovata così a rimborsare le differenze retributive maturate nel corso degli anni con relativi interessi e spese giudiziarie.
Per chiudere senza concludere
Se da un lato si parla poco di ciò che accade in carcere, dall’altra, proprio il modo in cui si sviluppa e si alimenta il sistema penitenziario può aiutarci a ricostruire molte degli orrori che si annidano e si nascondo nella nostra società, come la qualità della sua presunta democrazia, dell’economia neoliberale; e prima di tutto sul senso della legalità di un paese che poco o niente percepisce l’etica della dignità umana e le potenzialità sociali latenti.
Il dibattito sul carcere in generale si divide, grossomodo, tra quanti ne sostengono le ragioni, quelli che vorrebbero riformarlo; e quanti, infine, sostengono che è un’istituzione non da riformare né da abolire, ma da estinguere.
Anche il discorso sulle finalità rieducative e riabilitative del lavoro in carcere, vede su fronti contrapposti coloro che sostengono si tratti di un valido strumento per la riabilitazione e il reinserimento sociale- indispensabile nella costruzione dei profili di buona condotta dei detenuti; e quanti, invece, leggono il boom del lavoro carcerario negli ultimi anni all’interno delle trasformazione del sistema neoliberale e alle nuove esigenze di controllo sociale di una massa di popolazione impoverita. Il business della carcerazione è, infatti, in crescita.
In tutti i paesi a cosiddetto capitalismo post-moderno, il comparto carcerario-industriale è diventato uno dei pilastri dell’economia. Solo in Italia, come abbiamo visto, la detenzione di circa 60 mila persone costa quasi 3miliardi di euro. E si tratta di spese in crescita vista la politica espansiva del sistema carcerario. Estinguere il carcere, contrapporre al ‘’sadismo istituzionalizzato’’ vie d’esodo all’alienazione carceraria sarebbe non solo utile ma anche auspicabile in termini economici.
Queste considerazioni preliminari rendono evidente che un processo che punti all’estinzione del carcere, cioè alla ‘’liberazione dei detenuti ad opera dei detenuti stessi’’ richiede di andare oltre la pratica dei Radicali italiani che generosamente, ma senza grande costrutto, mirano a ridimensionare la presenza del carcere nella nostra società attraverso l’intervento politico e il ricorso a competenze istituzionali.
A noi, viceversa, risulta chiaro, che l’opera di rieducazione di coloro che hanno commesso delitti avviene attraverso l’autoformazione dei reclusi più che attraverso il lavoro salariato; autoformazione che necessariamente ha bisogno di relazioni con intellettuali e ceto politico in quanto competenze che possono essere utilizzate dai detenuti.
Per quanto paradossale possa sembrare, per ‘’redimere’’ i condannati bisognerebbe puntare anziché sul lavoro, esterno o interno che sia, sulla formazione della personalità, sicché un capannone industriale serve a ben poco rispetto a quanto possa fare l’opera di una scuola in ogni prigione che punti alla formazione di una personalità critica, così come prescrive la nostra costituzione: dove viene offerta la possibilità di cercare la propria vocazione o destino.
È evidente, in questo quadro, che non avverrà nessuna modifica radicale delle condizioni disumane delle carceri italiane, in particolare il 41bis, senza che vi sia una lotta di queste moltitudini in prigione. Una lotta che unisca alla paziente capacità di durare il saper rischiare; e questo comporta che l’intervento sul carcere dall’esterno deve da una parte mostrare che la ribellione è possibile e costituzionalmente valida; dall’altra che le forme di lotta – occupazioni, rivolte, scioperi della fame, sabotaggi, boicottaggi, etc- vengano calibrate secondo la contingenza e in primo luogo in funzione delle reazioni del potere carcerario. In questo senso il processo di estinzione del carcere che avverrà solo in forme necessariamente distruttive- perché è attraverso questa stessa distruzione gli individui che lottano si liberano di quegli stessi sentimenti che li avevano resi complici, ancorché vittime, dell’etica carceraria.
Note:
1 Napoli Secondigliano (41bis, AS1), Voghera (AS1, AS3), Siano-CZ (AS1), Massama-Or (AS1, AS3), Sulmona (AS1, AS3), Milano Opera (41bis, As1, As3), Parma (41bis, AS1, AS3), Rebibbia Nuovo Complesso (41bis, AS3), Spoleto (41bis, As3), Cuneo (41bis, AS3), Novara (41bis) L’Aquila (41bis), Bancali Sassari (41bis, AS3), Viterbo (41bis), Tolmezzo (UD) (41bis, AS3), Ascoli Piceno (41bis, AS2), Terni (41bis, AS2, AS3), Nuoro (AS3), Teramo, Reggio Calabria (Arghillà, AS3 masch, San Pietro, AS1 femm.), Fossombrone (AS3), Lecce (AS1 F, A3 M.), Padova (AS3), Palmi (AS3), San Gimignano-SI (AS3), Rossano Calabro-CS (AS2 e AS3), Benevento (AS2), Saluzzo (AS3), Bari (AS3).
2 Relazioni consultabili su: www.eleonoraforenza.it/category/movimenti-e-lotte/stop-repressione/ ; www.yairaiha.org ; www.osservatoriorepressione.info
3 La L. 279/2002 è la legge che ha rafforzato e reso effettiva l’ostatività prevista dal 4bis O.P.
4 Ricorso n. 33695/96, Musumeci vs Italia. La IV sez. della Corte Europea dei Diritti dell’uomo l’11 gennaio 2005
ha condannato l’Italia per la violazione dell’art. 6 par. 1, della Convenzione, per aver violato il diritto di accesso ad un Tribunale in relazione all’applicazione del regime E.I.V. sancendone la maggiore afflittività.
5 Tra gli altri si citano l’Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-00337 presentato dal Sen. F. Giannini il 19 luglio del 2006 e l’Interrogazione a risposta scritta n. 4/05020 presentata da F.S. Caruso in data 28/09/2007.
6 Circolare DAP n. 3619/6069 del 21 aprile 2009.
7 Nello stesso paragrafo della circolare DAP n. 20/2007 si legge: “(….)In particolare, con la presente circolare si intendono dettare alcune precipue disposizioni tese a garantire la sicurezza del circuito che al contempo ne esaltino - pur sempre nel rispetto del dettato costituzionale, e con criteri di separazione, di osservazione e di
intervento - le finalità preventive rese non ulteriormente trascurabili dalla sempre maggiore aggressività e capacità di infiltrazione della criminalità organizzata.(…) Nei confronti di tali soggetti la separazione si impone non solo in base a considerazioni di natura preventiva (spiccata pericolosità ed elevato spessore delinquenziale) ma soprattutto in forza della valutazione emessa nei loro confronti proprio dall’ordinamento penitenziario che giustamente li esclude dai benefici premiali (…). La legge medesima pertanto ne limita gli aspetti trattamentali, salvi i casi di collaborazione con la giustizia, quale segno tangibile della loro fuoriuscita dall’ambito delinquenziale di provenienza.
8 Sull’incostituzionalità dell’ergastolo ostativo nel 2016 l’on. Eleonora Forenza ha presentato una interrogazione al parlamento europeo: https://www.eleonoraforenza.it/interrogazione-sullergastolo-ostativo/
9 Cedu, Grande Camera, sent. 9 luglio 2013, Vinter c. Regno Unito, ric. n. 66069/09, 130/10 e 3896/10
10 Ad eccezione di Spagna e Portogallo i cui ordinamenti non prevedono la condanna a vita, tutti gli altri Stati dell’Unione Europea prevedono la condanna all’ergastolo soggetta a revisione periodica dopo un determinato periodo di tempo che varia da Stato a Stato. L’ergastolo ostativo esiste solo in Italia e Inghilterra.
11 Cass. Penale, sez I, 20 ottobre 2017 n. 48424
12 Al 31 agosto 2018 le persone detenute presenti nelle carceri italiane sono 59.803 a fronte di una capienza regolamentare di 50.544 posti. Tra i quasi 60.000 detenuti troviamo 20.189 migranti; 2.585 donne; 9.901 in attesa di giudizio; 9.766 condannati non definitivi; 39.090 definitivi. Va sottolineato che il 90% della popolazione italiana detenuta è originaria delle 4 regioni del sud (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia). Inoltre sono 24.116 le persone in esecuzione penale esterna (domiciliari, ecc). Il dato, in costante crescita, fa eco al trend europeo che registra un incremento che va dal 5,5% della Danimarca al 10,8% della Bulgaria, ad eccezione dei seguenti paesi: Islanda (-15,9%), Irlanda del Nord (-11,8%), Lituania (-11,1%), Belgio (-10,1%) e Georgia (-6,7%).
In termini di sovraffollamento l’Italia è al quinto posto con 118,31% dopo Repubblica jugoslava di Macedonia 132%, Ungheria 132%, Cipro 127% e Belgio 120%. Seguono la Francia 117%, Portogallo 109%, Albania 108%, Serbia 109%, Repubblica ceca 108%, Romania 106% e Turchia 103%.
13 “Sull’eccesso di potere discrezionale della magistratura di sorveglianza” – www.yairaiha.org
14 F.M. detenuto nel carcere di Voghera e deceduto a settembre del 2017. È stato aperto un fascicolo per omicidio colposo.
15 Inesigibilità, impossibilità o irrilevanza della collaborazione vengono riconosciuti quando tutti i fatti relativi ai reati per cui si è riportata condanna sono stata accertati (art. 58 ter O.P.). Differisce dalla c.d. “collaborazione totale” ai sensi della L. 82/91 che, in ogni caso, deve essere resa spontaneamente e non richiesta o obbligata dagli organi investigativi.
16 C. Cost., sent. 21 giugno 2018 (dep. 11 luglio 2018), n. 149, Pres. Lattanzi, Est. Viganò. https://www.penalecontemporaneo.it/d/6178-dalla-corte-costituzionale-una-coraggiosa-sentenza-in-tema-di-ergastolo-e-di-rieducazione-del-conda
17 Sentenza A. Greco. Cass. I sez. pen. N. 3278/ 2018 del 18.7.2018; Sentenza Cass. I sez. pen. N. 36457/ 2028 del 9.4.2018 - e articolo di D. Aliprandi http://ildubbio.news/ildubbio/2018/11/18/173868/
18 Sentenza Cedu del 28/10/18: Case of Provenzano c. Italy, application n. 55080/13. http://questionegiustizia.it/articolo/provenzano-v-italia-la-corte-edu-condanna-l-italia-per-violazione-dell-
19 Sentenza non ancora depositata alla data di stampa.
vedere articolo di D. Aliprandi - http://ildubbio.news/ildubbio/2018/11/22/cassazione-e-incostituzionale-il-vincolo-di-collaborazione-del-4-bis/articolo-3-cedu_25-10-2018.php
20 http://direzioneinvestigativaantimafia.interno.gov.it/page/relazioni_semestrali.html
21 Articolo 27 Cost. La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra.
22 Articolo 3 Cost. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
23 Dati tratti da Nono Libro bianco sulle droghe - Giugno 2018- A cura di Grazia Zuffa, Stefano Anastasia, Franco Corleone.
24 Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (2018), Relazione europea sulla droga 2018: tendenze e sviluppi, Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea, Lussemburgo.
25 http://www.ecn.org/filiarmonici/comunita-coercitiva.html
26 Michel Foucault, Storia della Follia nell’Età Classica, Milano 1963, pagg. 459/50
27 N. 243 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 giugno 2014
Ordinanza del 10 giugno 2014 del G.I.P. del Tribunale di Catanzaro nel procedimento penale a carico di P.M.. Processo penale - Misure cautelari - Imputato tossicodipendente o alcooldipendente che abbia in corso o che intenda sottoporsi a un programma terapeutico - Applicazione o sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari o in struttura privata autorizzata - Inapplicabilita’ della misura alternativa quando si procede per il delitto di cui all’art. 74 del d.P.R n. 309 del 1990 (Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope) per come richiamato dall’art. 4-bis della legge n. 354 del 1975 - Mancata previsione della salvezza dell’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza - Lesione del diritto alla salute - Ingiustificata discriminazione rispetto ai tossicodipendenti imputati di altri reati - Parita’ di trattamento tra fattispecie delittuose diverse - Violazione del principio di non colpevolezza - Violazione del principio di inviolabilita’ della liberta’ personale. - Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, art. 89, comma 4. - Costituzione, artt. 3 e 32. (14C00352) (GU 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale n.2 del 14-1-2015)
28 Loic Wacquant, Punishing the Poor: The Neoliberal Government of social insecurity, 2009.
29 Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 16 luglio 2009 - Ricorso n. 22635/03 - Sulejmanovic c. italia
https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_20_1.page;jsessionid=DnrHg5g3fb8-bXb8moNzp+T8?contentId=SDU151219&previsiousPage=mg_1_20
30 http://www.antigone.it/quattordicesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/
31 Legge 22 giugno 2000, n. 193”Norme per favorire l’attività lavorativa dei detenuti”pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 162 del 13 luglio 2000 http://www.parlamento.it/parlam/leggi/00193l.htm
32 http://www.ristretti.it/commenti/2018/marzo/pdf5/relazione_lavoro.pdf
* Tratto da "Dossier sulla repressione" edito da Il Salto
PERCHE ABOLIRE
Osservatorio repressione, 4 marzo 2019 in Rete dissenso
Contributo al dibattito per la costruzione
di un movimento antipenale e abolizionista di Vincenzo Scalia
docente all’ University of Winchester (UK) e membro dell'associazione Yairaiha
Perchè abolire?
Parlare di abolizionismo, in tempi di securitarismo
dilagante, di legittima difesa, di caccia al terrorista presunto da
ostentare come trofeo, suona quasi come una bestemmia. In realtà, se
si scrosta la patina ideologica ed emozionale, e si analizza in
profondità la sfera carceraria, ci troviamo di fronte ad una
pluralità di ragioni, di tipo funzionale, politico e valoriale, che
suggeriscono di immettersi sulla strada dell’abolizionismo.
Innanzitutto, il carcere non rappresenta un
orizzonte irreversibile della punizione. La reclusione cellulare
rappresenta un’istituzione della modernita’, che mirava, da
Beccaria in poi, a rendere la punizione meno disumana della punzione
pre-moderna. Oggi la carcerazione riguarda poco piu’ della meta’
degli autori di reati. In Italia siamo attorno a 60.000 detenuti, a
cui vanno aggiunti altrettanti in esecuzione penale esterna,
detenzione domiciliare, messa alla prova.
In secondo luogo, come non e’ oggettiva la
punizione, non lo e’ nemmeno il crimine. Per esempio, fino al 1981
era un reato l’adulterio (commesso dalle donne) ma non lo era il
delitto d’onore, che, se veniva punito, lo era in modo blando. Dal
1990 in poi, a fare schizzare verso l’alto la detenzione, hanno
contribuito principalmente due tipi di legislazione: quella sul
consumo degli stupefacenti, e quelle sulle migrazioni. Queste ultime
hanno spinto I migranti nell’alveo dell’economia illegale,
alimentando il circuito dei reati legati alla violazione della legge
sugli stupefacenti. Basterebbe legalizzare gli stupefacenti e
implementare politiche di accoglienza per ridurre drasticamente I
reati di strada. Furto, spaccio, scippo, rapina, rissa, lesione,
rappresentano il 75% dei reati commessi. Anche la criminalita’
organizzata risulterebbe drasticamente ridimensionata da una politica
antiproibizionista. Non bisogna nemmeno dimenticare che il 50% dei
reclusi viene prima o poi assolto in uno dei gradi di giudizio.
In terzo luogo, come notano i zemiologisti inglesi
(Tombs, Whyte, Scraton, 2015), la criminalita’ di strada spesso
viene coperta da polizze assicurative, e non richiede necessariamente
la reclusione. Mediazione penale o ammende potrebbero coprire questa
fattispecie di reati.
In quarto luogo, la produzione della devianza, come
ci ricordano Melossi e Pavarini (2018, II edizione), avviene
selezionando l’utenza tra gli strati marginali e subalterni della
popolazione: meridionali, operai, contadini, disoccupati, vagabondi,
prostitute, migranti, hanno da sempre costituito il nocciolo duro del
circuito penale, producendo e riproducendo logiche di dominio e di
sottomissione di classe.
Inoltre, le carceri rappresentano un luogo di
sofferenza, lungi dall’essere quegli alberghi a cinque stele che si
vorrebbe far credere. Il sovraffollamento e’ il primo problema: in
Italia, 60.000 detenuti, occupano lo spazio destinato a 42.000, con
una situazione ancora piu’ grave nelle case circondariali. Il 25%
dei detenuti e’ affetto da patologie gravi: tubercolosi, AIDS,
Epatiti di vario tipo…I suicidi si verificano in ragione di 1 ogni
1000 detenuti, cento volte di piu’ rispetto all’esterno. Chiudere
questi luoghi di sofferenza servirebbe a rendere piu’ umana la
societa’.
Infine, l’investimento nella sfera penale
(Christie, 1996; Wacquant, 2003) sottrae risorse per l’istruzione,
gli alloggi, la sanita’, il welfare, generando un’economia della
pena che contribusice a costruire profitti imprenditoriali, carriere
politiche, salari, a detrimento dell’integrazione sociale di vaste
parti della popolazione. La privatizzazione della sfera
penitenziaria, che in alcuni paesei europei e negli USA e’ gia’
andata avanti, rappresenta una nuova soglia affaristica, con la
creazione di un business penitenziario che va a detrimento del
rispetto dei diritti individuali.
Aboliamo il carcere, prima che
sia tardi!
Vincenzo Scalia
– University of Winchester (UK)
Detenuto torturato dai secondini la lettera di denuncia inviata da Cosenza
Quindici agenti per trasferire un uomo che pesa 45 chili da una cella a un’altra. Pestaggio per i testimoni
COSENZA – Un bagno di sangue per un semplice trasferimento da una cella all’altra. Un episodio che ha portato alla sospensione di quattro agenti della polizia penitenziaria e ‘valutazioni disciplinari’ su tutti i 15 indagati. Provvedimenti adottati dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria dopo l’inchiesta della Procura di Siena volta a far luce sul pestaggio di un tunisino con problemi psichiatrici avvenuto nel carcere di San Gimignano nel 2018 e dell’aggressione ai detenuti testimoni presenti finiti anche loro in infermeria quel pomeriggio per poi essere trasferiti in altre strutture carcerarie. Il reato di tortura appare tra le accuse mosse ai 15 ‘secondini’ della casa di reclusione toscana che dovranno rispondere di minacce, maltrattamenti, lesioni aggravate e falso ideologico commesso da pubblico ufficiale.
Le indagini sono partite dalle segnalazioni di alcuni detenuti al Tribunale di Siena e al Tribunale di Sorveglianza veicolate attraverso una lettera inviata all’associazione Yairaiha di Cosenza. Una missiva in cui veniva descritto nel dettaglio cosa succedeva tra le mura del penitenziario senese. Denunce rese note dalla presidente dell’associazione Yairaiha di Cosenza Sandra Berardi che ha sollecitato l’intervento del Ministro della Giustizia, dell’europarlamentare Eleonora Forenza, del presidente della Camera dei deputati Roberto Fico, del Garante Nazionale delle persone private della libertà Mauro Palma e del Garante dei detenuti Regione Toscana Franco Corleone che da anni lamentava una ”situazione intollerabile” nel carcere di San Gimignano. A cristallizzare i racconti dei detenuti pare vi siano le immagini di videosorveglianza che hanno immortalato il 31enne mentre veniva selvaggiamente picchiato dai 15 agenti in servizio. Sono loro i primi pubblici ufficiali in Italia ai quali viene contestato il reato di tortura che si dovranno difendere dalle accuse mosse dai detenuti.
LA LETTERA PARTITA DA COSENZA
Ecco la missiva inoltrata da Sandra Berardi, presidente dell’associazione Yairaiha di Cosenza. «Abbiamo ricevuto dal carcere di San Gimignano una segnalazione da parte di un detenuto. Di seguito si riporta testo integrale. “…il problema è nato il 11/10/2018 quando circa le 15:20 è arrivata qui nella sezione di istituto una vera e propria squadriglia, una specie di non trovo le parole, ecco un vero e proprio raid, oltre 20 agenti, compresi due ispettori, ed io con altri detenuti qui all’isolamento ci hanno fatto assistere a un vero e proprio pestaggio nei confronti di un extra-comunitario. Nel frattempo che il detenuto veniva spostato da un’estremità dalla sezione all’altra a calci e pugni, cioè intendo che non è che hanno provato magari con un piccolo atto di forza magari con qualche spintone visto che il detenuto psicologicamente e fisicamente non sta affatto bene, peserà intorno ai 45 chili e lo dovevano spostare in un’altra cella, perché aveva rotto quella in cui era ubicato. C’è da dire che questo detenuto non è violento con altri, non lo è mai stato, forse con lui stesso lo è stato.
Comunque noi detenuti abbiamo denunciato tutto e da lì è iniziato il nostro calvario, soprattutto il mio perché dopo sei giorni cioè il 17/10/2018 mi sono state contestati due fatti, una che risaliva al giorno 08/10/2018 e una giorno 11/10/2018. Nella prima che io avrei detto “bastardo” a un ispettore e l’altra, cioè durante il pestaggio all’extra-comunitario, non solo ho ricevuto un pugno in testa come da referto mostrato. Cioè, io chiuso in cella, avrei ripetutamente sputato contro agenti dicendogli “siete tutti bastardi”. Fortunatamente per una volta ci sono le telecamere, ben due, di sorveglianza che sono state acquisite dal Giudice di competenza, come da noi richieste dalla denuncia. Adesso ho solo paura, ma ci sarà tempo per spiegarvi tutto più dettagliato e leggibile“. I fatti narrati, qualora trovassero riscontro, sarebbero di una gravità estrema, l’ennesimo caso di abusi e violenza da parte del personale di polizia penitenziaria ai danni di persone inermi e, in questo caso, con forte disagio psichico. Inoltre siamo molto preoccupati anche per l’incolumità e la sicurezza della persona che ha fatto la segnalazione in quanto lo stesso è stato trasferito nel carcere di xxxxx pochi giorni dopo l’accaduto del quale, se necessario, forniremo le generalità. Vi chiediamo pertanto di voler verificare quanto descritto e di tenerci aggiornati sugli sviluppi che ci saranno».
Caso Rosa Zagari la madre Hanno trasferito mia figlia non la curano e vive in un lager
Rosa Zagari, dopo una caduta, rischia la paralisi e a
messina non riceve le terapie previste. La denuncia della madre della
compagna dell’ex latitante Ernesto Fazzalari l’associazione
Yairaiha onlus ha segnalato il caso già da luglio
È stata trasferita al centro clinico del
carcere di Messina, ma è ancora a rischio paralisi in quanto i suoi
arti superiori e inferiori sono quasi completamente atrofizzati.
Parliamo di Rosa Zagari, condannata in primo grado a otto anni al
processo denominato “Terramara Closed”, compagna dell’ex
latitante Ernesto Fazzalari di Taurianova – catturato nel 2016 –,
a considerato il ricercato più pericoloso dopo l’imprendibile
Matteo Messina Denaro. A denunciare il perdurare dell’immobilismo
da parte dell’amministrazione penitenziaria per garantirle le
adeguate cure è l’associazione Yairaiha Onlus che si occupa dei
diritti dei detenuti.
Più di un mese fa grazie al sollecito
dell’associazione e all’articolo pubblicato da Il Dubbio,
Rosa Zagari è stata trasferita dal carcere di Santa Maria Capua
Vetere dove non veniva curata, per garantirle appunto le terapie
prescritte dai medici. Ma cosa le era accaduto? Il nove febbraio
scorso, quando era al carcere di Reggio Calabria, è caduta nella
doccia. Subito è stata trasportata all’ospedale, nel reparto di
neurologia, e dalla tac è emersa una «duplice rima di frattura
lineare in corrispondenza del processo trasverso di destra di L3 e
rima di frattura a livello del processo trasverso di L2».
Il primario ha consigliato delle cure adeguate per
evitare peggioramenti. «Riposare su letto rigido idoneo – si legge
nella cartella clinica -, praticare terapia medica con antalgici al
bisogno e proseguire con la terapia antitrombotica come da
prescrizione neurochirurgica. Si consiglia inoltre di iniziare fin da
subito a sottoporsi a prestazioni di Magnetoterapia alla colonna, a
massaggio leggero decontratturante dei muscoli paravertebrali, alla
rieducazione motoria degli arti inferiori, per cicli di 20 gg. al
mese per almeno 5 mesi». E infine: «Utile, ma solo dopo il terzo
mese e dopo controllo radiografico e specialistico, oltre alle
prestazioni di fisioterapia, la rieducazione dei muscoli
paravertebrali e della colonna dorsolombare in piscina, in assenza di
carico sul rachide» . Cure però tuttora non ricevute, nonostante il
trasferimento al centro clinico del carcere messinese.
L’associazione Yairaiha Onlus si era attivata il 16
luglio scorso scrivendo al Garante nazionale delle persone private
della libertà, a quello regionale, al ministro della Giustizia e al
magistrato di sorveglianza, sollecitando un intervento urgente perché
«le cure ricevute sono state esigue e inadeguate limitando la
terapia al busto, che porta ininterrottamente dal 9 febbraio, e ad
antidolorifici. Riteniamo – concludono – che il diritto alla
salute rientri tra i diritti fondamentali dell’uomo, a prescindere
dagli eventuali reati commessi, così come sancisce la nostra
Costituzione».
L’avvocato Antonino Napoli, legale di Rosa Zagari, ha
anche presentato un’istanza a giugno scorso, denunciando la
mancanza di cure e ha chiesto la nomina di un perito per verificare
lo stato di salute della donna, anche per chiedere la compatibilità
delle sue condizioni con il regime carcerario. Ma a testimoniare le
cure non appropriate è proprio la madre di Rosa che ha scritto
l’ennesima lettera rivolte alle istituzioni.
«Attualmente Rosa – scrive la signora Teresa Moscato
– si trova presso l’Istituto penitenziario di Messina ma non è
stata trasferita in una clinica, bensì in un lager, non viene
curata, non viene considerata, e i medici oltre ad essere
responsabili di atteggiamenti satiriche di basso livello, se ne
lavano le mani, ricordando le gesta di un detto Ponzio Pilato.
Nell’Istituto penitenziario di Messina, le hanno
sospeso la somministrazione di Flactadol per sostituirlo al
Contramal, farmaco che deriva dalla classe degli oppioidi, cure,
dunque, non appropriate affinché migliori la condizione di salute di
mia figlia». l diritto alla salute, da ribadire ancora una volta, è
riconosciuto universalmente dalla nostra Costituzione, compreso chi è
privo della libertà.
Non a caso l’articolo 39 comma 2 dell’ordinamento
penitenziario sancisce espressamente l’obbligo di sottoporre a
costante controllo sanitario il soggetto detenuto, garantendo, la
propria tutela alla salute. Un diritto garantito anche dalla
Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e dalla Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, che sancisce espressamente il divieto di sottoporre i
detenuti a trattamenti disumani e degradanti.
LAVORO SOTTOPAGATO 30 lavoratori detenuti vincono vertenza contro il Ministero di Giustizia
Quando
si parla di lavoro intramurario è difficile immaginare il lavoro
svolto dai detenuti come un lavoro “normale”. Nella percezione
comune il lavoro in carcere equivale ad una estensione della pena
stessa con funzione retributiva sfiorando, pertanto, l’idea tanto
cara a certa politica, che auspica la reintroduzione dei lavori
forzati. Sempre più frequentemente si ha notizia di protocolli
d’intesa che coinvolgono vari enti, pubblici e privati, che vedono
impiegata manodopera detenuta a titolo volontario o gratuito,
sostituendo alla retribuzione della prestazione lavorativa il bollino
della “buona condotta”. Ma così non è. Il lavoro, anche se
svolto da persone detenute, deve essere retribuito come da contratto
collettivo nazionale, in base alle mansioni svolte e alle ore.
Il
principio riconosciuto e sancito all’interno della Costituzione,
del Codice Civile e nelle norme dell’Ordinamento Penitenziario
fissa l’assoluta parità di diritti tra il detenuto lavoratore e il
lavoratore libero.
I
detenuti che all’interno delle case di detenzione italiane svolgono
mansioni lavorative dai nomi alquanto anacronistici quali “spesino”,
“scopino”, “piantone”, “portavitto” non vedono adeguarsi
la loro mercede (la retribuzione di chi lavora appunto nelle carceri)
dal lontano 1993 in quanto è da allora che per la mancanza di fondi
la Commissione Ministeriale responsabile di disporre gli adeguamenti
non si riunisce, quindi è da oltre 20 anni che l’Amministrazione
Penitenziaria e per suo tramite il Ministero della Giustizia si trova
ad essere causa di discriminazione dimenticando la funzione di
rieducazione che invece deve essere garantita ma soprattutto
tale condotta va a scapito dell’affermarsi di una valida cultura
del lavoro all’interno degli istituti penitenziari.
Pertanto
al fine di vedere riconosciuti i propri diritti in ambito lavorativo
decine di detenuti che scontano la propria pena nelle case
circondariali di tutta la penisola, tra cui Voghera, Catanzaro,
Oristano, Parma, Novara e Tolmezzo, ecc., si sono rivolti
all’associazione Yairaiha che ha investito i legali avv. Giuseppe
Lanzino e avv. Marco Aiello, del Foro di Cosenza, e i consulenti del
lavoro dott. Lino Landro e il dott. Alessandro Occhiuto per
rielaborare le differenze retributive e promuovere l’azione legale.
Sono
già oltre 30 i contenziosi intrapresi contro il Ministero della
Giustizia ai fini della corresponsione ai detenuti lavoratori delle
differenze retributive cui hanno pieno diritto stante la violazione
dell’art. 22 dell’ordinamento penitenziario ai sensi del quale la
cosiddetta “mercede” non deve essere inferiore ai due terzi della
retribuzione stabilita per gli altri lavoratori della stessa
categoria del CCNL (contratto collettivo nazionale di lavoro) in
vigore ma per l’appunto, a causa di tale violazione in forza del
mancato adeguamento dei livelli retributivi per carenze economiche,
la forbice tra i compensi di chi è “fuori” e chi è “dentro”
si è allargata sempre di più determinando i detenuti legittimati a
rivolgersi all’Autorità competente.
Finora
ogni ricorso iscritto alla
sezione lavoro del Tribunale di Roma si è concluso con successo e
anche in breve termine in quanto, al fine di accelerare le
tempistiche e con l’assenso dei lavoratori, sono state avanzate
proposte transattive sinora tutte accettate dall’Amministrazione
Penitenziaria, per cui in tempi celeri i detenuti lavoratori hanno
visto tutelato il proprio diritto ad una giusta ed equa retribuzione.
Associazione
Yairaiha Onlus 27-10-2019
Napoli e Roma un ex narcotrafficante garante dei detenuti Rebibbia vietata alla presidente della onlus
Il Dubbio, carcere
Damiano
Aliprandi 13 Dec 2019 11:31 CET
Pietro Ioia è stato nominato dal sindaco Luigi de
Magistris. Sandra Berardi, presidente dell’associazione Yairaiha,
non è stata autorizzata a partecipare a una iniziativa giovedì
scorso nel carcere romano
Da una parte un ex
narcotrafficante che non solo si è riscattato nella vita, ma si è
attivato per migliorala anche agli altri ed è stato da poco eletto
dal sindaco Luigi De Magistris di Napoli, come garante locale dei
detenuti. Dall’altra la presidente di un’associazione che ha
compiuto visite nelle carceri e portato all’attenzione delle
istituzioni vicende gravi, come il presunto pestaggio all’interno
del carcere di San Gimignano, che si è vista negare
dall’amministrazione penitenziaria l’autorizzazione per
partecipare ad una iniziativa del carcere di Rebibbia.
La prima vicenda
riguarda Pietro Ioia, ed è la dimostrazione vivente che anche un ex
criminale non solo non è marchiato a vita, ma può anche ricoprire
un ruolo istituzionale importante come quello di garantire i diritti
delle persone private della libertà. Un compito delicato visto le
gravi criticità che riguardano gli istituti penitenziari napoletani.
Ioia da anni che
si batte per i diritti dei detenuti e fu il primo a denunciare le
presunte violenze che si sarebbero perpetrate all’interno del
carcere di Poggioreale, nella cosiddetta cella zero. Chiamata così
perché non numerata, liscia, e dove alcuni reclusi hanno denunciato
di aver subito percosse da alcune guardie penitenziarie.
Oggi è in corso
un processo che stabilirà se tali violenze ci sono state o meno.
Ioia, d’altronde, è diventato da tempo un punto di riferimento per
i familiari dei detenuti, raccogliendo numerose denunce, soprattutto
riguardanti il discorso dell’assistenza sanitaria all’interno
degli istituti penitenziari, compreso la denuncia di malati gravi e
incompatibili con l’ambiente carcerario. Il neo garante locale dei
detenuti ha promesso che non solo si occuperà dei detenuti, ma
intenderà parlare anche per il corpo della Polizia Penitenziaria che
è sotto organico.
Poi c’è la
storia di Sandra Berardi, presidente dell’associazione Yairaiha che
si occupa principalmente dei detenuti, facendo emergere situazioni
che altrimenti sarebbero rimaste confinate all’interno delle
quattro mura carcerarie.
La Berardi ha
fatto sapere pubblicamente che ha appreso di non essere stata
autorizzata a partecipare ad una iniziativa di giovedì scorso nel
carcere di Rebibbia. «Dispiaciuta – spiega la presidente
dell’associazione Yairaiha – perché ero stata invitata dai
detenuti, orgogliosa perché l’amministrazione penitenziaria
rigettando la richiesta della mia partecipazione, non ha fatto altro
che dare conferma della giustezza delle lotte e delle denunce che
faccio con l’associazione Yairaiha».
Il motivo della
mancata autorizzazione, secondo quanto spiega Sandra Berardi, si
baserebbe sui suoi ‘ numerosi carichi pendenti’. «Sono decine di
denunce e procedimenti aperti per lotte sociali mica altro – spiega
Berardi -. Carichi pendenti che non spuntano ieri ma il fatto che
oggi li abbiano notati come ostativi è segno dei tempi».
Due anni fa per
una iniziativa analoga, sempre a Rebibbia e sempre con gli stessi ‘
carichi pendenti’, fu autorizzata, così come l’anno scorso. Ora
invece la presidente di Yairaiha, che fino a poco tempo fa aveva
anche accompagnato l’ex parlamentare europea Eleonora Forenza, si è
vista negare l’autorizzazione.
I detenuti di Voghera tra presunte violazioni e restrizioni immotivate
Il dubbio, Damiano Aliprandi 22 Jun 2019
La denuncia dell’associazione
Yairaiha onlus sulla condizione dei 409 reclusi. Tempi sproporzionati
per una visita medica specialistica, controllo della corrispondenza,
limitazione e riduzione delle telefonate e dei colloqui, riduzione
dei generi alimentari ammessi e acquistabili
«Ci sono condizioni di invivibilità nel
carcere di Voghera e negli ultimi mesi è peggiorata». A denunciarlo
con una lettera inviata a tutti gli addetti ai lavori, a partire dal
ministero della Giustizia, è l’associazione Yairaiha Onlus che si
occupa fina dal 2006 dei diritti dei detenuti e degli immigrati.
Parliamo del carcere lombardo di Voghera, un
istituto penitenziario aperto nell’agosto 1982. Le prime detenute
donne ad elevato indice di vigilanza sono giunte il 24 settembre
1982, mentre dal 1984 si sono aggiunte anche le detenute del circuito
di media sicurezza. Dal dicembre 1987 l’istituto ha ospitato
detenuti esclusivamente di sesso maschile provenienti inizialmente
dal vecchio penitenziario di Voghera, ospitato dal castello della
città.
Oggi nell’istituto i 409 detenuti
appartengono a 4 diversi circuiti con prevalenza numerica per il
circuito di alta sicurezza ( As3), riservato a coloro che hanno
rivestito posti di vertice nelle organizzazioni dedite al traffico di
stupefacenti. «Più volte abbiamo rappresentato agli organi
competenti le condizioni di invivibilità esistenti nel carcere di
Voghera – scrivono quelli di Yairaiha Onlus – e più volte è
stato oggetto di monitoraggi generali e mirati sia da parte del
Garante Nazionale sia da parte di parlamentari nazionali ed europei
che hanno puntualmente presentato relazioni e interrogazioni dal
Consiglio Regionale al Presidente della Repubblica, passando per
tutti gli organismi competenti, confidando in una risoluzione
ottimale delle problematiche gestionali e strutturali ravvisate e
rappresentate».
Denunciano che la situazione negli ultimi
mesi è ulteriormente peggiorata e in continuazione ricevono
segnalazioni da parte dei familiari dei detenuti che «narrano
situazioni paradossali di violazioni e restrizioni spropositate e
immotivate che violano la funzione rieducativa posta alla base della
pena e della reclusione nella nostra Costituzione».
Ma quali restrizioni denunciano? Tempi
sproporzionati per ottenere una visita medica specialistica,
controllo immotivato della corrispondenza in entrata e in uscita,
limitazione e riduzione delle telefonate e dei colloqui, riduzione
dei generi alimentari ammessi e acquistabili. «Ogni acquisto –
denuncia l’associazione Yairaiha -, anche di farmaci salva- vita
prescritti dal dirigente sanitario, è sottoposto a richiesta che non
viene automaticamente autorizzato. L’uso dei ventilatori nei mesi
caldi – aggiunge -, autorizzato da apposita circolare ministeriale,
è messo in discussione nonostante le temperature elevate e l’assenza
di interventi strutturali pure segnalati e richiesti».
Si fa riferimento anche alla relazione
dell’ex consigliera regionale Paola Macchi e relazione Commissione
Giustizia della regione Lombardia, compresa la prevalenza delle
richieste o segnalazioni al magistrato di sorveglianza che rimangono
prive di risposta o intervento come denunciato dalla relazione
dell’europarlamentare Eleonora Forenza.
Tutto ciò, soprattutto nelle ultime
settimane, la situazione sarebbe ulteriormente degenerata e i
detenuti, per essere ascoltati su bisogni primari – secondo quanto
riporta l’associazione Yairaiha – sono costretti ad azioni
“estreme” che vanno dallo sciopero della fame alla classica
battitura, determinando altresì un clima ancora più teso sia tra la
popolazione detenuta che nei rapporti con il personale. A questo
punto, gli attivisti dell’associazione si chiedono che tipo di
funzione rieducativa può svolgere una detenzione così stringente.
«È ampiamente dimostrato – spiega
l’associazione – che mettere alla base dei percorsi detentivi il
rispetto della persona e dei diritti umani, giova ai detenuti in
termini di cambiamento e miglioramento, e giova alla società che un
giorno dovrà riaccogliere le persone passate attraverso le maglie
della giustizia in un’ottica di ricucitura dello strappo operato al
patto civile con la commissione del reato». E conclude: «È il
reato che con la detenzione si vuole punire, e lo Stato non può
violare il dovere all’umanità».
PROFILI COSTITUZIONALI IN TEMA DI ERGASTOLO OSTATIVO E BENEFICI PENITENZIARI
Sono passati 10 anni da che, l’ oggi dottore Claudio Conte, ci
consegnò “sull’ illegittimità delle pene perpetue ” nel carcere di
Palmi. Un opuscolo di 14 pagine che possiamo definire l’ embrione
della tesi che ha studiato sulla propria pelle e su quella dei suoi
compagni prima che sulla miriade di testi e sentenze consultate.
“Profili costituzionali in tema di ergastolo ostativo e benefici
penitenziari” è molto di più di una tesi di laurea. Accanto al valore
scientifico e giurisprudenziale mette quello dell’ uomo consapevole
dei propri errori che smaschera le contraddizioni di uno Stato
parimenti criminale.
Perché con l’ ergastolo ostativo sei colpevole per sempre. Non
basterebbero le sette vite dei gatti per arrivare vivo al 31/12/9999
ossia la data con cui i sistemi informatici hanno sostituito il MAI sul
certificato di detenzione . MAI, PER SEMPRE.
Mai, un avverbio che nega l’ art. 27 della Cost. e il futuro delle
persone per sempre annullando, di conseguenza, anche la pretesa funzione
rieducativa del carcere.
Associazione yairaiha onlus
DAL 1 GIUGNO SCIOPERO COLLETTIVO CONTRO L'ERGASTOLO OSTATIVO
DAL 1 GIUGNO SCIOPERO COLLETTIVO CONTRO L'ERGASTOLO OSTATIVO - L'APPELLO ALLA MOBILITAZIONE PARTE DAI DETENUTI DI SIANO
firma la petizione online: https://www.change.org/p/ministro-della-giustizia-sciopero-collettivo-contro-l-ergastolo-ostativo
Dal prossimo 1° giugno partirà una mobilitazione collettiva che interesserà diverse carceri e liberi cittadini contro l'ostatività, illeggittima, dell'ergastolo. Contro quella condanna che non lascia alcuno spazio di speranza per il condannato contravvenendo ai principi rieducativi della pena. Le modalità di adesione saranno differenti e tutte verranno comunicate al Ministro di Giustizia affinchè lo stesso prenda visione delle motivazioni della mobilitazione che sono di seguito riportate:
L'ERGASTOLO OSTATIVO è il risultato di un'imprevedibile interpretazione sfavorevole dell'art. 4bis 1 OP affermatasi dal 2008-2009, e pertanto non applicabile retroattivamente ex art 7 CEDU (Corte EDU, casi Kafkaris, Del Rio Prada, Contrada; Sezioni Unite della Cassazione, caso Beschi 2010, Corte Costituzionale sent. num. 364/1998 e 230/2012), e l'incostituzionalità dell'art. 4bis.1 quale presunzione legale, come dimostrato nella tesi di laurea di Claudio Conte (110 e lode accademica), Profili costituzionali in tema di ergastolo ostativo e benefici penitenziari, Uni-Cz, 2016 (ed in possesso di Marco Pannella, del Garante nazionale dei detenuti prof. Mauro Palma e del prof. Luigi Ventura, Preside della facoltà di Giurisprudenza di Catanzaro e relatore della tesi, che sollecitiamo il Ministro a Convocare).
Da tale studio si evince che per superare l'abuso dell'ergastolo ostativo, non c'è bisogno di nuove leggi ma basta far rispettare quelle esistenti con una Circolare ministeriale interpretativa ai Giudici di Sorveglianza.
I sottoscritti ergastolani/non ergastolani/liberi cittadini, informano il Ministro che dal 1° giugno 2016 attueranno una protesta pacifica (garantita dalla Costituzione), fino a quando Ella non ci farà sapere, anche tramite televisione che è a conoscenza di tale studio, libero poi di ritenerlo fondato o infondato.
Ella deve sapere che nella civilissima Italia l'ergastolo ostativo non è stato previsto dalla legge nel 1992 e che 1400 persone sono condannate a morire in carcere solo per una discutibile interpretazione, opera di pochi giustizialisti, e migliaia di reclusi sono esclusi dalle misure alternative illegittimamente.
Modalità di adesione alla mobilitazione
- RACCOLTA FIRME
- RIFIUTO DEL VITTO DELL'AMMINISTRAZIONE
- BATTITURA DALLE 16.00 ALLE 16.30 IN CARCERE (O IN LUOGHI PUBBLICI)
- FERMATA AL RIENTRO DAI PASSEGGI (O SIT-IN/RIUNIONI PUBBLICHE PER I CITTADINI LIBERI) PER 10 MINUTI
- SCIOPERO DELLA FAME
PRIMI
FIRMATARI - CARCERE DI SIANO - BATTITURA DALLE 16.00 ALLE 16.30
ALESSANDRO
GRECO
CIRO
SORRENTINO
FRANCESCO
COZZUTO
GIUSEPPE
PISCOPO
ANTONIO
PANICO
MASSIMILIANO
BELLO
SALVATORE
MARIANO
MARCELLO
SALVATORE CORVAIA
PAOLO
CAROLLI
ALFIO
SAMBASILE
ANTIMO
GIARDINO
VINCENZO
FURNARI
GIOVANNI
FARINA
AGOSTINO
PIZZUTO
SALVATORE
CURATOLO
FRANCESCO
ANNUNZIATA
CLAUDIO
CONTE
..........
GULLI'
ANTONIO
DOMENICO BRUNO
DOMENICO
DELLARATTA
LUIGI
VENOSA
FRANCESCO
FABIO VALENTI
MARCO
CLAUDIO TERMINIELLO
MARCO
RAPISARDA
FABIO
CASO
FABIO
FANELLI
PAOLO
SACCO
LORENZO
PALMISANO
NICOLA
LENTINI
CATALDO
BARTOLI
MICHELE
CIAMI
CHRISTIAN
CONCIGLIA
DOMENICO
LEO
LAZZARO
CANNAVALE
T.G
SALVATORE
CUCCURO
F.L.
SALVATORE
DE CICCO
GIORGIO
L.
BERNARDO
CIARAVOLI
VINCENZO
MENDOZZI
GIUSEPPE
GALLUZZI
VINCENZO
A.
LUIGI
SPANO
GAETANO
C.
PASQUALE
DI DONATO
ROCCO
SPENA
GUGLIELMO
RUBINO
NATALE
GAMBINO
ARCANGELO
PUCCI
SALVATORE
ONORATO
ANGELO
ADRIATICO
VITO
N.
GIUSEPPE
NISI
SABATO
LE ROSE
SANTO
ZUCCHERO
PASQUALE
SERPA
PEPPINO
FESTANTE
ANTONIO
VILLELLA
PAOLO
PAONE
FRANCESCO
HANAMAN
GUIDO
RIZZO
SALVATORE
DILETTO
AGOSTINO
VALLELONGA
GIOVANNI
FRONTERA
FRANCESCO
RANIERI
ANTONINO
CASILE
DOMENICO
FALCONE
NINO
CERRA
VINCENZO
NETTUNO
GENNARO
MURACA
CESARE
GUALTIERI
FRANCESCO
POLICASTRI
ANTONIO
CUTURELLO
PASQUALE
SACCA'
GIOVANBATTISTA
CACCIOLA
OTTORINO
RANIERI
FRANCO
FAZIO
PASQUALE
TORCASIO
GAETANO
LAROSA
DILAVIER
HAJDINI
DOMENICO
GUZZARINI
GIUSEPPE
RANIERI
SAVERIO
PATANIA
GIUSEPPE
MANCUSO
CRISTIAN
LOIZZO
GIOVANNI
LOIZZO
GIOVANNI
TORCASIO
PASQUALE
QUARANTA
GENNARO
MAGRI
L.
DONADIO
GIUSEPPE
CRUSCO
GIANLUCA
NUZZO
ISIDORO
MORFO'
MASSIMO
GRAZIANO
MAURO
G. URAS
PIETRO
COMBERIATI
VINCENZO
ARCIERI
ANTONIO
CHIEFALLO
ANGELO
ANZALONE
SALVATORE
COMBERIATI
DOMENICO
RIILLO
LUIGI
POLILLO
GIUSEPPE
FERRANTE
SALVATORE
LAROSA
GIUSEPPE
PATANIA (CC BENEVENTO)
NAZZARENO
PATANIA (CC COSENZA)
ANTONIO
DAVOLI (CC LANCIANO)
ANGELO
GIGLIO SPAMPINATO
FRANCESCO
CANNIZZARO
FORTUNATO
LAROSA
ANTONIO
GALLACI (SULMONA)
NAZZARENO
ALTAMURA (AGRIGENTO)
DANIELE
PASSALACQUA
ANGELO
ANDRACCHI
MARCO
PASSALACQUA
GENNARO
SCURA (CC SANTA MARIA CAPUA VETERE)
SERGIO
ESPOSITO (CC VOGHERA)
DOMENICO
VERSACI
CLAUDIO
PAOLA (CC AGRIGENTO)
NAZZARENO
PATANIA (CC COSENZA)
GIAMBATTISTA
SERIO (CC MELFI)
GIACOMO
SOLIMANDI (CC MELFI)
DANILO
CAZZATO
GIANLUCA
LA FORGIA
GIUSEPPE
COMITO
SALVATORE
ISAIA
ANGELO
VASSALLO
M.N.
NUNZIO
TOLOTTI
MARCELLO
INCOGNITO
PASQUALE
RIPEPI
ALFIO
CATANIA
MAURIZIO
MARCHESE
VINCENZO
VENTURATO
MARCO
VICINANZO
GIUSEPPE
CONSOLI
EMANUELE
PAVONE
ROSARIO
PANEBIANCO
EMANUELE
GAROZZO
ANTONINO
PAGANO
ROSOLINO
RIZZO
ALBERTO
SIA
GUGLIELMO
BERLINGIERI
CARMINE
AMELIO
CARMELO
LIUZZI
GIUSEPPE
GRASSO
ANTONIO
COSENTINO
ANGELO
TISA
FORTUNATO
STASSI
MATTEO
ABBRESCIA
VINCENZO
CARIANO
ROBERTO
SENATORE
SALVATORE
SCARPINO
ALFIO
SCUDERI
CARMINE
RICCIO
ANTONIO
SOMMA
MARCELLO
RAMIREZ
PATANIA
ANDREA NICOLA
PATANIA
SALVATORE
LOPREIATO
FRANCESCO
FIRME
CARCERE DI ROSSANO - RACCOLTA FIRME E SCIOPERO DEL VITTO
DELL'AMMINISTRAZIONE
Salvatore
Lo Tauro
Felice
Trombetta
Mario
Di Puorto
Claudio
Donadei
Oronzo
Santoro
Pietro
Barbetta
Vito
Tanzi
Cosimo
De Lucia
Andrea
Arcerito
Angelo
Mormina
Angelo
Buccelli
Dritan
Bunjaj
Vincenzo
Pisano
Francesco
Chirico
Giovanni
Di Gaetano
Aldo
Matrone
Gennaro
Barnoffi
Pasquale
Pozziello
Massimo
Gitto
Alfredo
Lionelli
Altin
Brushi
Mauro
Passarelli
Safet
Hrustic
Michele
Annoscia
Gaetano
Scianatico
Massimo
Anastasi
Carmine
Romeo
Salvatore
Cageggi
Francesco
Sardo
Giovanni
Spinale
Vincenzo
Di Giorgio
Angelo
Caputo
Angelo
Palumbo
Gianluca
Notto
Ciro
Cappuccio
Luca
Rubicondo
Rodolfo
Caforio
Antonio
Fontanella
Giovanni
Musone
Giovanni
Boccini
Massimiliano
Gesso
Gaetano
Rizzo
Nicola
Fiore
Michele
Gambardella
Francesco
Carannante
Angelo
Tandurella
Giuseppe
Calabrese
Giuseppe
Campicelli
Agatino
Foti
Giuseppe
Barbagallo
Francesco
Barbagallo
Giovanni
Piccolo
Saverio
Perrella
Michele
Amoruso
Nicola
Nappa
Giovanni
Sardella
Mariano
Frizziero
Giuseppe
Esposito
Daniele
Scarcia
Giuseppe
Mauceri
Fabio
Tolentino
Francesco
Argentieri
Fabrizio
Ferraro
Giuseppe
Giordano
Giovanni
Di Iannicella
Raffaele
Iovine
Lorenzo
Rossano
Alessandro
Amante
Rocco
Incardona
El
Mahdi El Haji
Mohammed
Benchahid
Michele
Pavone
Salvatore
Mauro
Francesco
Spampinato
Giuseppe
Puglisi
Rosario
Pafumi
Domenico
Condorelli
Daniele
Barbaro
Pietro
Centonza
Antonio
Calabrò
Bruno
Idà
Carmelo
Ielo
Gennaro
Mantico
Francesco
Cascone
Clemente
D'Albenzio
Carlo
Vaglio
Oronzo
Cagnazzo
Kujtim
Cikalleshi
Francesco
Capriati
Silvano
Berlingieri
Rocco
Violi
Antonio
Formicola
Emiljon
Kapllan
Vincenzo
Mesiti
Donkor
Wiredu
Rosario
Litteri
Michele
Ciavarella
G.
Battista Vassallo
Carmine
Discetti
Virgilio
Castaldo
Pietro
Centrulo
Ciro
Mendola
Antonio
Ferraro
Pasquale
Bruni
Carmelo
Nicolosi
Mario
Di Bella
Pietro
Cugino
Giovanni
Pappalardo
Francesco
Pulvirenti
Francesco
Pontiero
Andrea
Foti
Francesco
Monti
Roberto
Muraca
Gianfranco
Giordano
Giovanni
Abramo
Tommaso
Manfredi
FIRME
DAL CARCERE DI PAOLA - RACCOLTA FIRME
IACCINO
|
CATALDO
|
ARONA
|
FRANCESCO
|
CROCCO
|
PIETRO
|
ALOE
|
NIK
|
MEGAIE
|
CARMELO
|
KOIA
|
KUSTIM
|
MANNA
|
GIOVANNI
|
SCARLATO
|
ORLANDO
|
DIACONU
|
RADU
|
BOUCHAROON
|
WALID
|
KASEM
|
AIMAN
|
CARNEVALE
|
GIANFRANCO
|
RIZIK
|
RACAZDOIUS
|
FAZIO
|
PIETRO
|
CHARIF
|
FAWZY
|
AWAD
|
ABDELMASSER
|
MUSACCHIO
|
CARLO
|
DAVID
|
CRISTIAN
|
VECCEORO
|
MANUEL
|
HAMIDA
|
KAHLED
|
VANGELI
|
FRANCESCO
|
FOSSARI
|
PASQUALE
|
FOSSARI
|
BRUNO
|
CAPARROTTA
|
SALVATORE
|
MAWOIOLA
|
GIOELE
|
VERDET
|
FLORIN
|
PALMISANO
|
DOMENICO
|
HAMINI
|
RADOVANE
|
SUCO
|
LUIGI
|
GIAMPà
|
GIOVANNI
|
NAPOLI
|
FRANCESCO
|
FORTINO
|
DOMENICO
|
DRIGLIA
|
VINCENZO
|
FRIMLI
|
FRANCESCO
|
LARA
ALVAREZ
|
ERNESTO
|
LARA
ALVAREZ
|
LUIS
MARRA
|
DI
MAURO
|
SALVATORE
|
SALAZAR
|
EDMUNDO
|
BIONDI
|
ALESSANDRO
|
GAGLIANESE
|
FRANCESCO
|
MAESTINI
|
GIANLUCA
|
PACE
|
CARMELO
|
BERTOCCO
|
GIOVANNI
|
VIOLA
|
MAURIZIO
|
CERVATI
|
ANDREA
|
STRANGES
|
ANTONINO
|
IUDOR
|
COSTEL
|
CAPA
|
ELTON
|
MUHAMEL
|
EMAD
|
HABACHI
|
HOSNI
|
SPADARO
|
RINALDO
|
CUPPARI
|
PLACIDO
|
FEDERICO
|
ANTONIO
|
TURIACO
|
IGNAZIO
|
PALALA
|
FRANCESCO
|
VENTI
|
PASQUALE
|
MICHELIZZI
|
ANTONINO
|
CANDIDO
|
MICHELE
|
SCORZA
|
GIOVANNI
|
BERLINGIERI
|
GUERINO
|
TAVERNITI
|
FERDINANDO
|
MULTARI
|
PASQUALE
|
GRIPPO
|
FABIO
|
D'AMBROSIO
|
VINCENZO
|
GRANDINETTI
|
MICHELANGELO
|
RAMANELI
|
ANGELO
|
SIMONCINI
|
ANDREA
|
RAGANATO
|
MASSIMO
|
MAMMOLITI
|
FRANCESCO
|
MAMMOLITI
|
DIEGO
|
BELLOCCO
|
PIETRO
|
SCANDINARO
|
SALVATORE
|
PANSERA
|
SANTO
|
TURINA
|
PASQUALE
|
FOTI
|
LEONARDO
|
MOHAMED
|
ALI
|
CREA
|
ANTONINO
|
FOSSARI
|
VINCENZO
|
LIACONI
|
DOMENICO
|
IARIA
|
GIOVANNI
ANTONIO
|
MERIGO
|
VITO
|
POLI
|
ERNESTO
|
BONFITTO
|
FABIO
|
BEVILACQUA
|
ENZO
|
GIORDANO
|
GIOVANNI
|
DE
VUONO
|
GIANFRANCO
|
CORTESE
|
FRANCESCO
|
PAMMACE
|
GREGORIO
|
MARAFIOTTI
|
ANIELLO
|
FESTA
|
ANTONINO
|
BEVILACQUA
|
GIANLUCA
|
FRANZE
|
PASQUALE
|
MONTESANTI
|
VINCENZO
|
CERAVOLO
|
GIUSEPPE
|
VIOLI
|
VINCENZO
|
CACCAMO
|
GIUSEPPE
|
CATALDO
|
ALESSANDRO
|
PIZZATA
|
GIUSEPPE
|
RICCO
|
SIMONE
|
IANNOTTI
|
SIMONE
|
SESINI
|
GIOVANNI
|
MANGIARUGA
|
SALVATORE
|
MORETTI
|
FRANCO
|
GAUDIO
|
OTTAVIO
|
AMATO
|
MARIO
|
CANONCI
|
GIOACCHINO
|
MUCCI
|
ANTONIO
|
STELLA
|
PEPPINO
|
BELMAVARD
|
MOHAMED
|
BEVILACQUA
|
MASSIMO
|
ROUDDHEI
|
WANIS
|
IBAIA
|
HASSAN
|
ABDELSAWAD
|
MOHAMED
|
BEVILACQUA
|
ROCCO
|
DE
ROGATIS
|
LUIGI
|
CARUSO
|
EMANUELE
|
DE
PAOLA
|
ROCCO
|
D'APRILE
|
FILIPPO
|
FERREIRA
|
MIGUEL
|
MICHAEL
|
SAMUEL
|
FALONE
|
FRACUZ
|
ROTABA
|
MOHAMED
|
MAIURI
|
ANTONIO
|
SHARBAN
|
VOLODYMYR
|
MOUMLINE
|
YOUSSEF
|
BAKHARIEV
|
YERHEN
|
ZIMNITSKY
|
VITALI
|
TRANASCIA
|
EMANUELE
|
MANGNOLI
|
GIROLAMO
|
GARRITANO
|
FRANCO
|
SURACE
|
RAFFAELE
|
NETRUSIC
|
PEDRO
JUAN
|
PATRICK
|
EVAN
|
CARROZZINO
|
SERGIO
|
BADR
|
SORROUR
|
ARBEN
|
PEPA
|
SILENZIO
|
LEANDRO
|
FOFANA
|
ADAM
|
FORTE
|
IVAN
|
IBNEMASSOUD
|
BRIM
|
KHEDIR
|
ISMAIL
|
BRAHIMI
|
DSAMALI
|
FIRME
DETENUTI CATANIA BICOCCA
GURRIERI
SALVATORE
LICCIARDELLO
DAVIDE SALVATORE
FIORE
SALVATORE
FIORENZA
VITTORIO
CARCOTTO
ALFIO
PINTO
FRANCESCO
SCUDERI
SALVATORE
CARUSO
GIUSEPPE
BATTIATO
DAVIDE
SCUDERI
CARMELO
11. SCUDERI
FRANCESCO
12. NIZZA
GIOVANNI
13. MUSUMECI
VITO
14. MIANO
SALVATORE
15. ALESSI
ANGELO
16. VIOLA
ALESSANDRO
17. OLIVIERI
PIETRO
18. LO
MONACO VINCENZO
19. MONFORTE
ANTONIO
20. GALATI
MASSARO GIANNI
21. GALATI
MASSARO SANTO
22. INTRAVAIA
GIOCCHINO
23. ACCIANITO
GUIDO
24. BATTAGLIA
GIOVANNI
25. MIRABILE
ANGELO
26. COSENTINO
PAOLO
27. XHUFI
BLEDAR
28. BONCALDE
GIUSEPPE
29. FUNARI
ROSARIO
30. ZITO
SALVATORE
31. SULIARO
MAURO
32. PAESTI
MINKO
33. PREZZAVENTO
ANTONINO
34. PRESTI
GIANLUCA
35. NAVARRIA
CARMELO ALDO
36. OLIVERI
ROSARIO
37. CALVINO
SALVATORE
38. PUGLISI
CARMELO
39. SANGANIOLIVIERO
40. O.
SALVATORE
41. SCOLOFINO
FILIPPO
42. LOMBARDO
GIUSEPPE
43. SCRIVANO
MARTINO
44. SCRIVANO
GIUSEPPE
45. OLIVA
FEBRONIO
46. DI
PIETRO ROSARIO
47. DI
BENEDETTO SALVATORE
48. PAPPALARDO
GIOVANNI
49. PLATANIA
FRANCESCO
50. SCIUTO
TOMMASO CARMELO
51. DEL
POPOLO SALVATORE
52. MARRO
SALVATORE
FIRME
DETENUTI SIANO (CZ)
1. PROCOPIO
FIORITO
2. MILLONI
ANDREA
3. ROMANELLI
VITTORIO
4. DILETTO
MICHELE
5. CANDIDO
GIUSEPPE
6. MESTRIA
MASSIMILIANO
7. DI
MARTINO VINCENZO
8. DI
SOMMA RAFFAELE
9. FEMIA
SALVATORE
10. MACRI’
MARCO
11. MARTINO
ALESSANDRO
12. TRIGILA
CORRADO
13. PANDOLFO
GIUSEPPE
14. CERBONE
MARIO
15. PASSALACQUA
ANTONIO
16. GAUDIO
GIOVANNI
17. PERRI
FRANCESCO
18. DURACCIO
DOMENICO
19. TERMINIELLO
MARCO CLAUDIO
20. S.
FRANCESCO
21. FICOSO
VINCENZO
22. PATANIA
DOMENICO
23. ASNALDO
GIOVANNI
24. DI
PALMA LORENZO
25. ANNUNZIATA
ALFONSO
26. TECCHIA
GENNARO
27. RIZZI
MICHELE
28. MASSARO
ANGELO
29. VASSALLO
ANGELO
30. ISAIA
SALVATORE
31. TALOTTI
NUNZIO
32. MOLISSO
GIUSEPPE
33. INCOGNITO
MARCELLO
34. RIPEPI
PASQUALE
35. CATANIA
ALFIO
36. MARCHESE
MAURIZIO
37. CONSOLI
GIUSEPPE
38. VENTURATO
VINCENZO
39. PAVONE
EMANUELE
40. RICCIO
CARMINE
41. RIZZO
ROSOLINO
42. PAGANO
ANTONINO
43. SIA
ALBERTO
44. AMELIO
CARMINE
45. GUGLIELMO
BERLINGIERI
46. LIUZZO
CARMELO
47. GRASSO
GIUSEPPE
48. COSENTINO
AGATINO
49. TISA
ANGELO
50. ABBRESCIA
MATTEO
51. STASSI
FORTUNATO
52. REALE
MARIO
53. MARMOLINO
ANTONIO
54. SCARPINO
SALVATORE
55. ABBRUZZESE
CELESTINO
56. CARRANO
VINCENZO
57. SCUDERI
ALFIO
58. MARRO
SALVATORE
59. SOMMA
ANTONIO
60. SENATORE
ROBERTO
61. RAMIREZ
MARCELLO
ADERISCONO
ANCHE I DETENUTI DI SALUZZO, SULMONA, VIBO VALENTIA, BOLOGNA,
VOGHERA, MILANO OPERA, PARMA E MOLTE ALTRE SONO LE ADESIONI CHE SONO
STATE INIATE MA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSE!
FIRME
DAL CARCERE DI PARMA
1. GIUSEPPE
SALVO
2. ROSARIO
PITERA’
3. ANTONIO
FRASCA
4. GAETANO
VATIERO
5. FILIPPO
VENERUSO
6. LUIGI
PANEVINTO
7. MAURIZIO
NASTO
8. VINCENZO
VIOLA
9. ANTONIO
BOLLE
10. ALESSANDRO
MAGNIS
11. VINCENZO
DAELLE
12. VINCENZO
MICILLO
13. VINCENZO
LATINO
14. MICHELE
ZENIERO
15. NATALINO
D’ERRICO
16. SHAEDDINE
MESSAOUD
17. PIETRO
CANNISTRA’
18. ANTONINO
ZINDATO
19. COSIMO
VIGLIANESI
20. MICHELE
CIAVARELLA
21. VINCENZO
PADULA
22. FRANCESCO
RUSSO
23. SALVATORE
CARDILLO
24. NOE’
VAZZANA
25. VITO
DE ANTONIS
26. SANTO
SCARDACI
27. DOMENICO
ASSIMANTE
28. FERNANDO
DE LORENZIS
29. GIUSEPPE
VIL….
30. VINCENZO
P…..
31. ALFONSO
ZAFANO
32. FRANCESCO
STILO
33. CARMELO
CALDARIERA
34. SALVATORE
FAIA
35. ANTONINO
CACICI
36. MARIO
SERPA
37. ANTONIO
PETROZZI
38. VINCENZO
DI GIUSEPPE
39. CARMELO
RIZZO
40. CALOGERO
MANNINO
41. CATALDO
CATAPANO
42. MAURIZIO
FORTE
43. GIUSEPPE
PESCE
44. COSIMO
BARRANCA
45. ORAZIO
SCARSO
46. GENNARO
UCCELLO
47. GIULIO
PALMISANI
48. ANTONIO
DRAGONE
49. GIOVANNI
GELSOMINO
50. ANTONIO
ARUTA
51. CARMELO
SCAFIDA
52. GIOVANNI
GALEA
53. GIUSEPPE
CRISTOFARO
54. VEACESLAV
BUTUCEAN
55. YURIY
BREZ
56. FRANCESCO
BRUZZESE
57. FERDINANDO
ESPOSITO
58. DOMENICO
DI GIUSEPPE
59. ORAZIO
BUONPRINCIPIO
60. ALESSANDRO
BONACCORSI
61. ORAZIO
NICOLOSI
62. ANTONIO
DE CRESCENZO
63. RAFFAELE
DELLA VOLPE
64. ANTONINO
LAURIA
65. ANTONIO
BIANCO
66. LEONARDO
AVALLONE
67. GIUSEPPE
ANGELINO
68. FRANCESCO
CRISTELLO
69. ADRIANO
DI BARI
70. NICOLA
TATONE
71. GUALTIERO
ESPOSITO
72. PASQUALE
MATINA
73. GIUSEPPE
IOVINELLA
74. GIUSEPPE
ONORATO
75. PAOLO
LATELLA
76. ANTONINO
ALVARO
77. VITO
CACCIATORE
78. GENNARO
OLIVA
79. RAFFAELE
DILE’
80. CARMELO
CLEMENTE
81. SOSIMO
DAMIANO SERRA
82. SALVATORE
MIRACELLA
83. DOMENICO
MONTI
84. GIUSEPPE
CACUCCI
85. MARCO
CAPUANO
86. GASPARE
MARAZZOTTI
87. M.
P.
88. RAFFAELE
CALABRESE
89. GIUSEPPE
SORRENTINO
90. LUCIANO
CIMINO
91. RAFFAELE
S.
92. VINCENZO
FACCHINERI
93. FRANCESCO
BARBARO
94. CIRO
IACOMINO
95. ALESSANDRO
FASCIANI
96. ANTONINO
TORRISI
97. ALFIO
DIOLOSA
98. ELIO
ROTONDALE
99. GIOVANNI
FONTANA
100. GASPARE
RAIA
101. ALESSANDRO
FIGLIOMENI
102. ANTONIO
VENEZIANO
103. FERNANDO
MONTEGRO
104. CATALDO
LA ROSA
105. SALVATORE
GUIDO
106. GIULIANO
PALUMBO
107. CIRO
SCOGLIAMIGLIO
108. ARTURO
CENSABELLA
109. VINCENZO
DI GENNARO
110. ANTONINO
TOMA
111. GIUSEPPE
RUSSO
112. GENNARO
DE LUCA
113. GIORDANO
FILISETTI
114. FRANCESCO
DI MATTIA
115. LUIGI
VONA
116. ALESSANDRO
GABLARITE
117. ANTONIO
PARISE
118. ALBERTO
PARISI
119. ANTONIO
LETIZIA
120. LUIGI
NICCHI
121. GIUSEPPE
VARSALONE
122. GIOVANNI
AMANTE
123. GIOVANNI
DALL’AQUILA
124. ANTONIO
DE FEO
125. SEBASTIANO
TUTTE’
126. ANTONIO
ELEFANTE
127. FERDINANDO
AULITTO
128. CARLO
MONTELLA
129. ANTONIO
SPINELLI
130. MARINO
CICCONE
131. SALVATORE
DI NOTO
132. MICHELE
CRAPULA
133. MICHELE
VUOLO
134. SALVATORE
TERMINI
135. CARMINE
IZZO
136. FORTUNATO
MAESANO
137. DIEGO
ROSIMINI
138. CARMELO
BARRESI
139. SALVATORE
PARLA
140. GIOVANNI
CUSIMANO
141. DOMENICO
SEPIO
142. VINCENZO
GUELI
143. COSIMO
PANAIA
144. CATELLO
DERISO
145. BRUNO
DE MATTEIS
146. RAFFAELE
RENNA
147. SALVATORE
SANTAPAOLA
148. EMANUELE
ATTARDI
FINALMENTE,
DOPO TRE MESI DALL'INVIO, SONO ARRIVATE ANCHE LE ADESIONI DEI
DETENUTI DEL CARCERE DI CAVADONNA (SIRACUSA)
DIEGO
BOSCARINO
EUGENIO
CORSENTINI
MAURIZIO
SAMBASILE
DARIO
GALIOTO
FRANCESCO
FARANDA
VINCENZO
TOMMASELLI
ALESSIO
TAZZETTA
ROSARIO
MONTEGRANDE
FRANCESCO
MELIA
SAMUELE
LOCASTRO
GIUSEPPE
FINOCCHIO
FRANCESCO
PENNAT
ANTONIO
MASCALI
MANDI
HOXHA
SALVATORE
ACIERI
MARCO
SORTINO
BRUNO
GRILLO
ANTONIO
MINITOLO
CARLO
MILICI
MASSIMILIANO
IACONO
GIUSEPPE
INFUSO
SALVATORE
ALI
NINO
RUSSO
SAMUELE
CONSOLI
FABIO
RACCUGLIA
GIUSEPPE
LAMANNA
CRISTIAN
SPICUGLIA
MARIO
COMANDATORE
ANTONINO
CERSOAI
ANTONINO
ARCOLACI
ANGELO
TOSCANO
ALFIO
....
MICHELE
CELSO
ERSON
....
ANDREA
....
CARMELO
IANNARCI
GIUSEPPE
FRASCA
CARMINE
DI NATALE
LEONARDO
MAGGIORE
NIKY
NONNARI
ROBERTO
BRECI
CLAUDIO
CARUSO
ALFIO
PAPOTTO
GIANLUCA
PAPOTTO
EMANUELE
STAGNITTA
GIUSEPPE
STAGNITTA
EMANUELE
CATALDO
MILED
RAHEM
MAURIZIO
GALLICEI
MASSIMO
TOROMOSCA
MAURO
MATTALIANO
ANTONINO
CASTELLI
ANTONINO
ARIGO'
SALVATORE
AMATO
SEBASTIANO
GUZZARDI
GIOVANNI
VIZZINI
CORRADO
FRANCESCO CIVELLO
CONCETTO
MAUCERI
SALVATORE
ROMANO
FRANCESCO
PAPPALARDO
GIUSEPPE
GRASSONELLI
GIANLUCA
GUESTALLA
GIACOMO
OREFICE
SHASA
ANTONY BOSCO
SEBASTIANO
BUSCEMI
ROCCO
VALENTE
ARCANGELO
ROBERTO LASPINA
EMANUELE
BONACCORSO
ROCCO
VALENTE
MARCELLO
DISCANNO
ROSARIO
D'ALESSANDRO
ANTONINO
PITTERA
ORAZIO
VINCIGUERRA
OTTAVIO
QUESTORINO
LUIGI
NICOLOSI
PAOLO
CINTURA
NUNZIO
ODDO
MICHELANGELO
SPAGNIOLO
PIETRO
VENTIMIGLIA
GIOVANNI
SACCO
ROBERTO
DE SIMONE
ANTONIO
INCARDELA
GIUSEPPE
MAZZITELLO
LUCA
DI NAPOLI
ANTONINO
CUNDARI
VINCENZO
ASSENZA
ANGELO
COLLURA
MARIO
MELINO
ANTONIO
CACCAMO
HOUSSANE
SABER
ARMANDO
LAURETTA
SALVATORE
MUSUMECI
AGATINO
TONZUSO
DARIO
SANTOSTEFANO
LUIGI
CAVARRA
GIUSEPPE
MAUCERI
SEBASTIANO
ROMANO
GIOVANNI
DI MAURO
GAETANO
GUARRERI
ANTONINO
CARCIONE
COSTANTIN
IOAN BOGAAN
SEBASTIAN
LUPU IONUT
GHEORGHE
BUZIAVIDIU
FERDINANDO
DEALUGRE
JONATHAN
TRIBASTONE
NUNZIO
PARISI
RICCARDO
RAVIDA'
Carcere
di Siracusa
sciuto
stefano ct 21/08/82
catalano
giovanni ct 22/08/81
di
stefano carmelo ct 23/04/70
santonocito
raimondo ct 18/10/73
mazorgio
nazareno ta 26/08/76
fileti
stellario ct
13/03/67
fichera
giuseppe ct
26/02/66
cianchino
giuseppe sr 07/08/82
infanti
tommaso sr 05/05/82
messina
francesco sr 04/12/78
11. bonaccorsi
salvatore ct 21/02/87
12. crisafulli
carmelo ct 20/11/81
13. marino
alessio ct 13/04/86
14. f.
giuseppe paternò
(ct) 09/07/89
15. miano
domenico paternò
(ct) 28/03/84
16. giovanni
a. banna
(na) 01/07/68
17. tirendi
antonino enna 27/06/90
18. dato
vincenzo ct 06/01/76
19. tringale
giuseppe ct 30/03/70
20. lo
faro cristian ct 25/09/85
21. scrivano
marco bronte
01/02/87
22. lutri
ugo scicli
(rg) 11/12/60
23. di
mauro antonino
24. alfino
giovanni
25. carbonaro
orazio
26. morsi
monir
27. cosentino
angelo
28. migliorino
carmelo
29. privitera
giovanni
30. guzzardi
salvatore
31. nardo
luigi
32. a.g-
illeggibile
33. pante
michele
34. pistonci
francesco
35. bontempo
scavo rosario
36. carbonaro
angelo
37. ferro
marcello
38. curva’
orazio luciano
39. firrisi
emanuele
40. sigona
raffaele
41. ercolano
vincenzo
42. lo
giudice carmelo
43. m.
m. illeggibile
44. spinoccia
antonio
45. ventura
g.battista
46. scozzaro
giovanni
47. giampa’
vincenzo
48. nunzio
alfer
49. calabro’
alfio
50. granata
sebastiano
51. di
puppo michele
52. la
rosa giuseppe
53. arena
angelo
54. currao
alfio
55. musumeci
gaetano
56. bucolo
rosario
57. vitale
andrea
58. impellizzeri
antonino
59. prezzavendo
stefano
60. catalbiano
giuseppe valentino
61. vinciguerra
massimo
62. perrotta
giuseppe
63. bonfiglio
orazio
64. ponzio
massimo
65. zappia
diego
66. foca’
domenico
67. scaravilli
omar
68. scuto
orazio
69. carrozza
guido
70. leonardi
orazio
71. diamoli
marcel
72. pavese
vincenzo salvatore
73. amato
alfio
74. botta
antonino
75. neri
aristide
76. serio
giuseppe
77. nicotra
antonio
78. renda
francesco
79. losemio
salvatore
80. galioto
antonino
81. cristaldi
saverio francesco
82. faro
salvatore
83. camande’
stefano
84. graziano
camillo
85. pudano
francesco paolo
86. parisi
gaspare
87. vinci
francesco
88. casella
domenico
89. stavolo
ciro
90. marigliano
vincenzo
91. musmano
ignazio
92. russo
samuele
93. d’agostino
gaspare
nome
illeggibile
nome
illeggibile
DAL
DALL'UCCIARDONE:
1. DE
FEO CARMINE UCCIARDONE
2. CASTELLOCCIO
MASSIMILIANO UCCIARDONE
3. ABELLO
SERGIO UCCIARDONE
4. VASILE
SEBASTIANO UCCIARDONE
5. LOPEZ
MASSIMILIANO UCCIARDONE
6. IOVINO
ROBERTO UCCIARDONE
7. GALLINA
ANDREA UCCIARDONE
8. NOGBOU UGMAN UCCIARDONE
9. OLARIU
BEBE UCCIARDONE
10. LARSONNE
SAID UCCIARDONE
11. BARSALONA
ZALOGER UCCIARDONE
12. THORMINA
NATALE UCCIARDONE
13. ORLANDO
GIUSEPPE UCCIARDONE
14. ZAMARA
GAETANO UCCIARDONE
15. CIRINCIONE
MICHELE UCCIARDONE
16. CARUSO
ANTONIO GIOVANNI UCCIARDONE
17. DONATO
ORAZIO UCCIARDONE
18. LUNGARO
GIOVANNI UCCIARDONE
19. BISICUESTRO
LUCA UCCIARDONE
20. COVELLO
MATTEO UCCIARDONE
21. CARRE
ANTONIO UCCIARDONE
22. FARNESE
ANTONINO UCCIARDONE
23. PANTANO
EMMANUEL UCCIARDONE
24. ANGELLO
GIUSEPPE UCCIARDONE
25. REINA
GIUSEPPE UCCIARDONE
26. CALAFIORE
SALVATORE UCCIARDONE
27. CANTARELLA
GAETANO UCCIARDONE
28. INZERILLO
MAURIZIO UCCIARDONE
29. MANGIONE
SALVATORE UCCIARDONE
30. SAIOLE
ANTONINO UCCIARDONE
31. TUTONE
TOMMASO UCCIARDONE
32. SAMMARTINO
MATTEO UCCIARDONE
33. MANTIA
ALESSANDRO UCCIARDONE
34. ALOTTO
NICOLA UCCIARDONE
35. DI
GIOVANNI ANDREA UCCIARDONE
36. ARINI
GIOVANNI UCCIARDONE
37. PALAZZOTTO
ANTONIO UCCIARDONE
38. PALAZZOTTO
SALVATORE UCCIARDONE
39. BOMBACI
GIUSEPPE UCCIARDONE
40. MARRETTA
MARINO UCCIARDONE
41. GIGANTE
ALESSIO MARCO UCCIARDONE
42. LIPARI
GIROLAMO UCCIARDONE
43. GIARDINO
GIANNI UCCIARDONE
44. VENTURA
FRANCESCO UCCIARDONE
45. LOMBARDO
GIUSEPPE UCCIARDONE
46. STEMMA
GIUSEPPE UCCIARDONE
47. LO
RE SILVESTRI UCCIARDONE
48. BADAMI
ALESSANDRO UCCIARDONE
49. FARNESE
CARMELO UCCIARDONE
50. GIUFFRIDA
GAETANO UCCIARDONE
51. PETRALIA
GIUSEPPE UCCIARDONE
52. CAMPIONE
DANIELE UCCIARDONE
53. RESTIVO
MICHELLE UCCIARDONE
54. AVOLESE
LUIGI UCCIARDONE
55. CARUSO
PIETRO UCCIARDONE
56. FAIA
SALVATORE UCCIARDONE
LO
PORTO MARCELLO UCCIARDONE
DAL
DAL CARCERE DI NOTO (SR)
1. SCANDURRA
SEBASTIANO NOTO
2. ZAGAME
ROSARIO NOTO
3. ZAGAME
NICOLE NOTO
4. DI
GUARDO MATTEO NOTO
5. ROMANO
GIUSEPPE NOTO
6. SICALI
ANGELO NOTO
7. CASA
BIANCA ALFIO NOTO
8. PALERMO
GIORDANO NOTO
9. LICCIARDELLO
ANGELO NOTO
10. MERLO
GINO NOTO
11. SCANDURRA
SIMONE NOTO
12. LO
MONACO FRANCESCO NOTO
13. CAUDOLLO
GIOVANNI NOTO
14. MONTEFORTE
GAETANO NOTO
15. SPATARO
GIOVANNI NOTO
16. MAURICI
GIACOMO NOTO
17. LITRICO
LUCA NOTO
18. PITARA
FRANCESCO NOTO
19. BARONE
GIOVANNI NOTO
20. BARONE
DANIELE NOTO
21. LO
PRESTI ANTONINO NOTO
22. GENTONZE
SALVATORE NOTO
23. BELFIORE
GIANLUCANOTO
24. NICOTRA
GIUSEPPENOTO
25. VITALE
SEBASTIANONOTO
26. MANGANO
ALESSANDRO NOTO
27. GERMANO
FILIPPO NOTO
28. CASTIGLIA
GIOVANNI NOTO
29. BALIA
MUHAMED NOTO
30. ELSAYED
AHMED NOTO
31. GURGONE
ROSARIO NOTO
32. DAVIDE
LORI NOTO
33. IBRIYAMOV
IBRYAM NOTO
34. SAZIRN
HASAN NOTO
35. RUSTICO
ORAZIO NOTO
36. FRANCO
SALVATORE NOTO
37. CRISTINA
GIANCARLO NOTO
38. MICORO
CARMELO NOTO
39. PACE
GIUSEPPE NOTO
40. DI
STEFANO LUCIANO NOTO
41. SANTORO
LORENZO NOTO
42. SPARACINO
FABIO NOTO
43. PUGLISI
VINCENZO NOTO
44. AZZARO
GIUSEPPE NOTO
45. SCIUTO
MARCO GIUSEPPE NOTO
IL CASO DI SALVATORE GIORDANO
Il
Dubbio | Pagina 12 Martedì, 31 Dicembre 2019, Damiano Aliprandi
“In cella con un tumore al fegato ricoverato prima di Natale”
IL CASO DI SALVATORE GIORDANO SEGNALATO DALL’ASSOCIAZIONE
YAIRAIHA ONLUS
A i familiari era stato detto che il detenuto – recluso nel
carcere di Voghera aveva un lieve ingrassamento del fegato da curare
con l'alimentazione, ma quando sono andati a trovarlo in ospedale la
vigilia di Natale lo hanno trovato in condizioni devastanti. Non
riconosceva nessuno, biascicava parole senza senso, magrissimo,
pieno di macchie cutanee rosse e munito di un pannolino: ha il
tumore al fegato di grosse dimensioni con tanto di metastasi.
Parlando con un medico dell’ospedale, i familiari hanno appreso
che la situazione era già compromessa da diverso tempo e
l’aggravamento non era di certo avvenuto nelle poche ore di
degenza in ospedale. A quel punto hanno sporto una denuncia a carico
dell’amministrazione penitenziaria del carcere di Voghera, per
eventuali negligenze nella cura.
Il detenuto, Salvatore Giordano, è stato tratto in arresto per
reati associativi nel 2017 e da metà ottobre di quest’anno
recluso nel carcere di Voghera. I familiari hanno contattato Sandra
Berardi dell’Associazione Yairaiha Onlus che a sua volta a portato
a conoscenza del caso il ministro della Giustizia, il Dap e anche il
Garante nazionale delle persone private della libertà.
«I familiari fanno presente che il signor Giordano – scrive
l’associazione Yairaiha - è stato portato in ospedale solo nel
momento in cui il figlio e la moglie si presentavano alle porte del
carcere in data 23 dicembre per avere informazioni circa lo stato di
salute del proprio congiunto, condizioni che durante l’ultima
telefonata si avvertivano gravi», si sottolinea che «la diagnosi
iniziale riferiva un generico ingrossamento del fegato da curare
attraverso l’alimentazione», ma «oggi ci troviamo di fronte ad
un tumore al fegato e diversi altri organi in metastasi».
Sempre l’associazione Yairaiha spiega che «nei venti giorni
precedenti il ricovero le uniche persone che hanno prestato
assistenza al signor Giordano sono stati gli altri detenuti, in un
surreale clima di disinteresse verso la vita di un uomo visibilmente
sofferente le cui condizioni andavano peggiorando di ora in ora».
Poi arriva il 24 dicembre quando, come chiaramente esposto nella
denuncia, i familiari hanno potuto far visita al proprio caro presso
l’ospedale di Voghera dove il medico in servizio li informava
delle condizioni pressoché irreversibili del proprio congiunto,
sottolineando che l’aggravamento non era collocabile nel breve
spazio temporale di permanenza in ospedale.
«È concepibile che il signor Giordano – si rivolge
l’associazione Yairaiha alle istituzioni sia stato portato in
ospedale solo nel momento in cui si sono presentati i familiari alle
porte del carcere? E ancora, è ammissibile nei confronti dei
familiari, preoccupati ed angosciati, sia stato tenuto un siffatto
atteggiamento da parte di uomini che rappresentano lo Stato?».
L’associazione, nella missiva, denuncia che non è la prima volta
che raccolgono e trasmettono simili denunce, ma «è, semmai, una
ulteriore testimonianza che diritti umani, art. 27 e la Costituzione
tutta, vengono violati sistematicamente da chi dovrebbe predicarne e
praticarne il rispetto». Sempre la onlus Yairaiha si rivolge alle
istituzioni sottolineando che questa volta non ha nulla da chiedere,
visto che non sono in grado di «compiere un miracolo per il signor
Giordano», ma «dovreste, invece, far sì che gli oltre 60.000
detenuti e detenute delle galere italiane venissero trattate da
persone con diritti inalienabili, anche se detenute, nel rispetto di
quella Costituzione sulla quale ogni uomo e donna di Stato giura» .
RECLUSO A VOGHERA DA OTTOBRE. LA DIAGNOSI INIZIALE ERA DI
INGROSSAMENTO, MA IN OSPEDALE HANNO RISCONTRATO LA MALATTIA IN FASE
AVANZATA CON METASTASI
Due morti di tumore in carcere per un 2019 da dimenticare
Il dubbio, 7 gennaio, Damiano Aliprandi
Il primo decesso a Voghera a Natale, l’altro a Poggioreale il 27 dicembre. Il garante della Campania, Samuele Ciambriello, ricorda che De Angelis «aveva emesso un certificato di incompatibilità col regime carcerario»
Due sono i casi emblematici che hanno chiuso tragicamente l’anno 2019. Parliamo di due persone affette di un tumore che sono morte quando oramai la loro malattia risultava in stato avanzato. Il primo riguarda il caso di Salvatore Giordano, già segnalato da Il Dubbio
grazie alla denuncia resa pubblica dall’associazione Yairaiha Onlus. Ai familiari era stato detto che il detenuto – recluso nel carcere di Voghera aveva un lieve ingrassamento del fegato da curare con l’alimentazione, ma quando sono andati a trovarlo in ospedale la vigilia di Natale lo hanno trovato in condizioni devastanti. Non riconosceva nessuno, biascicava parole senza senso, magrissimo, pieno di macchie cutanee rosse e munito di un pannolino: ha il tumore al fegato di grosse dimensioni con tanto di metastasi. Parlando con un medico dell’ospedale, i familiari hanno appreso che la situazione era già compromessa da diverso tempo e l’aggravamento non era di certo avvenuto nelle poche ore di degenza in ospedale. A quel punto hanno sporto una denuncia a carico dell’amministrazione penitenziaria del carcere di Voghera, per eventuali negligenze nella cura.
Purtroppo, notizia data recentemente da Sara Berardi, presidente dell’associazione Yairaiha, il recluso Salvatore Giordano non ce l’ha fatta. È morto nell’ospedale di Voghera, da detenuto. «Ma non importerà a nessuno – spiega amaramente Berardi -, non ai responsabili, non ai media, non alla stragrande maggioranza della società. Era un detenuto, qualcuno che ‘ qualcosa aveva fatto per essere lì’, un uomo che per lo stato non aveva più diritto di essere curato. Importerà alla sua famiglia, a noi e pochi altri. E non ci arrenderemo mai di fronte a questa barbarie; continueremo a lottare anche per lui».
L’altro caso riguarda il 47enne Giovanni De Angelis, malato di tumore all’intestino con metastasi lungo tutto il corpo, detenuto nel carcere di Poggioreale e morto il 27 dicembre all’ospedale Cardarelli. «Aveva un colloquio con me il giorno 3 dicembre 2019 – denuncia il garante regionale dei detenuti Samuele Ciambriello – e dopo diversi solleciti a livello sanitario, il detenuto veniva tradotto presso il Cardarelli, dal quale veniva dimesso con prognosi tumorale che annunciava “una vita breve”». Sollecitato dal garante regionale, la Direzione Sanitaria del carcere di Poggioreale confermava che il 5 dicembre aveva emesso un certificato di incompatibilità col regime carcerario. «Voglio qui ricordare – sottolinea sempre Ciambriello- che nella nostra Regione si contano sulle dita di una mano le dichiarazioni di incompatibilità col regime carcerario». Successivamente, il 19 dicembre 2019, durante un colloquio con una collaboratrice del garante risultava depresso, confuso, e affetto da schizofrenia indifferenziata. «Dalla fine del mese di novembre, e per l’intero mese di dicembre, il suo avvocato chiedeva, senza ottenere alcuna risposta, al Tribunale di Sorveglianza di Napoli una concessione di misura alternativa alla detenzione».
Il 27 dicembre scorso, dal carcere di Poggioreale veniva allertato il 118 e così il detenuto veniva portato al Cardarelli dove, lo stesso giorno, Giovanni De Angelis morirà», conclude il garante regionale Ciambriello.
Voghera Pino Gregoraci non voleva uccidersi in carcere ma solo attirare attenzione
Pino Gregoraci, detenuto in attesa di giudizio nel carcere
di Voghera, era molto depresso e avrebbe voluto simulare il suicidio
Prende sempre più largo l’ipotesi che Pino
Gregoraci, detenuto in attesa di giudizio nel carcere di Voghera,
avrebbe voluto simulare il suicidio per attirare l’attenzione su se
stesso perché le sue richieste non venivano ascoltate. Ma alla fine
è morto. Una vicenda tragica che l’Associazione Yairaiha Onlus ha
voluto portare a conoscenza dopo aver ascoltato le testimonianze di
alcuni detenuti che lo conoscevano. Pino era molto depresso e non era
mai riuscito a rassegnarsi a vivere senza un piede. Con l’aiuto dei
suoi compagni aveva presentato decine di istanze per parlare con uno
psicologo, ma non è mai stato chiamato. «I suoi compagni sono
arrabbiati – denuncia Sandra Berardi dell’associazione Yairaiha
Onlus – e ci fanno sapere che la morte di Pino peserà sulla
coscienza dei sanitari che non hanno ascoltato le sue richieste di
aiuto. Ogni volta che tornava dalla telefonata o dai colloqui
piangeva disperato».
Dai racconti emerge che gli stessi agenti penitenziari
sono rimasti scioccati e hanno chiesto ai compagni di Pino: «Perché
se sapevate che era così depresso non ci avete informato? Avremmo
potuto fare qualcosa di più, era un bravo ragazzo!». L’associazione
spiega che Pino aveva saputo che stavano per trasferirlo a Busto
Arsizio ma non voleva, perché a Voghera si era ‘ abituato’,
aveva trovato qualche amico e in sezione i compagni lo curavano.
Quindi Pino non voleva uccidersi realmente, ma voleva solo attirare
l’attenzione sul suo disagio contro una eventuale indifferenza dei
sanitari? Resta il fatto che poco tempo fa un ragazzo con problemi di
depressione aveva tentato il suicidio e in seguito venne trasferito
in una casa di cura. Forse Pino ha pensato che avrebbe potuto farcela
anche lui ad aggirare l’indifferenza.
L’uomo, sposato e padre di tre figli, era indagato
dalla Procura distrettuale di Reggio Calabria per le ipotesi di reato
di associazione mafiosa e attività finanziaria abusiva in concorso.
Dopo l’arresto, i legali di Gregoraci, avevano chiesto la
sostituzione degli arresti in carcere con una misura alternativa
quale gli arresti domiciliari, che ritenevano più consona ai
problemi di salute del 51enne, peraltro rappresentate attraverso
delle consulenze mediche. Arrestato a luglio, da agosto era recluso
in alta sorveglianza nel carcere di Voghera in attesa del processo.
L’associazione Yairaiha Onlus fa sapere che pochi giorni prima del
suicidio aveva avuto rassicurazioni anche in merito al suo processo:
erano state trovate le telefonate che lo avrebbero scagionato dalle
accuse. Ma forse, quel giorno, aveva nuovamente perso la speranza.
«La depressione – spiega l’associazione- è campanello d’allarme
di malesseri più profondi che stanno lì, ed esplodono quando meno
te lo aspetti. I suoi compagni non sanno di preciso quale pensiero
abbia attraversato la sua mente fragile».
I suoi compagni, alle 13.50 di mercoledì scorso,
mentre andavano in saletta, lo hanno visto che stava seduto in
carrozzina, da solo. lo invitarono a fare una partita a carte,
rispose che aveva mal di testa e preferiva risposarsi. Al rientro
dall’aria, poco dopo le 14, sono risaliti tutti in sezione trovando
Pino appeso nel bagno, con il cuore che ancora gli batteva. Ma non
c’è stato niente da fare. L’associazione Yairaiha Onlus racconta
che è seguita la telefonata alla moglie per comunicarle l’accaduto:
‘ signora suo marito è deceduto’. La signora riattacca il
telefono pensando ad uno scherzo di pessimo gusto. La richiamano nel
giro di pochi minuti: ‘ signora ma lei ha capito che suo marito è
morto?’. «Una macabra telefonata a 1300 km di distanza, neanche la
delicatezza di mandare un assistente sociale ad avvisare», conclude
amaramente l’associazione.
Resta il fatto che non è la prima volta che al carcere
di Voghera emergono problemi dal punto di vista dell’assistenza
sanitaria. Abbiamo già parlato su Il Dubbio
del caso di Salvatore Giordano segnalato sempre
dall’associazione Yairaiha Onlus. Ai familiari era stato detto che
il detenuto – recluso nel carcere di Voghera – aveva un lieve
ingrassamento del fegato da curare con l’alimentazione, ma quando
sono andati a trovarlo in ospedale la vigilia di Natale lo hanno
trovato in condizioni devastanti. Poi è morto. Oppure, ad ottobre
del 2017, c’è stato il caso Franco Morabito, ergastolano, morto di
tumore a 48 anni, con tutti gli organi in metastasi, nell’ospedale
di Voghera a distanza di un mese dalla sospensione della pena. In
carcere veniva curato per coliche renali.
********************************************************************************
Rosa Zagari ha cambiato carcere per curarsi ma non e cambiato nulla
Damiano Aliprandi, il Dubbio 20 gennaio
Rosa Zagari rischia la paralisi, dopo una caduta che le ha provocato fratture. Il 4 gennaio è morta la madre. La salma non è ancora stata tumulata in attesa che I figli detenuti vengano autorizzati all’estremo saluto
Se nel cittadino medio, soprattutto per reati mafiosi, prevale comprensibilmente l’istinto della giustizia retributiva, senza alcuna considerazione per l’articolo 27 della Costituzione Repubblicana che vieta l’esecuzione di pene contrarie al senso di umanità, ciò non dovrebbe valere per chi amministra la giustizia. Eppure non si rimedia al dramma che coinvolge Rosa Zagari, ancora a rischio paralisi, condannata in primo grado a otto anni al processo denominato “Terramara Closed”, compagna dell’ex latitante Ernesto Fazzalari di Taurianova – catturato nel 2016 –, a considerato il ricercato più pericoloso dopo l’imprendibile Matteo Messina Denaro. Nei mesi scorsi, l’ ssociazione Yairaiha Onlus ha più volte sollecitato interventi adeguati in merito alle condizioni di salute di Rosa Zagari, denunciando l’approssimatività delle cure che la stessa stava e starebbe tuttora ricevendo. La scorsa estate, grazie al sollecito dell’associazione e all’articolo pubblicato da Il Dubbio, Rosa Zagari è stata trasferita al centro clinico del carcere di Messina perché nel penitenziario precedente non veniva curata.
Cosa le era accaduto? Un anno fa, quando era al carcere di Reggio Calabria, è caduta nella doccia. Subito è stata trasportata all’ospedale, nel reparto di neurologia, e dalla tac è emersa una «duplice rima di frattura lineare in corrispondenza del processo trasverso di destra di L3 e rima di frattura a livello del processo trasverso di L2». Il primario ha quindi consigliato delle cure adeguate per evitarle peggioramenti.
Ma i familiari e il suo avvocato, Antonino Napoli, fanno sapere all’associazione Yairaiha che la situazione, a oggi, non è cambiata. Inoltre, lo scorso 16 gennaio, dopo un colloquio con la sorella, rientrando in sezione, ha perso l’equilibrio accasciandosi a terra. Gli agenti in servizio hanno sollecitato l’intervento del medico e quest’ultimo avrebbe invitata la signora Zagari a “smetterla di fingere” disponendo che la stessa venisse messa in un ripostiglio per riposarsi. Solo l’intervento degli agenti e delle altre detenute ha impedito che ciò avvenisse facendosi letteralmente carico di riaccompagnarla in sezione prendendo la signora Zagari in braccio. Nel frattempo però si è aggiunta una vicenda dolorosissima.
Proprio sulle pagine de Il Dubbio è stata pubblicata l’accorata lettera della madre nella quale annunciava che si sarebbe lasciata morire: detto fatto, l’associazione Yairaiha fa sapere che la signora è venuta a mancare lo scorso 4 gennaio, dopo due mesi in coma, e la salma non è ancora stata tumulata in attesa che i figli detenuti vengano autorizzati all’estremo saluto. A fine dicembre Rosa Zagari è stata visitata da un neurologo di fiducia, il dottor Burzomati, il quale ha richiesto alcuni esami strumentali specifici, ed una visita fisiatrica presso una struttura anche non carceraria per stabilire le effettive condizioni fisiche e motorie attuali, eventuali altre lesioni ed eventuali danni irreversibili. A oggi, nonostante il sollecito dell’avvocato Napoli del 3 gennaio sulle richieste mediche, tutto tace. «È questa la giustizia? È questo il rispetto della Costituzione?», chiede a gran voce l’associazione Yairaiha alle autorità competenti, compreso il ministero della Giustizia.
Penso a Rosita; al sacrificio di Teresina, sua madre. Una madre che si è lasciata morire col desiderio di salvare sua figlia. Una vita consumata da una galera all' altra quella di Teresina; lo Stato i suoi figli se li è presi quasi tutti: qualcuno ha deciso che il loro cognome è fuorilegge; lo Stato ha deciso che i loro sentimenti sono crimini da punire; lo Stato ha deciso che se ti chiami Zagari sei colpevole anche senza prove e ti mette al 41 bis anche se non sei mai stato presente sulla scena del "delitto". E con Rosita lo Stato ha deciso di annientarla fisicamente e psicologicamente; annientare lei e tutta la sua famiglia. Teresina è ancora là, in attesa di sepoltura, in attesa che lo Stato gli riporti quei figli che gli ha portato via così...senza una ragione, per l'ultimo saluto.
La chiamano giustizia.
Sandra Berardi
What happens in prison
in these weeks, riots in different
italian prisons from North to South (Poggioreale,Voghera, Palermo,
Rieti, L’Aquila, Velletri) represent the litmus test of an outdated
system, which is at a tipping point.
Infact, in Italy there are actually
61.000 prisoners, but prison can hold only 50.000 people; moreover,
detention is imposed as punishment in most cases and alternative
measures are almost ignored.
This situation isn’t a consequence of
an increase in crime, but is the result of different factors:
political choices, farraginous penal system and prison as a class
solution. For what concerns political choices in criminal law, in the
last 30 years they have been addressing to social marginalization
(immigrants, drug addicts) and have contributed to spread social
alarm. The majority of people in jail are italian and immigrant drug
addicts, drug dealers and muggers: generally, they live in the
suburbs and come from the lower and middle classes.
This consistent part of population is
victim of the lack of welfare State’s action: for this reason, they
choose crime as a ploy to survive. Instead of increasing social
wellness improving schools and universities, creating jobs or helping
weakers sections, Italian Governement’s solution is prison. The
constant extention of behaviours which become relevant for criminal
law demonstrates the will of prosecute a specific social group.
Nowadays in prison social contradictions are arising, and the riots
of this period of time are a reflection of this situation.
Sante Notarnicola remember us that
better life conditions in prison are the result of prison riots which
broke out in the last ’70-’80: thanks to the meeting between
political prisoners and the common ones, common prisoners too begun
to fight for this purpose.
Punishing and imprisoning only social
marginalization serve specific functions: fueling social alarm,
justifying prison’s existence and running the factory. Infact,
prison offers cheap labour. The last penitentiary reforms has reduced
protections and rights in this field. For the sake of argument we can
mention “piantoni” or the “2121 Program”: in the first case,
a prisoner is under contract for only one hour to assist another
prisoner who is invalid , even though in everyday life the “piantone”
takes care of the invalid prisoner all the day; in the second case,
“2121 Program” represents a contract between the Penitentiary
Administration, the factory “Plus Value” and the multinational
Lendlease: the salary of prisoners who work for this partners will be
paid to Penitentiary Administration to pay prisoners’ debt to
society. It’s similar to slave labours.
Prison’s purpose is nowadays similar
to the one it had before and after the industrial devolution:
controlling and exploiting the marginalization which has been
producted by capitalism.
From "IL SALTO" 1/7/2019
Cosa sta succedendo nelle carceri
Le
rivolte nelle carceri di tutta Italia delle ultime settimane, da
Poggioreale a Voghera, da Palermo a Rieti, da Agrigento a L'Aquila a
Velletri, rappresentano la cartina di tornasole di un sistema malato
che è giunto a un punto di non ritorno. Quasi 61.000 persone
ammassate in meno di 50.000 posti regolamentari e la chiusura di
qualsiasi prospettiva alternativa al carcere, sono dati allarmanti e
destinati a crescere. In realtà questi dati non rispecchiano un
aumento dei reati, nettamente in calo negli ultimi 10 anni, ma scelte
politiche precise da un lato mentre, dall'altro, denunciano la
farraginosità della macchina giudiziaria e il carattere classista
dell'istituzione carceraria. Le leggi varate negli ultimi 30
anni in materia di stupefacenti, contraffazione di marchi e
immigrazione, hanno determinato la criminalizzazione di marginalità
sociali che, scientemente, sono stati oggetto alternativamente di
campagne mediatiche mostrificatorie, determinando paura e allarme
nella società. I 3/4 della popolazione attualmente detenuta è
costituita da assuntori e "spacciatori" di sostanze
stupefacenti, autoctoni e migranti, provenienti prevalentemente dai
quartieri periferici delle città e dai ceti sociali medio-bassi,
ladruncoli e scippatori, parcheggiatori e ambulanti "abusivi",
malati psichici, prostitute. Un'operazione chirurgica che ha
selezionato i destinatari, tenendo le sirene allarmistiche, e di
conseguenza anche la criminalizzazione e la repressione, ben lontane
dai trasgressori appartenenti alle classi più agiate. Per
intenderci: il cocainomane col suv viene percepito differentemente
dall'assuntore con l'utilitaria, così come l'espediente di
sopravvivenza è reato, mentre la finanza criminale è "creativa".
A differente condizione economica corrisponde una differente
percezione sociale ed anche la pretesa punitiva nei confronti dei
soggetti più agiati viene mitigata a partire dalla tutela della
privacy. Difficilmente troveremo su Mario Rossi i titoloni di
giornale riservati a Ciro Esposito, e difficilmente troveremo Mario
Rossi tra i 61.000 destinatari delle patrie galere. Ci chiediamo
anche cosa succederà con il regionalismo differenziato se verrà
approvato. Se già oggi non si può negare l'esistenza di una
correlazione tra questione meridionale e politiche penitenziarie
(basti pensare "all'area 416bis" e alle percentuali di
meridionali tra la composizione della popolazione detenuta pari ad
oltre il 70% dei detenuti italiani, mente è il 100% delle sezioni di
Alta sicurezza), con il regionalismo differenziato la gestione del
Sud sarà demandata verosimilmente alla sola amministrazione
penitenziaria. L'estensione continua del concetto di "condotta
penalmente rilevante" mira (da sempre) a criminalizzare e
reprimere un corpo sociale ben determinato che, in parte, non riesce
ad avere i mezzi per soddisfare i bisogni primari per cui è
costretto a ricorrere ad espedienti per sopravvivere mentre, un'altra
parte, "approfitta" delle abitudini di quella larga, e
trasversale, parte di società che fa regolarmente uso di sostanze
stupefacenti. Un corpo sociale vittima, prima ancora che reo,
della condizione di marginalità cui l'attuale sistema politico ed
economico lo ha relegato, delegando al carcere il contenimento di
questa "eccedenza" che mal si incastra nell'Italia
bellissima favoleggiata dagli abili mercanti, di ieri e di oggi,
improvvisatisi statisti, che hanno trasformato lo Stato in azienda
prima e bancarella poi. Uno Stato ridotto a vetrina, ormai decadente,
di un corpo politico e di una società che il senso dello stato,
dell'equità, dell'umanità e della giustizia sociale ha smarrito. E
nelle galere stanno esplodendo tutte le contraddizioni
socio-politiche che all'interno della società fanno fatica a trovare
il minimo comune multiplo. Esplodono su restrizioni e privazioni che
narrano tutta l'ipocrisia dei Rossi "clienti, compari e
complici" degli Esposito. In altri tempi si sarebbe scritto
a fiumi su questa "soggettività di classe" in rivolta
nelle carceri, si sarebbe analizzata la composizione variegata e
meticcia rivendicante la propria alterità rispetto al potere
costituito. Eppure le parole d'ordine non sono cambiate: Sante
Notarnicola ci ricorda che se oggi nelle carceri c'è il fornellino
nelle celle, e ci fu la riforma Gozzini, il merito va riconosciuto
alle lotte che tra gli anni 70 e 80 attraversarono le carceri di
tutta Italia. In quegli anni la composizione era variegata più
che meticcia e l'incontro in carcere tra i prigionieri comuni e
quelli politici determinò una presa di coscienza della condizione
soggettiva anche tra i detenuti comuni, ed innescò una serie di
rivendicazioni che, dal momento che non si riusciva a abbattere il
carcere, individuato quale pilastro fondamentale del sistema
capitalista, migliorassero le condizioni di vivibilità all'interno
dello stesso. Negli ultimi venti anni c'è stata una torsione
autoritaria, dentro e fuori le carceri, inversamente proporzionale
allo smantellamento del welfare. Gli esempi richiamati in apertura
rappresentano gli obbrobri giuridici macroscopici di un legiferare
ossessivo-compulsivo teso a mantenere in attivo la fabbrica
penale. Punire e incarcerare coloro i quali sono
stati resi poveri,
esclusi, emarginati assolve a molteplici funzioni: tenere in piedi il
sistema penale e carcerario, offrire alla società capri espiatori
utili a sedare le insicurezze sociali e nascondere dalla vista dei
moderni signorotti i pezzenti, i reietti. E, infine, il
capolavoro: offrire manodopera a costo basso o nullo alle imprese e
alle multinazionali. Le ultime riforme in materia di lavoro
penitenziario e ammortizzatori sociali hanno cancellato buona parte
dei diritti del detenuto/lavoratore. Nel 2018 sono state adeguate le
c.d. "mercedi", ferme dal 1994 ma, se da un lato hanno
adeguato i salari, dall'altro hanno innalzato le spese di
mantenimento e ridotto le ore contrattualizzate retribuite. Prendiamo
ad esempio i c.d. "piantoni" (ma questo, in diversa misura,
vale anche per le altre mansioni di lavoro intramurario), cioè i
detenuti che prestano assistenza ai detenuti disabili, hanno un
contratto di 1 ora al giorno ma assistono il disabile/concellino,
altre 23 h su 24 a titolo di umanità gratuita. Per quanto
concerne gli accordi dell'amministrazione penitenziaria con società
ed imprese esterne, l'ultimo esempio, in ordine temporale, è dato
dal "Programma 2121", su cui l'azienda Plus Value, partner
del Progetto Mind - Milano Innovation District per la
riqualificazione dell'area dell'Expo 2015 assieme al Ministero di
Giustizia a alla multinazionale di sviluppo immobiliare Lendlease,
che ha avviato la valutazione dell'impatto socio-economico e delle
ricadute che il programma avrà. Il progetto prevede l'impiego di
manodopera detenuta e i detenuti avranno sì un contratto, ma la
retribuzione andrà all'amministrazione penitenziaria ad "estinzione
del debito" che il detenuto ha nei confronti dello Stato.
Attraverso l'inserimento del meccanismo premiale in vece della
retribuzione nel rapporto di lavoro si (re)introduce la pratica del
lavoro forzato. Si è gradualmente tornati quindi, alla funzione
che le carceri ebbero nel periodo pre e post rivoluzione industriale:
contenere, disciplinare e sfruttare le marginalità che lo sviluppo
della società capitalistica aveva prodotto. Ieri erano i contadini
che in massa abbandonavano le campagne col miraggio della fabbrica
che, esattamente come le bestie da soma, venivano selezionati mentre
i più deboli venivano scartati. E gli scarti vennero marginalizzati
prima e criminalizzati poi. Esattamente come è avvenuto con i
meridionali dall'Unità d'Italia in poi e come avviene oggi con i
migranti. I detenuti che oggi si stanno ribellando contro
l'istituzione carceraria sono quelle stesse eccedenze al sistema e
alla società capitalistiche che rivendicano prepotentemente spazi
vitali e diritti: salute, acqua, vitto congruo, affetti. E accanto
alle rivendicazioni ci chiedono il senso di questo carcere, a cosa
serve? A chi? Certamente non a loro che, nella migliore delle
ipotesi, usciranno come sono entrati o, nella peggiore e più
probabile, saranno incattiviti da anni di segregazione fine a se
stessa ma molto utile all'industria penale.
da "Il Salto" 1/7/2019